Le informazioni preliminari del massacro di Bucha, sobborgo a nord-ovest di Kiev, hanno spinto le cancellerie occidentali a paventare ulteriori sanzioni economiche verso la Russia. Tra queste il blocco totale dell’importazione di gas, petrolio e carbone di produzione russa. Sulla spinta delle parole indignate del cancelliere Olaf Scholz, l’Agenzia federale delle reti della Germania ha assunto il controllo “temporaneo” della filiale tedesca di Gazprom per “proteggere la sicurezza pubblica e a mantenere la sicurezza dell’approvvigionamento”. Accennando quindi a una affannosa diversificazione dei rifornimenti energetici.
Ma la dipendenza dell’Europa occidentale dalle fonti energetiche russe potrebbe non costituire il principale problema socio-economico del Vecchio Continente che si prospetta all’orizzonte
La prima voce in bilancio dell’export della Federazione russa non è infatti il comparto degli idrocarburi, bensì il settore cerealicolo. La Russia è il quarto esportatore mondiale della base dell’alimentazione “energetica” umana (carboidrati). Mosca ha già attuato restrizioni all’esportazione di zucchero e cereali, dando il via a una vera e propria guerra mondiale alimentare. Il blocco non esenta nemmeno i Paesi vicini appartenenti all’Unione economica eurasiatica (Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Armenia).
La guerra in Ucraina impedirà quasi certamente la coltivazione nelle zone più fertili del vasto Paese sarmatico.
Niente semina, niente raccolto
Se anche Kiev riuscisse a salvaguardare parte della produzione (difficile), il “granaio d’Europa” sarebbe certamente impossibilitato a esportare le derrate alimentari che, si sa, viaggiano via mare. Il blocco navale applicato dalla Russia sull’intera costa nord del Mar Nero, impedisce a qualsiasi imbarcazione militare o commerciale di lasciare i porti ucraini. Né dall’occupata e distrutta città di Mariupol, né dalla più grande e intoccata Odessa (per ora). Una soluzione temporanea e limitata potrebbe essere quella di appoggiarsi al porto commerciale moldavo di Giurgiulești (investitori olandesi) sul fiume Prut – a un chilometro dal fiume navigabile del Danubio – ben protetto dalla Romania, paese Nato. Misura certamente utile, ma insufficiente.
Russia e Ucraina esportano assieme circa un quarto dei cereali mondiali (26% grano, 30% orzo, 16% mais). Nel 2023, dunque, i mercati mondiali non potranno fare affidamento su un quarto della granaglia stock. Il continente maggiormente colpito sarà con ogni probabilità l’Africa, la cui importazione è strettamente legata alla produttività agricola eurasiatica. I Paesi del Continente nero finanziariamente più deboli – e quindi impossibilitati a sostenere l’innalzamento dei prezzi del bene carente – saranno quasi certamente colpiti da una grande carestia, mentre i Paesi del Nord Africa potrebbero rivivere fasi di forte turbolenza politica interna. D’altronde le primavere arabe sono scaturite dall’innalzamento del prezzo del pane: cosa potrebbe accadere in caso di assenza stessa dell’alimento principe?
Mosca non ha solo sospeso l’export di generi agroalimentari, ma anche di fertilizzanti, di cui – insieme al Paese satellite Bielorussia – è oligopolista mondiale. Ecco perché lo scarso accesso a concimi, ammendanti e correttivi causerà quasi certamente il calo della produzione agricola in tutto il mondo, anche in Paesi remoti e non interessati dalla guerra.
Non finisce qui: i macchinari agricoli funzionano nella quasi totalità a gasolio. L’aumento del suo prezzo – seppur calmierato – costringerà gli agricoltori occidentali a rinunciare alla messa in coltura di parte dei terreni a disposizione. Anche un continente relativamente stabile e finanziariamente benestante come l’Europa potrebbe essere toccato da un consistente calo della produzione di beni primari.
A differenza di Russia e Nord America, l’Unione europea si scopre dipendente sia sotto il profilo alimentare che energetico. Mentre la Repubblica popolare cinese ha fatto scorte di materie prime e derrate alimentari in modo dirigistico per tutto il 2021 – evidentemente intuendo una guerra maggiore – i Paesi occidentali del Vecchio Continente sono stati colti alla sprovvista. Nel prossimo futuro, anche l’Italia potrebbe assistere a una penuria di generi alimentari sugli scaffali dei supermercati, con la conseguente inflazione dei generi di base e l’impoverimento ulteriore delle classi sociali meno agiate.
C’è tempo un anno per approntare le contromisure all’imminente crisi alimentare globale e alle conseguenti migrazioni sul fronte mediterraneo. Roma dovrà ben presto scegliere se investire in burro (per noi) o cannoni (per l’Ucraina).