La tempesta perfetta, spauracchio di analisti ed economisti, potrebbe presto scatenarsi sui mercati finanziari e travolgere gli Stati Uniti, provocando un vero e proprio cortocircuito su scala globale. Ombre nere si addensano all’orizzonte, almeno secondo quanto scrive il Global Times, spin off del People’s Daily, organo del Partito Comunista cinese. A causa del forte indebolimento del dollaro americano, contingenza derivante da tassi di interesse storicamente bassi, la Cina potrebbe gradualmente abbandonare i Treasury Usa, cioè i Titoli di Stato del governo federale degli Stati Uniti d’America.
Detto in altre parole, Pechino andrebbe a vendere il proprio debito statunitense nel caso in cui le tensioni con Washington dovessero continuare a crescere. In mezzo a tutto questo il governo americano dovrebbe iniziare seriamente a fare i conti con il famigerato decoupling, ovvero il disaccoppiamento economico, termine usato per indicare il progressivo allontanamento di due economie tra loro interdipendenti. Proprio come quella americana e cinese.
Per capire di cosa stiamo parlando, basta prendere come esempio Huawei. Il colosso di Shenzen, per costruire smartphone e tablet, necessita di beni prodotti negli Stati Uniti. Qualora Washington decidesse di chiudere i ponti con Pechino (e viceversa), l’azienda cinese sarebbe letteralmente tagliata fuori. Dal momento che i sistemi economici delle due superpotenze sono interconnessi da nodi di produzione, ogni ipotetico blocco di un nodo avrebbe effetti indesiderati per entrambi i soggetti in causa. A quel punto ci troveremo davvero in mezzo a una vera e propria tempesta perfetta.
Pechino e i Treasury Usa
Che si tratti di un avvertimento, un consiglio o una minaccia, il Global Times è stato chiaro. La Cina potrebbe ridurre le proprie disponibilità in Titoli di Stato del Tesoro Usa di circa il 20%, fino ad arrivare a 800 miliardi di dollari. Gli ultimi dai diffusi da Pechino mostravano come il Dragone detenesse un valore dei titoli dei Treasure Usa pari a 1.074 trilioni di dollari. Stando a quanto sottolineato dal South China Morning Post, alla fine giugno i cinesi erano i secondi creditori esteri dell’America alle spalle del Giappone.
Già in passato il governo cinese ha discusso sul fatto se disinvestire o meno i Titoli americani per danneggiare l’economia di Washington. La riduzione graduale è una possibilità ma, di fronte a casi estremi come un conflitto militare, la Cina potrebbe anche vendere tutte le sue obbligazioni, scatenando un vero e proprio tsunami. Quest’ultimo scenario è considerato altamente improbabile, anche perché un’azione simile andrebbe a danneggiare anche la stessa Cina. Il motivo è semplice: la valuta cinese, lo yuan, era legata al dollaro americano.
Pechino ha scelto questo modello di gestione della valuta. Dal 1997 ai primi anni Duemila lo yuan ha mantenuto il proprio valore costante: un dollaro equivaleva a circa 8,3 yuan. Il citato valore è sempre stato basso per due motivi. Primo: creare posti di lavoro. Secondo: uno schema del genere mantiene attiva la macchina cinese delle esportazioni. Ogni volta che lo yuan viene scambiato con valuta estera, la transazione deve avvenire al tasso ufficiale, attraverso una banca statale. Come se non bastasse, a partire dagli anni ’90, la Cina ha attratto oltre Muraglia una marea di imprese. Queste, per entrare nel mercato cinese, hanno usato i dollari o altre valute estere. È così che la Cina ha accumulato una enorme riserva di dollari. Dulcis in fundo, quando Pechino esporta prodotti in Occidente viene pagata in valuta estera.
La minaccia cinese
Torniamo alla minaccia cinese. Che cosa succederebbe se la Cina decidesse di spendere in un colpo solo tutti i suoi dollari? Il mercato mondiale sarebbe invaso dalla moneta americana e la valuta Usa, secondo la legge della domanda e dell’offerta, perderebbe il suo valore. Fino a qualche anno fa lo yuan era legato fortemente al dollaro. Ma adesso che il legame non è più a doppia mandata, non è detto che uno scossone del dollaro possa azzoppare anche la moneta cinese.
Fino a questo momento, comunque, la Cina ha prestato i dollari agli Stati Uniti per ottenere in cambio Titoli Usa. Oggi il Dragone possiede così tanti Treasure Usa che può spingere al rialzo il prezzo del dollaro ma con esso anche l’entità del debito statunitense. Xi Jinping si trova quindi nella posizione di dettare le regole del gioco. Il governo cinese può prestare i dollari per controllare il debito americano oppure può usarli come “tesoro di guerra” per acquisire aziende straniere, soprattutto quelle inerenti a settori strategici. Stando ai dati del Tesoro statunitense, nel mese di giugno la Cina ha venduto 9,3 miliardi di dollari in buoni del tesoro Usa. In 12 mesi le partecipazioni cinesi sono diminuite del 3,5%. Sempre secondo dati americani, le riserve valutarie totali cinesi ammontano a 3,15 trilioni di dollari.
L’esempio russo e il debito di Washington
Alcuni analisti cinesi sostengono che Pechino potrebbe tranquillamente imitare la Russia per quanto concerne la gestione dell’esposizione al dollaro americano. A maggior ragione se le banche cinesi dovessero essere escluse dal sistema di pagamento in dollari. La banca centrale russa, non a caso, ha infatti ridotto a zero i titoli del Tesoro americano. Basti pensare che nel 2011 ammontavano a 175 miliardi di dollari.
Esiste inoltre il rischio che il dollaro possa ulteriormente deprezzarsi per via degli stimoli governativi impiegati dalla Casa Bianca per contrastare la pandemia di Covid. Fonti ufficiali Usa hanno sottolineato che quest’anno il debito emesso dal governo raggiungerà il 98% del pil americano. Stiamo parlando di un livello mai raggiunto dal termine della Seconda Guerra Mondiale e di molto superiore al 60%, la soglia di sicurezza riconosciuta internazionalmente. La Cina è alla finestra, pronta a innescare l’effetto domino.