Giorno dopo giorno la proposta del Recovery Fund europeo assume connotazioni sempre più chiare mano a mano che trapelano informazioni circa le nuove proposte messe in campo dagli Stati e le negoziazioni in atto nel contesto dell’Unione, presto chiamata a decidere come avviarne lo sviluppo.
Angela Merkel e Emmanuel Macron hanno lanciato l’amo, proponendo un fondo di 500 miliardi di euro di sovvenzioni ai Paesi più colpiti da agganciare al bilancio comune europeo; Austria, Olanda, Danimarca e Svezia,i “Paesi frugali”, hanno chiesto invece un piano basato su prestiti da restituire con condizionalità rigorose in tempi brevi; il vicepresidente della Commissione di Ursula von der Leyen, il lettone Valdis Dombrovskis, ha ipotizzato una via di mezzo, sottolineando che il Recovery Fund conterrà in parte crediti da restituire (loans) e in parte sussidi gratuiti (grants) in misura da definire.
E in questa direzione sembrano essersi orientate le discussioni degli ultimi giorni, che hanno visto la Germania accertarsi della conseguita centralità nelle trattative e proporre, per bocca del principale consigliere economico della Cancelliera, Lars Feld, di sviluppare con precisione il Recovery Fund a partire dal primo giorno di luglio. Quando inizierà il semestre tedesco di presidenza del Consiglio dell’Unione Europea.
Il principale sviluppo delle ultime settimane è che l’Unione è orientata sempre di più a sviluppare un fondo che non trasferisca risorse ai Tesori dei singoli Stati ma piuttosto intervenga a sostenere quei comparti strategici ritenuti maggiormente importanti e quei settori in difficoltà per l’incedere della crisi economica da coronavirus. Interventi di questo tipo sono già stati messi in campo con profusione dalla Germania, che guida l’Unione per aiuti di Stato deliberati, mentre in questa fase bisogna chiarire in che misura il Recovery Fund finanzierà interventi di rafforzamento strutturale e in che misura investimenti in ambiti come la transizione energetica, le reti 5G, le infrastrutture
Chi potrebbe cogliere due piccioni con una fava è proprio Berlino. “Non è un mistero”, sottolinea Italia Oggi, “che il settore più in crisi in Germania è quello dell’automobile, che necessita di vigorosi investimenti per la transizione dai motori a combustibile fossile a quelli elettrici. Il gruppo Volkswagen, che comprende tra i suoi marchi Audi, Bentley, Bugatti, Ducati, Lamborghini, Porsche, Seat e Skoda, è in crisi nera e, durante il Coronavirus, ha dovuto chiudere gli stabilimenti europei per tre settimane a causa del crollo del mercato”. Un altro settore in cui Berlino si è mossa con forza è quello del trasporto aereo: Lufthansa ha ricevuto un sussidio da 9 miliardi di euro che ne eviterà l’implosione in questa fase anomala e di crisi senza precedenti. Insomma, se i settori strategici dell’Europa sono gli stessi che la Germania ritiene tali, è chiaro che le industrie tedesche, colpite come tutti dalla crisi post pandemia, ne trarranno benefici. Alimentando quindi quel circuito politico ed economico che fa sì che i problemi e i sogni tedeschi si trasformino in problemi e auspici europei. A scapito invece di quei Paesi che hanno problemi strutturale e non solo della filiera industriale, su cui appunto la stessa Berlino è apparsa molto meno incline a chiudere un occhio e “suggerisce” ripetutamente di consolidare le finanze e ridurre il debito pubblico. Non certo con aiuti “a fondo perduto”.
Un piano di questo tipo premia quei Paesi maggiormente in grado di porre in essere iniziative strategiche di lungo respiro, piani economici ben precisi e, soprattutto, una celere individuazione dei settori ritenuti vitali per la ripresa. Questo è il problema maggiore che sconta l’Italia, che anche in fase di crisi non riesce a compiere una svolta di politica industriale tale da ipotizzare un piano di lungo periodo. Biciclette e monopattini elettrici sono diventati, in un certo senso, il bersaglio preferito di numerose critiche al governo per la mancanza di programmaticità nell’economia, i prodotti da contrapporre al vuoto assoluto in settori ben più rilevanti.
L’Italia non si muove sul fronte interno e in Europa corre nelle retrovie, subendo anche le minacce dei “falchi” nordici, come il tedesco Manfred Weber, che ha indicato per Roma la strada del consolidamento fiscale una volta finita la crisi. Investire ora, e farlo sfruttando il ventaglio di opportunità a disposizione (dalla Bei al futuro Recovery Fund) prima che altri mettano le mani sulla nostra economia, è l’unico viatico per poter controbattere una crisi economica senza precedenti. Non capirlo o, peggio, perseverare nell’inazione è un errore madornale da parte del governo Conte, chiamato in futuro a una coraggiosa azione politica. Per la quale serve essere strategici, condizione ineludibile per poter ottenere il massimo da un fondo che sembra cucito su misura per le esigenze dalla Germania. Non a torto in grado di difendere i propri interessi nell’Unione.