Le aree più sviluppate in Europa sotto il profilo economico sono state, al tempo stesso, tra le più colpite dall’epidemia di Covid-19 che ha sconvolto il Vecchio Continente. Il virus si muove sulla scia della globalizzazione, nell’interscambio le aree aperte a maggiori contatti reciproci ha trovato la possibilità di diffondersi e proliferare, le direttrici degli scambi economici si sono trasformate in autostrade del contagio.

Così è stato tra Cina e Europa, così è all’interno dell’Unione. Guardando i dati a livello macroregionale e non solo nazionale, come fatto dall’osservatorio sul coronavirus del centro studi francese “Le Grand Continent”, si nota come la distribuzione dei focolai di infezione del virus e la maggior quantità di decessi in rapporto alla popolazione si concentri con maggiore intensità in alcune aree europee, la maggior parte delle quali si colloca sulla cosiddetta “dorsale europea”, un importante asse economico europeo che va dall’Atlantico al Po, dal Belgio alla Lombardia.

Come spiegato da Giovanni Collot, caporedattore della rivista, al Corriere della Sera, le aree più colpite “sono zone densamente abitate: ci vive il 20 per cento della popolazione dell’ Unione europea – precisa Collot – E non solo: sono aree di grandi scambi commerciali e di traffici transfrontalieri”. Si capisce, allora, la facilità della trasmissione del virus in zone quali la Pianura Padana (dove il tasso di mortalità è pari a 88 persone ogni 100mila abitanti nel Nord-Ovest e 38 nel Nord-Est), l’Alsazia/Lorena (40 morti ogni 100mila abitanti) e la Vallonia (quasi 42 morti su 100mila abitanti). Regioni ad alto tasso di sviluppo e mobilità interna a cui va aggiunto il non secondario problema dell’inquinamento, che come certificato da uno studioso del settore come il fisico Mario Menichella ha svolto un ruolo non secondario come vettore del contagio e come “terreno di coltura”, aumentando il tasso di malattie respiratorie nella popolazione delle regioni in questione.

Un ulteriore nesso di “geografia economica” riguardante il contagio è legato all’arrivo del coronavirus in Romania, Stato in cui la debolezza del sistema sanitario e dell’apparato politico chiamato a rispondere fanno temere un’emergenza senza precedenti. Secondo Collot un fattore di diffusione del virus potrebbe esser stato “i rientro, anche dall’ Italia, ma soprattutto da Lombardia e Veneto, di lavoratrici e lavoratori: pensiamo, per dire, a molte badanti (spesso in nero) che si sono trovate improvvisamente senza lavoro”.

L’interconnessione tra i fenomeni e la velocità dei processi hanno reso la globalizzazione il vero e proprio “untore” dell’attuale emergenza. Il sistema è rimasto vittima della sua stessa dipendenza dai tempi rapidi dell’economia, dagli scambi, dai flussi e dai contatti sociali, lavorativi e involontari nelle aree più popolose. Non a caso, in Italia, il Sud Italia è rimasto più al riparo dagli effetti del Covid-19: il fattore della minore mobilità interna e del minor tasso di dinamicità economica, oltre che la rarefazione geografica, hanno senz’altro giocato un fattore.

Recentemente, in un’intervista alla stessa Le Grand Continent, la virologa Ilaria Capua, tra le studiose più attive nelle ultime settimane, ha dichiarato che il virus e i suoi effetti corrono sfruttando la velocità e l’iperconnessione, fisica e non, del nostro sistema: “Attraverso le infrastrutture di comunicazione siamo riusciti ad accelerare (e quindi a trasformare qualitativamente) dei fenomeni che prima mettevano millenni ad accadere”. Così è stato anche in Europa: e la lezione per il futuro sarà di mettere al centro anche le tematiche sanitarie nella pianificazione dello sviluppo delle aree più progredite d’Europa.

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