Il Recovery Fund di Mario Draghi prende forma. “Blindato” tra il ministero dell’Economia e delle Finanze di Daniele Franco e il triumvirato di ministri “tecnici” nelle materie oggetto della strategia (Enrico Giovannini, ministro delle Infrastrutture, Roberto Cingolani, ministro della Transizione ecologica e Vittorio Colao, ministro per il Digitale) il nuovo Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) andrà molto più nel dettaglio rispetto alla bozza prodotta dal governo Conte II. E già ora presenta elementi di discontinuità.

Uno di questi, secondo quanto contenuto nelle bozze del Pnrr targato Draghi che La Verità ha avuto modo di visionare, è il tema del digitale e del 5G. In cui appare definitivamente superata la tentazione, cara in particolar modo al Movimento Cinque Stelle e al fondatore Beppe Grillo, di perseguire una via unicamente autarchica, ma si dà una visione prospettica destinata a indirizzare i rapporti della tecnologia italiana con i partner europei e statunitensi. Il piano in questa prospettiva appare conforme alla visione che indicava a dicembre il ministro degli Affari Europei Enzo Amendola parlando del legame Usa-Ue nella tecnologia: rafforzamento dell’autonomia digitale comunitaria nell’ambito del perimetro di sicurezza euro-atlantico. Una mossa che porta Roma un po’ più distante da Pechino.

Cosa c’è nel nuovo piano

Il piano, secondo le indiscrezioni, avrà due gambe complementari: 5G e cloud. Pilastri che necessitano l’uno del sostegno dell’altro: se le nuove reti ad alta frequenza di trasmissione e bassa latenza sono la chiave di volta della rivoluzione digitale e permettono un aumento della capacità digitale del sistema Paese, coniugandosi con tecnologie quali l’internet delle cose e l’intelligenza artificiale, è al tempo stesso necessario che un Paese si doti di un’efficace architettura di data center e di sistemi di archiviazione in cloud (con relativi apparati di cybersicurezza) per garantire protezione e “sovranità” sui dati generati e il loro sfruttamento.

Draghi e il suo governo non abbandoneranno la strada di un’architettura nazionale di trasmissione dati e di gestione del cloud e del coinvolgimento dei campioni industriali del Paese, ma non escluderanno completamente dalla sua costruzione quei giganti del web statunitensi che, piaccia o meno, per la loro rendita di posizione sono oggi partner il cui potere di condizionamento può essere ritenuto un problema ma va tenuto in conto. Realisticamente, l’ex ministro dell’InnovazionePaola Pisano aveva ritenuto eccessivo escluderli completamente dall’architettura europea Gaia-X; ora, Draghi e il suo governo potrebbero coinvolgerli nella strutturazione dell’architettura digitale nazionale.

La Verità riporta che nel processo “avrà un ruolo essenziale un player finanziario di Stato (che potrebbe essere Cdp) e altri interlocutori. In prima fila Leonardo. Ma non si escludono Tim con Google o Fincantieri”. L’ex Finmeccanica è considerata un’azienda in grado di unire le fila del progetto: partecipa all’architettura europea Gaia-X; sviluppa in-house progetti di cloud e cerca di costruire un apparato strategico con l’italiana Aruba; ha solidi contratti in essere con la Difesa statunitense; sul profilo operativo, la sua divisione ricerca e sviluppo è stata nell’ultimo anno plasmata dalla visione strategica del neo-ministro Cingolani.

Oltre la divisione tra Draghi e Colao

Appare superata la polarizzazione che a maggio e giugno dell’anno scorso indicava in Draghi, riserva della Repubblica per eccellenza, uomo gradito del partito americano a Roma e in Colao – allora super-commissario a capo della task force del governo Conte per la ricostruzione – stimato dal “partito cinese” anche per i suoi legami costruiti con l’Impero di Mezzo sul campo tecnologico ai tempi di Vodafone. Il governo vuole agire per una strategia nazionale nel quadro del perimetro euro-atlantico tratteggiato da Draghi.

“La presenza di grandi aziende italiane”, continua La Verità, “permetterà l’investimento diretto nel Paese e la creazione di nuovi rapporti atlantici. Gli americani su questo tema dispongono di tecnologia particolarmente evoluta e non sviluppabile in casa”, con investimenti colossali che hanno riguardato l’Italia nell’ultimo anno: Microsoft a maggio 2020 ha annunciato un piano da 1,5 miliardi di euro per cloud, Ia, digitalizzazione in Italia, Amazon Web Services si sta ramificando sostenendo il distretto fintech di Milano per spingere la trasformazione digitale della finanza nazionale e di recente anche Oracle ha annunciato che la Penisola sarà un punto di riferimento per la strategia cloud dell’azienda nel futuro.

La contendibilità dell’Italia nella partita tecnologica globale è ben percepita negli Usa. E la via che potrebbe seguire il governo vedrà l’intervento sinergico tra autorità, aziende pubbliche e industria: “il Pnrr, con chiare indicazioni di Vittorio Colao, prevederà una sorta di crown hosting center, la joint venture pubblica privata”, a cui dovranno non solo aderire i colossi nazionali e stranieri, ma anche numerosi piccoli sviluppatori.

La ritrovata di Giorgetti

Si nota dallo schema prospettato che il digitale, che dal Pnrr riceverà circa 25 miliardi di euro, è uno dei settori in cui rientreranno le competenze di un ministero non affidato a un tecnico. Parliamo del ministero dello Sviluppo Economico oggi guidato da Giancarlo Giorgetti che già nei governi precedenti aveva avuto un forte potere discrezionale sul 5G e i settori affini. Il Mise guidato dal leghista appare già, dai vaccini alle Tlc, come una delle caselle strategiche del governo. E la svolta “atlantica” che il Pnrr lascia trasparire non può non avere anche il sigillo di un esponente politico che da tempo lavora per rafforzare la saldatura tra il Carroccio e gli ambienti americani.

In sinergia col Copasir del collega di partito Raffaele Volpi Giorgetti si è sempre fatto promotore di dare la preferenza agli operatori europei e statunitensi nel campo delle reti di ultima generazione, come dimostrato dal graduale ampliamento del golden power operato su iniziativa di Giorgetti nel governo Conte I e su stimolo del Copasir ai tempi del governo giallorosso. Roma, in quest’ottica, può giocare da “cerniera” tra gli States e le nuove architetture digitali comunitarie, controbilanciando e completando l’asse tecnologico franco-tedesco. La riscrittura del Pnrr sul digitale, insomma, esplicita una precisa scelta di campo. Che impegna tutto il governo a seguire le parole esplicite di Draghi in materia. E trasmette questo concetto ai progetti concreti.

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