Cambiare le carte in tavola prima di perdere la partita. Fuori di metafora, le carte sono le norme che regolano l’economia della Cina, mentre la partita è il confronto a distanza tra il Dragone e gli Stati Uniti. Gli ultimi dati ufficiali non lasciano presagire niente di buono, soprattutto per la periferia dell’ex Impero di Mezzo. Il divario economico tra la Cina moderna delle megalopoli e la Cina arretrata delle campagne, infatti, è sempre più marcato ed evidente. Basti pensare che fino a questo momento oltre un terzo delle province cinesi non è riuscito a raggiungere gli obiettivi di crescita prestabiliti, e che le province più povere dell’entroterra sono cresciute a ritmi molto più lenti rispetto a quelle situate lungo la costa orientale e meridionale. La guerra dei dazi con Washington avrà senza ombra di dubbio contribuito a rendere tali complicazioni più evidenti, ma a pesare ci sono anche diverse criticità interne.

La grande difficoltà delle province interne

Come sottolinea il South China Morning Post, nel 2018 la provincia più prospera della Cina è stata quella del Guandong, che è cresciuta del 6,4% nei primi tre trimestri del 2019. Se però ci spostiamo nella parte nord-orientale del Paese, ovvero dove si trova la cosiddetta Rust Belt cinese, notiamo come Liaoning, Heilongjiang e Jilin non siano state in grado di spiccare il volo,. Anzi: Liaoning doveva raggiungere una crescita del +6,5% ma si è dovuto accontentare del +5,7%; Heilongjiang aveva prefissato un bel +5% ma si è fermato al +4,3%; Jilin, addirittura, è cresciuto dell’1,8% a fronte del +6% stimato. È andata male anche ad altre province, tra cui lo Shadong, Hainan, Guangxi, Shaanzi, Tibet, Qinghai, senza considerare che non vi sono ancora dati disponibili per fotografare la situazione dello Xinjiang e dello Hebei.

Un pericolo da non sottovalutare

Il pericolo che ci raccontano questi dati è grande. In seguito alla guerra dei dazi e alle tensioni commerciali con Washington, Pechino si è affidato alla domanda interna per compensare il rallentamento riscontrato nelle esportazioni. Il problema è che i consumi interni, l’ancora di salvezza cinese, si sono inceppati per via di problemi strutturali insiti nel sistema economico cinese. Alcuni esempi di criticità sono i prezzi gonfiati, come ad esempio il costo delle abitazioni, ormai in certe aree così alto che il rischio dell’esplosione di una bolla immobiliare è da tempo dietro l’angolo. Possiamo inoltre citare gli enormi debiti dei governi locali, che hanno sperperato denari statali e prestiti bancari per realizzare progetti costosi quanto inutili. Ma anche i citati prestiti, che molte banche hanno concesso in modo fin troppo allegro.

Le soluzioni possibili

La soluzione, sottolineano alcuni esperti, compresi analisti cinesi, è quella di affidarsi a serie riforme strutturali. La scorsa settimana l’élite del Partito Comunista si è riunito nella quarta sessione plenaria del 19esimo Comitato centrale per discutere su come modernizzare la governance statale. Xi Jinping, più forte che mai in sella al Dragone, avrebbe l’opportunità di invertire il trend puntando su due armi: la deregolamentazione e l’ulteriore apertura del mercato. Anche a costo di mantenere il controllo dell’economia, la Cina deve scuotersi. Pechino ha bisogno come ossigeno di cambiamenti strutturali per far avanzare la propria economia, oppressa dal debito e dalle tariffe.





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