Al punto 7 del “Contratto per il governo del cambiamento” siglato da Lega e Movimento Cinque Stelle nel maggio 2018 si leggeva chiaramente come uno degli intenti dell’esperienza di governo terminata poche settimane fa sarebbe stato convincere le autorità europee a “scorporare la spesa per investimenti pubblici dal deficit corrente in bilancio, come annunciato più volte dalla Commissione europea e mai effettivamente e completamente applicato”. Tale battaglia, complice il muro contro muro con Bruxelles e la carenza stessa degli investimenti nella programmazione economica gialloverde, è stata annunciata a più riprese dal premier Giuseppe Conte e dal ministro dell’Economia Giovanni Tria senza tramutarsi in proposte politiche concrete. Ma al contempo ha anticipato una presa di posizione che è stata condivisa dal governo Conte e dal ministro dell’Economia dell’Italia giallorossa Roberto Gualteri nelle sue prime uscite pubbliche all’Ecofin e all’Eurogruppo.

Dal gialloverde al giallorosso, i nuovi cantori del deficit

Ottenere spazio di manovra per il “superdeficit“, ovvero un deficit di bilancio reale eccedente quello presentato alla Commissione attraverso la manovra approvata da Bruxelles, da priorità gialloverde è diventata ora, nonostante i cambi di retorica sull’Europa e l’annuncio di una “nuova era”, un’ipotesi tutt’altro che minoritaria. Tanto che oltre alla coalizione M5S-Pd, al presidente del Consiglio Giuseppe Conte e al commissario designato Paolo Gentiloni l’idea sta conquistando fette di opinione ostili al precedente esecutivo. Per fare alcuni nomi, si sono espressi a favore di questa ipotesi gli economisti Carlo Cottarelli e Lucrezia Reichlin e il politologo Maurizio Ferreraeditorialista del Corriere della Sera.

In questo caso, tutti i sostenitori del “superdeficit” mirano a saldare la conquista di spazio di manovra per il Paese, molto spesso motivata politicamente con la marginalizzazione dell’euroscetticismo leghista, con la proposta della presidente della Commissione Ursula von der Leyen di un “Green new deal” europeo, ipotesi fatta propria dal premier Conte nel suo secondo discorso di insediamento. Il superdeficit sarebbe dunque ottenibile scorporando non tutti gli investimenti pubblici, ma quelli dedicati alla crescita verde e sostenibile.

Una visione semplicistica?

Queste visioni peccano di un forte limite: si basano su assunti fallaci legati alla maggiore accettazione europea di qualsiasi proposta proveniente da Roma dopo la nascita del nuovo governo, come se oltre al governo italiano fosse cambiata anche l’Europa. Come se la nuova Commissione e i nuovi equilibri di potere non conferissero all’asse nordico (Germania, Belgio, Irlanda, Olanda, Paesi baltici) un’influenza notevolmente maggiore rispetto a quella esercitata dai Paesi mediterranei, fatto confermato dalla stessa subordinazione di Gentiloni al “coordinamento” del falco lettone pro-austerità Valdis Domborvskis. Ex sostenitori del mantra “ce lo chiede l’Europa”, commentatori che hanno giustificato luoghi comuni e informazioni fallaci per sostenere le scelte pro-austerità della Commissione in Grecia e negli altri Paesi colpiti dalla recessione, si convertono sulla via di Damasco al superamento dell’austerità e si dimenticano degli equilibri di potere vigenti in Europa e del fatto che, se “Green New Deal” sarà, lo si farà alle condizioni dei Paesi dell’asse reggente il Vecchio Continente. Continuando, dunque, la vigilanza di ferro sui conti pubblici italiani che lascia ben poco spazio al nostro Paese.

Certo, la von der Leyen ha parzialmente rinnegato le logiche austeritarie, ma c’è da aspettarsi che la sua Commissione non cambierà fino in fondo, per questioni politiche e di forma mentis, la linea dell’era Juncker. E se avverrà un superamento del rigore granitico, i benefici saranno prima per i Paesi nordici, tra cui la Germania in crisi, e poi per l’asse mediterraneo. L’Italia potrà negoziare più deficit o un po’ di respiro su conti e Iva, ma senza un’iniziativa politica degna di questo nome il superdeficit resta un’aspettativa senza prospettive concrete di realizzazione.

La necessità di una manovra coraggiosa

L’unica alternativa sarebbe la presentazione di una manovra finanziaria coraggiosa, giocata tutta all’attacco: e anche nel campo della sostenibilità e dell’ambiente in questo campo ci sarebbe molto da fare senza doversi costringere a una manovra che sembri il frutto dell’incontro tra Alexis Tsipras e Greta Thunberg.

“Questa nuova Commissione europea deve capire che non ci sono solo le rinnovabili come investimenti, ma anche quelli con cui evitare delle catastrofi che al pari delle prime vanno tenute fuori dal deficit. Il fatto è che è sbagliato pensare che la sostenibilità sia solo energia rinnovabile, c’è molto altro. Per esempio il risparmio energetico, che è la vera partita anche per l’Italia”, ha detto l’economista Alberto Clò a Formichefacendo giustamente notare che “dobbiamo partire dal dissesto idrogeologico del nostro Paese. Servono politiche per prevenire disastri naturali, per ridurre i mille punti di vulnerabilità del nostro Paese”.

Un governo capace di avere una visione d’insieme priva di retoriche ambientaliste semplificatorie e fini a se stesse potrebbe davvero addurre argomentazioni per porsi come punto di riferimento per le nuove politiche europee di sostenibilità rilanciando la bontà della spesa in deficit per investimenti. Ma se resteremo al traino delle nuove politiche promesse dalla von der Leyen, molte prese di posizione rischiano di rimanere belle parole scritte su carta senza possibilità di concretizzazione. Prima di parlare di un eventuale “superdeficit”, i suoi nuovi cantori dovrebbero pensare con chiarezza alle modalità con cui lo vorrebbero utilizzare





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