Aveva rappresentato negli ultimi anni uno dei casi più eclatanti di mala-gestione bancaria; ma adesso – a quasi due anni di distanza dalla ricapitalizzazione che aveva “tagliato” fuori la famiglia Malacalza – la situazione di Banca Carige non sembra essere assolutamente migliorata. Secondo quanto riportato dalla testata giornalistica Businessinsider, infatti, allo stato attuale e rispetto al 2019 sarebbero già stati bruciati oltre 340 milioni di euro di valore d’investimento iniziale. E in buona parte, avrebbero colpito il Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd), il principale intermediario entrato in scena per salvare dalla bancarotta l’istituto genovese e che adesso si ritrova a fare i conti con un salasso ben oltre ogni aspettativa.

Che cos’è il Fitd

Il Fondo interbancario di tutela dei depositi è un fondo comune all’interno del quale ogni anno le banche sono tenute a versare una parte del proprio patrimonio per far fronte a quelle crisi che, colpendo uno o più istituti, metterebbero in pericoli i risparmi dei consumatori. Nato dunque con lo scopo di tutelare i correntisti e in generale le persone più fragili che verrebbero messe in difficoltà dall’insolvenza di un istituto di credito, nella situazione di Carige è risultato fondamentale per salvare la banca da sicura bancarotta.

Tuttavia, le cause che sono state intentante dalla famiglia Malacalza a seguito della vicenda e la situazione drammatica in cui versano le casse dell’istituto non hanno reso facile la vita alla nuova dirigenza, aumentando ulteriormente le criticità quotidiane dell’istituto attualmente sotto amministrazione straordinaria della Banca centrale europea. Nonostante infatti i “vantaggi” garantiti dallo status amministrativo attuale, come detto precedentemente la situazione è lungi dall’essere sensibilmente migliorata, aprendo purtroppo la strada a scenari bui per la banca genovese.

Carige e le paure della Liguria orientale

Banca Carige rientra in quella lunga serie di istituti bancari che sono entrati in difficoltà a seguito della Crisi dei debiti sovrani del 2011, quando la recessione e la contrazione del potere d’acquisto dei consumatori ha colpito in generale il Vecchio continente e, in particolar modo, l’Italia. A causa dei minori guadagni sui finanziamenti causati dalla decisione della Bce di abbassare i tassi d’interesse e a seguito dell’aumento dei crediti in sofferenza (arrivati al 35% del totale), la situazione di Carige era degenerata già nel 2017, quando a seguito della quarta chiusura di bilancio in rosso il consiglio di amministrazione varò un piano di risanamento volto, entro il 2020, a riportare in territorio positivo gli utili societari.

Nonostante l’intervento del Fitd e la forte ristrutturazione aziendale alla quale si è affidata, tuttavia, l’obiettivo non è stato assolutamente raggiunto, facendo sprofondare l’istituto in una crisi sempre più profonda che rischia di avere gravi risvolti su tutta la Liguria (e non solo). Grazie infatti alla fitta presenza sul territorio ed al lavoro svolto soprattutto nel primo decennio del XXI secolo, Banca Carige era riuscita a posizionarsi in una posizione di rilevo sul territorio ligure e sull’Altra Toscana, arrivando a gestire un notevole portafoglio di investimenti. Portafoglio che, con l’instabilità dell’istituto, è stato però di fatto messo più volte in pericolo.

Difficilmente però l’istituto bancario genovese sarà in grado di reggere ancora per molti anni, considerando come dal 2014 a questa parte siano stati bruciati già oltre due miliardi di ricapitalizzazione e come il trend sia lungi dall’essere invertito. E soprattutto, senza dimenticarsi di come le manovre messe in campo dagli amministratori straordinari (Fabio Innocenzi, Pietro Modiano e Raffaele Lener) non siano riuscite a migliorare la situazione. In uno scenario che, presto o tardi, potrebbe obbligare l’Italia e la Bce a entrare nuovamente in campo, con tutte le conseguenze del caso.

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