Si è concluso ieri il primo Eurogruppo a seguito delle recenti elezioni europee e pare che a vincere sia stata, ancora una volta, la linea dura dei rigoristi.

Occorre ricordare che l’Eurogruppo pur essendo una riunione di alto livello che raccoglie tutti i ministri dell’economia dei 19 Stati dell’area euro, non assume decisioni vincolanti, le quali spettano invece all’Ecofin (quello che deciderà sulla procedura d’infrazione contro l’Italia per intenderci).

In Europa stanno di nuovo vincendo i rigoristi?

Tuttavia in tale consesso di coordinamento si possono già iniziare a comprendere i diversi pesi e rapporti di forza tra i Paesi membri. In questo senso l’ultimo Eurogruppo pare aver sancito la vittoria della linea dei paesi del nord Europa. Come riportato dal Sole24Ore negli ultimi mesi si erano andate a formare principalmente due visioni differenti circa la futura conduzione della politica economica dell’area euro.

La prima, portata avanti soprattutto dalla Francia, prevedeva che l’introduzione di un nuovo bilancio comune europeo potesse permettere il finanziamento della crescita economica e la stabilizzazione dei Paesi in crisi. In pratica, si tratta di quel famoso scorporamento di parte degli investimenti pubblici nazionali, ritenuti rilevanti, dal conteggio del deficit e del debito secondo i parametri stabiliti a Maastricht. Inoltre tale proposta tendeva ad escludere, o meglio a mitigare, le richieste di riforme strutturali condizionate all’accesso dei finanziamenti europei aggiuntivi.

Questo sulla base del caso storico della Grecia, dove le riforme strutturali imposte in cambio di credito hanno portato a più effetti negativi sommati: il peggioramento del bilancio nazionale e la recessione economica permanente.

L’ultimatum della Spagna è il preludio della fine dell’euro?

La seconda opzione, quella vincitrice, è stata invece portata avanti dall’Olanda e prevede in pratica il mantenimento dello status quo. La paura dei Paesi del nord è sempre la stessa: facilitare l’accesso a fondi di finanziamento europei per i Paesi in difficoltà potrebbe portare al dissesto dei loro conti pubblici. La reazione alla vittoria dei falchi è stata particolarmente veemente in casa spagnola, dove il Ministro delle Finanze, Nadia Calviño, già prima dell’Eurogruppo aveva rilasciato dichiarazioni che apparivano come un aut aut.

Come riportato su un articolo di El Mundo: “La Spagna è ferma: o uno strumento europeo stabilizzatore e anticiclico oppure nulla” e nello stesso articolo si potevano poi leggere le dichiarazioni del Ministro che non esitava a dire che: “Se non c’è alcuna componente di stabilizzazione nel bilancio della zona euro, dovremo abbandonarla del tutto”. L’Eurogruppo sembra quindi aver disatteso le aspettative spagnole e del fronte che reclamava a gran voce uno strumento in grado di aiutare gli Stati europei ad affrontare periodi di recessione economica.

È vero che l’Eurogruppo non assume decisioni vincolanti, ma tale riunione traccia in maniera piuttosto chiara l’indirizzo da assumere per i prossimi anni. Una visione che potrebbe manifestarsi anche nelle imminenti nuove nomine dei principali organi dell’Unione europea. Se il futuro Presidente della Banca centrale europea dovesse, per esempio, condividere l’impostazione economica dei Paesi del nord, a quel punto diventerebbe impossibile un qualsiasi tipo di opposizione per gli Stati dissidenti.

La Spagna ha già espresso una sorta di ultimatum, l’Italia potrebbe farlo qualora si palesi concretamente la procedura d’infrazione. Gli Stati del sud Europa si stanno forse predisponendo per una silenziosa, ma ordinata uscita dall’euro?