Le banche centrali a livello mondiale hanno dato il via a politiche monetarie espansive. Dopo gli annunci di Bce e Federal Reserve sono arrivati anche i tagli delle Banche Centrali di Nuova Zelanda, India e Thailandia. Immediata la reazione del presidente statunitense Donald Trump che torna a scagliarsi contro la Fed ed il suo governatore, Jerome Powell. “Altre tre banche centrali hanno tagliato i tassi d’interesse- twitta Trump – Il nostro problema non è la Cina. Il nostro problema è la Federal Reserve troppo orgogliosa per ammettere i propri errori”. Sin dal suo insediamento Trump si mostra, infatti, contrario all’operato di Powell, caldeggiando persino una sua possibile rimozione dal timone della banca centrale americana. 

In questo scenario ritorna in auge la questione dell’indipendenza delle banche centrali. A tornare sull’argomento sono i  stati i quattro predecessori di Powell, gli ex numeri uno della Fed Paul Volcker, Alan Greenspan, Ben Bernanke e Janet Yellen in un editoriale pubblicato sul Wall Street Journal in data 5 agosto. Nell’articolo i quattro ex governatori dichiarano di essere uniti nella convinzione che la banca centrale e il suo governatore debbano necessariamente avere il permesso di agire indipendentemente dagli interessi politici e nel miglior interesse dell’economia, liberi da pressioni politiche di breve termine e scevri da ogni minaccia di rimozione per ragioni politiche. 

Indipendenza o non indipendenza?

Se un presidente come Trump chiama la Fed ad operare in favore degli interessi del paese, ci si chiede quanto sia giusto che una banca centrale presti attenzione alle richieste politiche e, d’altro canto, quanto sia necessario mantenere un certo livello di neutralità. Una dottrina delle due spade applicata all’economia.

Le tesi a favore dell’autonomia di una banca centrale dal controllo governativo sono molteplici. La prima sottolinea come l’assoggettamento degli istituti agli interessi del governo potrebbe minare i mercati finanziari e danneggiare l’economia. I governi infatti, sempre dipendenti dalle elezioni politiche, potrebbero più facilmente decidere per politiche monetarie accomodanti tese a soddisfare gli obiettivi di breve termine. Con l’abbassamento dei tassi d’interesse, infatti, si vedrebbe una conseguente crescita dei redditi, così come dell’economia in generale, e una riduzione della disoccupazione. Tutto questo garantirebbe al governo in carica la sua rielezione. Maggior liquidità, tuttavia, è la principale causa dell’inflazione che porta all’aumento dei prezzi e alla conseguente perdita di potere d’acquisto della valuta. È chiaro, quindi, come una politica monetaria troppo espansionistica possa avere ripercussioni, negative, nel lungo termine sull’economia di un Paese.

Al contrario, una banca centrale indipendente opererà sempre negli interessi di buone performance macroeconomiche. Una maggior autonomia, difatti, sembra portare esiti favorevoli in termini di inflazione, quindi ad una maggiore stabilità dei prezzi. Ed è proprio la stabilità dei prezzi ad essere il principale obiettivo delle banche centrali.

Una seconda freccia scagliata a favore dell’indipendenza riguarda la credibilità dell’istituto stesso. Una banca laica da interessi politici ottiene più fiducia dai cittadini che vedranno in essa un ente operante solo negli interessi dell’area servita e non di un movimento politico o di governo.

Esistono anche le tesi a favore di un maggior controllo da parte dei governi. Vi sono argomentazioni che sostengono come una totale indipendenza delle banche centrali sia, di per sé, una scelta antidemocratica. Le banche centrali sono, a tutti gli effetti, degli enti privati che tuttavia prendono decisioni riguardanti la vita di ogni singolo cittadino. Il cittadino, tuttavia, non ha alcun ruolo nell’elezione dei membri dei vari board che andranno ad attuare quelle politiche monetarie prerogative delle banche centrali. Affidare, quindi, un tale potere ad una élite di banchieri sembra discostarsi dalle nature democratiche di Paesi come gli Stati Uniti o i Paesi membri dell’Unione Europea.

La situazione attuale di Fed e Bce

Ad oggi sia la Federal Reserve che la Banca centrale europea risultano avere un alto grado di indipendenza dalle forze politiche. Il principale indicatore di tale autonomia è la provenienza dei redditi, cioè la sua cosiddetta indipendenza finanziaria. Da una parte, la Federal Reserve registra i propri redditi dal possesso di titoli e dai prestiti elargiti alle banche. Mentre la Banca centrale europea forma il suo capitale dai versamenti delle singole Banche centrali nazionali che ne fanno parte. Entrambi gli istituti godono anche di autonomia nella definizione dei propri obiettivi e dei propri strumenti. La Federal Reserve, però, vede ancora una limitazione nell’indipendenza personale. Se è vero che i governatori del Board dei governatori rimangono in carica per 14 anni, coprendo quindi più di una presidenza e garantendo, quindi, l’estraneità a qualsiasi interesse politico, d’altra parte la nomina degli stessi è operata dal presidente degli Stati Uniti e approvata in Senato. Essa è inoltre soggetta alle decisioni del Congresso, il quale ha redatto la legislazione che regola la vita della Federal Reserve stessa e ha i poteri di rivederla se considerato necessario.

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