Con lo scoccare delle 24 del 31 gennaio, il Regno unito ha lasciato l’Unione europea, con una separazione consensuale alla quale però dovranno seguire delle lunghe trattative per giungere a nuovi accordi commerciali e di immigrazione. Tuttavia, con l’uscita della Gran Bretagna dalla Comunità europea, la stessa sorte è toccata anche ai propri protettorati, i quali però non necessariamente possiedono un’economia in grado di adattarsi con rapidità ai forti cambiamenti della situazione. Uno di questi casi, e che coincide con l’unico lembo di terra posseduto dalla corono britannica nel Vecchio continente, è riscontrabile in Gibilterra, nell’estrema punta meridionale della penisola iberica.

Estremamente importante negli scorsi secoli in quanto garantiva il controllo del Mediterraneo, negli ultimi settant’anni ha ricoperto un ruolo marginale all’interno del panorama economico del Regno unito. Tuttavia, date le sue piccole dimensioni e le poche esigenze di gettito erariale, è stata una salvezza per molti imprenditori – soprattutto iberici – che nella città hanno trovato la propria fortuna. In particolare, il fenomeno di migrazione verso Gibilterra ha avuto un’impennata dopo la rivoluzione digitale, dando sede a molte società operanti nei servizi di hosting web ed alle piattaforme di gioco online. Tutto questo però adesso diventerà sempre più difficile.

L’appartenenza all’Unione europea garantiva infatti la possibilità di operare all’interno del panorama dell’Europa avendo regolare sede a Gibilterra: prerogativa che, con la Brexit e con un accordo ancora mancante, al momento sembra divenire impossibile. In questo scenario, la moltitudine di imprenditori che avevano scelto il piccolo protettorato come base per i propri affari potrebbe decidere di emigrare in altri Paesi dal fisco più vantaggioso: Lussemburgo, Estonia o, se si volesse rimanere nella penisola iberica, Andorra (la quale facilmente nei prossimi mesi rafforzerà i propri legami con Bruxelles). E perdendo in aggiunta anche buona parte del proprio gettito bancario, la dura contrazione dell’economia di Gibilterra, più che essere uno spettro alla porta, sarà una dura realtà con cui fare i conti.

Con la chiusura delle società e delle aziende, la domanda di lavoro interna subirà una brusca frenata, in un ambiente che difficilmente, data anche la sua natura geografica, renderà riconvertibile il panorama economico. Senza poter operare liberamente con l’Unione europea e senza la possibilità di attrarre il mercato interno del Regno unito, col passare degli anni il protettorato rischia di essere limitato a remoto angolo di frontiera, divenendo soltanto l’ombra di quello che è stato negli ultimi settant’anni.

Le stesse possibilità che il governo britannico abbia un occhio di riguardo per Gibilterra sono molto scarse. Con il pugno duro che Boris Johnson è deciso a mettere in atto nei confronti di Bruxelles, un’apertura per garantire i diritti della piccola Gibilterra perde di rilevanza, rischiando di essere un punto debole che il leader Tory non è disposto a mostrare; nonostante i rischi per la popolazione del remoto angolo della penisola iberica. Con Gibilterra che, dal canto suo, mantiene un ristretto margine d’azione, sebbene possa sperare di ottenere un aiuto dalla Spagna, con la quale da anni mantiene la quasi totalità dei propri rapporti commerciali che non sono di natura prettamente digitale. Tuttavia, anche sotto questo aspetto l’attuale governo a trazione socialista guidata da Pedro Sanchez offre ben poche speranze, considerando soprattutto le volontà di rilancio dell’economia spagnola e che dalle difficoltà di Gibilterra non può che trarne guadagno. Con il piccolo protettorato che, da cuore pulsante del Regno unito all’interno dell’Unione europea, rischia di essere rilegato (nuovamente) a sventurato avamposto militare di confine, senza alcuna possibilità di rilancio economico.

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