Da una parte la narrativa di chi interpreta la Brexit come uno spauracchio senza fine, dall’altra le previsioni economiche e le rilevazioni statistiche che raccontano tutta un’altra storia: è già successo per gli Stati Uniti, con l’elezione e la presidenza di Donald Trump. E anche in relazione alla fuoriuscita della Gran Bretagna dall’Unione europea, la verità dei fatti differisce dalle certezze che i media mainstream tendono ad enunciare.
Partiamo dalla politologia: Boris Johnson viene descritto come un leader in caduta libera, come il premier più dedito al caos della storia del Regno Unito. Il leader che condurrà tutti, Europa compresa, nel baratro. E la persona destinata a portare in dote una serie di record negativi. Ma gli elettori non sembrano pensarla così. I conservatori continuano a far registrare performance di tutto rispetto. I sondaggi dimostrano come, in caso di elezioni anticipate, il primo ministro britannico supererebbe di ben 14 punti gli oppositori socialisti guidati da Jeremy Corbyn. Non male per uno che dovrebbe essere inviso al popolo, ma che in realtà suscita soprattutto le antipatie dei benpensanti. Johnson vuole evitare le urne ma, in caso non esistesse altra soluzione, dovrebbe comunque uscire vincente dall’appuntamento elettorale. Il vento pro Brexit spira ancora. Qualcuno, forse, ha dimenticato l’esito delle elezioni europee dello scorso maggio. A Nigel Farage e al suo Brexit Party sono bastati pochi mesi per ottenere il 32% dei consensi. L’esponente sovranista era scomparso dall’agone. Poi, avendo annusato la necessità e l’opportunità di confermare i risultati del referendum del 2016, è tornato in auge, organizzandosi in qualche settimana. Si tratta dello stesso Nigel Farage pronto a seppellire l’ascia di guerra con i Tories per favorire la Brexit nella versione johnsoniana. Ma è un dettaglio che sfugge ai più.
Le elezioni primarie che hanno sancito la vittoria di Boris Johnson hanno anche offerto la possibilità di constatare il pensiero della base conservatrice. Certo, c’è una frangia liberal che scongiurerebbe volentieri l’hard Brexit, cioè la fuoriuscita senza previo accordo contratto con Bruxelles, quella che Boris Johnson vuole portare a dama entro il 31 ottobre, ma la maggior parte degli iscritti al partito la pensa come l’ex sindaco di Londra. Un conto è quello che accade in Parlamento, con i passaggi di casacca dei parlamentari europeisti, un altro è quello che una volta si sarebbe chiamato “sentimento popolare”. Ma pure questo passa in secondo piano. Nonostante ben due elezioni, una interna a una formazione politica e una aperta a tutto l’elettorato, abbiano consigliato prudenza ai detrattori della Brexit. Il dato politologico, insomma, è chiaro: i successi di Boris Johnson e di Nigel Farage, pur tenendo in considerazione tutte le differenze del caso, testimoniano come, nella mente dei britannici, la Brexit rappresenti almeno qualcosa di più di un’opzione. E poi ci sono i fattori macroeconomici.
Gli effetti sul lungo periodo non possono ancora essere ancora valutati, ma conosciamo le conseguenze degli aspetti previsionali: Milano Finanza ha sottolineato come il tasso di disoccupazione nel Regno Unito stia attraversando una discesa degna di considerazione. Ora si è attestato al 3.9%, che è una cifra “migliore delle attese che prevedevano un tasso stabile al 4%”. Anche negli Stati Uniti il protezionismo ha alimentato dinamiche percentuali simili. Donald Trump si giocherà la rielezione pure su come ha risollevato le sorti della Rust Belt. L’ottimismo, nel mondo anglosassone, è l’atteggiamento che sembra dilagare. Pure perché, alla crescita del tasso di occupazione, in Gran Bretagna può essere affiliato anche l’incremento degli stipendi. La fonte sopracitata, relativamente all’impennata delle retribuzioni, ha appuntato quanto segue: “…registra un incremento del 3,4%, analogo a quello di dicembre”. Non male per chi si prepara a sprofondare in un abisso senza possibilità di appello.
Il punto è che la Brexit è un unicum della storia contemporanea. Emettere sentenze è azzardato. Non è detto che la fuoriuscita dalla Ue della Gran Bretagna si tramuti nella stesura di un libro dei sogni, ma non è prudente neppure asserire il contrario. Bisogna aspettare. Di sicuro c’è che, rispetto alla narrazione corrente, esiste almeno qualche altra verità. Boris Johnson, infine, sarà pure sgradito all’opinione dei commentatori, ma è ai suoi elettori che deve rispondere.