Ci sono molti modi per cercare di stimolare l’economia in un momento segnato dalla recessione oppure in concomitanza di tensioni macroeconomiche potenzialmente in grado di destabilizzare l’apparato economico di una nazione – o di un mercato comune, come nel caso dell’Unione europea. Il loro utilizzo, infatti, ha lo scopo di sorreggere il sistema e invogliare soprattutto gli investimenti dei privati in un momento in cui l’estrema indecisione del mercato suggerirebbe prestare maggiore attenzione nell’impiego del denaro.
Nel mondo della politica monetaria, ciò si è sempre tradotto con due “semplici” soluzioni: la svalutazione della moneta (volta a favorire soprattutto l’acquisto di beni immobili) e la contrazione dei tassi d’interesse (volta, invece, a incentivare gli investimenti nell’impresa). Mentre però per definizione stessa dell’Euro la prima strada non è mai stata realmente praticata, dal 2008 in avanti la seconda è stata invece quella privilegiata per venire incontro alle difficoltà che hanno più volte colpito negli ultimi 12 anni l’Europa. Tuttavia, adesso, il suo utilizzo prolungato in una situazione in cui gli effetti benefici non si sono rivelati poi così tangibili rischia di creare una serie di problemi aggiuntivi e che con il passaggio della pandemia di coronavirus – dove proprio dai risparmi potrebbe giungere la salvezza di molte famiglie – essi si potrebbero acutizzare.
Da che cosa nascono i tassi negativi?
In politica monetaria, è definito tasso di sconto il “prezzo” attraverso il quale le banche si riforniscono presso gli istituti di moneta centrali – nel caso dell’Eurozona, la Banca centrale europea – per poter a loro volta operare sul mercato del credito. E in questa situazione, dunque, è facilmente intuibile come il tasso d’interesse finale pagato dal consumatore sia una diretta conseguenza del tasso d’interesse pagato dalle banche stesse per l’approvvigionamento del denaro, in modo non diverso da una normale condizione di acquisto-vendita.
Quando una banca centrale come la Bce decide dunque di abbassare sino a rendere negativi i tassi d’interesse la sua operazione è da intendersi come diretto incentivo all’indebitamento dei privati al fine di garantire una mole maggiore di crediti al consumo e di investimenti in attività commerciali. E questa soluzione, tendenzialmente, viene messa in atto in una situazione di forte recessione economica, con lo scopo di attutirne gli effetti e di garantire una ripresa più celere dei mercati.
Tuttavia, un suo utilizzo prolungato porta con sé due conseguenze dalla difficile gestione: un sempre maggiore indebitamento privato che rischia di non essere restituito e soprattutto una forte contrazione della propensione al risparmio. E con il passaggio della pandemia sul nostro continente, proprio da queste due problematiche potrebbero nascere le criticità maggiori nei prossimi anni – le quali, questa volta, non potrebbero conseguentemente essere affrontate tramite l’ausilio della politica monetaria tradizionale.
Tutto ciò perché, per definizione stessa, questa strategia è stata studiata per essere attuata nel breve periodo con lo scopo di generare una domanda “artificiale” destinata ad esaurirsi quando la sua controparte reale sia tornata nella condizione di poter crescere nuovamente.
Nella situazione dell’Europa però, e costantemente dal 2008 in avanti, la crescita della domanda reale non è mai stata sufficiente a mettere la Bce nella condizione di poter nuovamente aumentare i tassi. E tutto questo, di conseguenza, ha reso lo stesso mercato europeo dipendente da una domanda artificiale che non può in questo modo essere dismessa.
Con la pandemia i tassi negativi sono un problema
A questo punto, è doveroso fare una precisazione. Come sottolineato precedentemente, l’ausilio di politiche monetarie espansive è fondamentale nella misura in cui si voglia garantire una rapida ripresa dell’economia reale in una situazione in cui le condizioni sembrerebbero non poterlo permettere. Tuttavia, oltre a drogare gli equilibri finanziari dei mercati, questa decisione comporta una serie di cambiamenti tangibili anche sugli stessi risparmi dei privati.
Innanzitutto, una maggiore facilità nell’accesso al credito facilità l’avvio di nuove attività commerciali e soprattutto gli investimenti nelle attività già avviate. Tuttavia questa soluzione, congeniata per i periodi iniziali di crisi, dovrebbe aver lo scopo di favorire la nascita di imprese pronte ad operare a pieno regime nel momento in cui l’economia si possa considerare ripartita. E nello scenario attuale, invece, ha dato vita a tutta una serie di aziende nate in mezzo alla crisi e ritrovatesi ad operare all’interno di una seconda grande crisi, in una situazione che ha reso difficoltoso quando non impossibile restituire le somme di denaro prese a prestito.
Ma non solo. Non avendo costi nell’approvvigionamento di denaro dagli istituti centrali, le banche smettono anche di pagare interessi sui depositi attivi dei clienti – arrivando addirittura, come nel caso della Germania, a richiedere commissioni per la loro gestione. E questo, di conseguenza, limita le capacità di risparmio della popolazione. Nella situazione attuale però, con l’Europa alle prese con la lotta contro la pandemia e con l’aumento della disoccupazione, sono proprio i risparmi dei privati ad essere potenzialmente il rifugio di molte famiglie. E sotto questa luce, dunque, l’assenza di interessi sui depositi ed i costi da sostenere per la gestione dei conti bancari diventa un ulteriore problema nel problema, acutizzando ulteriormente una crisi che sembra davvero non terminare.
Potrebbe “rinascere” l’inflazione?
Come sottolineato già negli scorsi mesi, sempre più banche centrali mondiali (come la Fed e la Bce) hanno dichiaratamente o velatamente ammesso di essere intenzionate a non porre freni eccessivi all’inflazione. Una decisione particolare, soprattutto se si considera come la stabilità monetaria sia stato un pilastro internazionale per le grandi economie in tutto questo inizio di XXI secolo. Ma la spiegazione del perché l’inflazione potrebbe essere la “nuova” arma per combattere la crisi è molto semplice: la strategia della contrazione dei tassi, purtroppo, è miseramente fallita e non può essere allo stato attuale né dismessa né riutilizzata.
Concludendo. Ricorrere all’inflazione potrebbe dunque essere l’unico strumento da mettere in campo per provare ancora una volta a dare fiato all’economia. Svalutando di fatto gli indebitamenti contratti e rendendo favorevoli gli investimenti di lungo periodo poiché in grado di “mantenere il valore”, la speranza è quella di dare la spinta definitiva non soltanto per superare i difficili mesi della crisi ma soprattutto per uscire da una situazione divenuta ormai di stallo. Tuttavia, anche questa strada non è priva di pericoli, soprattutto nella misura in cui il suo utilizzo divenga nuovamente eccessivamente prolungato nel tempo a causa dei pochi effetti. E soprattutto, potrebbe mettere l’Europa di fronte al fallimento più totale della sue politiche monetaria; situazione che, in ultima battuta, minerebbe la stessa stabilità ideologica della valuta comune.