Con la diffusione del coronavirus, la quasi totalità dei Paesi dell’Unione europea ha deciso di chiudersi a riccio, con la serrata delle attività non essenziali e con il contingentamento degli orari al fine di far fronte al propagarsi della pandemia. Le ristrettezze in termini di libertà che si accinge a vivere la popolazione d’Europa nelle prossime settimane saranno le più dure dalla fine della Seconda guerra mondiale: necessarie per debellare una malattia che mette in pericolo non soltanto la popolazione più anziana. Nonostante ancora non siano conosciute le tempistiche – c’è chi parla di un mese, chi di sei settimane, chi invece pensa due – appare chiaro come questo passaggio lascerà lungo la strada molte vittime e non esclusivamente a livello di vite umane. Le imprese e le aziende, infatti, saranno con ogni probabilità le vittime contingenti del Covid-19, disegnando uno scenario completamente nuovo al quale – nel bene e nel male – ci dovremo abituare.

Tra tutti i Paesi europei uno in particolare ha già espresso dubbi relativi alla resistenza del proprio sostrato economico, nonostante sia considerata delle economia più sane del vecchio continente: la Francia. Ma perché proprio Parigi corre i rischi maggiori?

In Francia l’economia  non può resistere più di un mese

È Alain Trannoy – uno dei massimi economisti della Francia – a lanciare l’allarme per quanto riguarda l’economia francese, che dal periodo di isolamento forzato rischia di uscirne strangolata. In una intervista alla testata francese Le Mondeegli ha ribadito come se la resistenza delle industrie del Paese sia in grado in effetti di superare un mese di fermo, oltre si entrerebbe in un territorio inesplorato che rischia di riservare delle brutte sorprese.

Ciò nasce in primo luogo dall’alto livello di indebitamento privato contratto dai cittadini e dalle aziende del Paese. Uno stop prolungato della attività lavorative implicherebbe infatti l’azzeramento degli incassi e della conseguente liquidità: componente fondamentale nell’esercizio delle attività economiche. Il clima di incertezza che seguirebbe anche le prime settimane di riapertura potrebbe infatti tardare ulteriormente una ripartenza a pieno regime che potrebbe essere la ghigliottina definitiva per molte attività francesi. E nonostante le ingenti misure messe in campo dall’esecutivo di Edouard Philippe, l’effetto domino che si scatenerebbe si ripercuoterà anche sul sistema bancario della Francia esponendo al pericolo anche i risparmiatori e generalizzando la crisi all’intero Paese.

Adesso il debito pubblico diventerebbe un problema

Nonostante l’indebitamento assoluto della Francia sia maggiore di quello italiano, il maggior grado di salute della sua economia e l’immenso Pil nazionale lo hanno reso assolutamente sostenibile in questi anni. E anche un ulteriore indebitamento per far fronte al Covid-19 – estrapolato dal contesto – non preoccuperebbe minimamente l’Eliseo. Tuttavia, il rischio di una recessione e soprattutto della chiusura di molte attività – oltre ai mancati incassi del turismo – si ripercuoteranno sul rapporto tra Debito pubblico e Pil, esponendo anche la Francia al rischio di  sovra-indebitamento.

Benché l’esecutivo francese abbia previsto un piano volto alla nazionalizzazione dei settori strategici nella situazione in cui le aziende in questione entrino in profonda crisi, tale soluzione si configura come un ingente costo iniziale cui guadagni inizieranno, forse, a vedersi tra qualche anno. E in questo scenario, le finanze della Francia rischiano di avviarsi verso un futuro grigio, che provocheranno la sfiducia anche degli investimenti internazionali.

Se crollano gli investimenti, la Francia trema

Sempre secondo quanto dichiarato dal professor Trannoy, un periodo prolungato di lockdown che superi le quattro settimane rischia di ripercuotersi anche sulla fiducia degli investitori internazionali. Fortemente indebitati e privi di liquidità proveniente dall’estero, in questo scenario anche le grandi società del Paese rischiano di non riuscire a far fronte alle difficoltà del mercato e si avvierebbero verso la chiusura dei battenti. A quel punto, persino un intervento diretto statale diventerebbe impossibile, a causa delle grandi cifre che andrebbero messe in gioco.

La speranza della Francia risiede dunque nella possibilità che tutto sia passato da qui a 30 giorni, lasso di tempo in cui gli impatti sarebbero tutto sommato assorbiti dalle liquidità delle imprese del Paese. Nel caso in cui però ciò si prolungasse nel tempo, i sentieri poco battuti renderebbero difficile anche la valutazione dei piani d’azione, gettando il Paese nel caos più totale. E la preoccupazione, adesso, è che proprio il tentennamento iniziale sull’introduzione delle misure restrittive abbia reso questa possibilità più ingombrante che mai.