La Banca europea degli investimenti (Bei), una delle istituzioni più interessanti e meno conosciute dell’Unione Europea, è entrata nel dibattito pubblico nelle ultime giornate in occasione dell’avanzata dello scontro interno al gruppo dei 27 Stati membri tra la proposta degli eurobond e la scelta dei rigoristi del Nord di trincerarsi dietro al Mes.

Secondo il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte, il presidente francese Emmanuel Macron e il premier spagnolo Pedro Sanchez la Bei, adeguatamente ricapitalizzata, potrebbe essere un volano per un’energica emissione di titoli comunitari unificati per i Paesi membri. Un’altra chiave di lettura la vede in sinergia con altre due istituzioni operative, il Fei e il Feis, per coordinare una “troika buona” capace di favorire politiche per la crescita.

Curioso, in un certo senso, che l’istituzione basata in Lussemburgo e esistente dal 1958 venga ripescata solo ora nelle discussioni di dominio pubblico. Parliamo di un vero e proprio colosso con una capitalizzazione da oltre 240 miliardi di euro, 600 miliardi di euro di prestiti attivi e un giro d’affari che annualmente varia tra i 60 e i 70 miliardi di euro. Il motivo di questa scarsa popolarità della Bei nelle discussioni europee ad alti livelli e nell’informazione economica è forse legata alla sua natura profondamente pragmatica, operativa e in netta controtendenza con l’ideologia del rigore e dell’austeritàsu cui i Trattati europei hanno modellato l’Unione Europea dagli Anni Novanta ad oggi.

Alla competizione sfrenata sotto l’ombrello del mercato comune la Bei contrappone solidarietà e cooperazione negli investimenti; al mito del rigore il sostegno all’investimento produttivo in capitale fisso; all’architettura barocca delle istituzioni di Bruxelles un’organizzazione agile e flessibile. Forse, adeguatamente ricapitalizzata, la Bei potrebbe benissimo procedere a fare ciò che, da tempo, porta avanti: promuovere la crescita sfruttando una dimensione operativa dieci volte maggiore di quella della Banca Mondiale.

Dallo sviluppo di investimenti pubblici per la crescita all’erogazione di finanziamenti alle Pmi (attraverso la mediazione di banche locali) o start-up (con modalità di venture capital) la Bei opera attivamente in diversi progetti. Ratio di fondo della sua condotta è contribuire al massimo per il 50% di ogni progetto così da poter gestire l’attivazione di una leva di investimenti pubblici e privati. Reti idriche, connessioni digitali, investimenti energetici sono stati negli ultimi anni al centro delle attività della Bei, che nel 2018 ha 854 progetti per un complessivo ammontare di 64,190 miliardi di euro, oltre 23 dei quali diretti alle piccole imprese d’Europa.

L’Italia, che col 19,21% del capitale della Bei guida la classifica dei partecipanti alle sue attività a pari merito con Francia e Germania, e stando alle proiezioni dei dati 2019 nell’anno trascorso sarebbe stato il primo fruitore dei suoi progetti, con 11 miliardi di euro in finanziamenti. Il nostro paese è seguito da Spagna, Francia e Germania. I progetti della Bei sono in stragrande maggioranza azzeccati. Definendola il “gigante nascosto”, nel luglio scorso il Financial Times sottolineava come la Bei avesse stralciato come inesigibili e, dunque, giunti a finanziare progetti non andati a buon fine prestiti per soli 300 milioni di euro a fronte dei 1.390 miliardi complessivamente erogati negli ultimi sessant’anni (lo 0,02%).

Nella risposta alla crisi economica da coronavirus la banca del Lussemburgo non si è fatta attendere. La Bei ha preparato un maxi-pacchetto di aiuti da 40 miliardi di euro che, fa notare La Stampa, “comprende schemi di garanzia dedicati alle banche basati su programmi esistenti, mobilitando fino a 20 miliardi di euro di finanziamenti; linee di liquidità dedicate alle banche per garantire un ulteriore sostegno al capitale circolante per le Pmi e le società a media capitalizzazione di 10 miliardi e programmi di acquisto di titoli garantiti da attività (Abs) per consentire alle banche di trasferire il rischio sui portafogli di prestiti alle Pmi, mobilitando un ulteriore sostegno di 10 miliardi”. Una potenza di fuoco che va nella direzione giusta, quella del sostegno alle necessarie politiche nazionali, e che va gestita in vista di una possibile ricapitalizzazione: deviare risorse tanto importanti verso gli Eurobond è davvero la soluzione corretta per i Paesi europei?

Certamente la Bei dispone delle competenze operative e della capacità per gestire nella maniera più oculata i fondi ricevuti dall’emissione di obbligazioni comuni per l’Eurozona: tuttavia è bene ricordare che stravolgere la sua missione in un momento tanto critico, convertendola a mera piattaforma finanziaria, potrebbe non essere la scelta più azzeccata. La combinazione tra Eurobond a lungo termine e rafforzamento di capitale della Bei può ampliare la sua prospettiva come utile strumento anti-crisi: ma a deliberare tale sviluppo non può che essere una politica europea oggi più che mai ingessata.

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