La Russia e le sue aziende vengono dalla giornata del 4 maggio bandite dalla rete di servizi finanziari, di consulenza e di pubbliche relazioni della City britannica. Finisce, forse per sempre, l’era d’oro di Londongrad, il “paradiso” finanziario degli oligarchi di Mosca in terra britannica. Lo ha annunciato il governo di Boris Johnson, per bocca dei ministri degli Esteri, Liz Truss, e dell’Industria, Kwasi Kwarteng, ufficializzando un nuovo pacchetto di sanzioni in risposta all’invasione dell’Ucraina che porta a oltre 1600 gli individui e le società colpite finora dal Regno Unito. Londra annuncia inoltre una stretta più dura contro i media vicini al Cremlino: incluse testate già sanzionate come Rt e Sputnik, definite “voci della propaganda” di Mosca. Sanzionati anche la radio-televisione di stato russa, l’agenzia InfoRos, il sito SouthFront e la Fondazione di Cultura Strategica, tutti accusati di diffondere disinformazione sull’invasione dell’Ucraina

Nel giorno in cui da Bruxelles Ursula von der Leyen annuncia il sesto pacchetto di sanzioni europee Johnson non è da meno. E l’esclusione dai servizi finanziari della City impone un dazio paragonabile al taglio della Russia fuori dal sistema Swift. In una nota diffusa dal Foreign Office si sottolinea come il business russo sia significativamente dipendente per le sue attività (in particolare sul mercato internazionale) dai servizi di assistenza messi a disposizione dalla City. Servizi “di prestigio mondiale” e che coprono “il 10% delle importazioni” moscovite in ambiti chiave come la contabilità, l’auditing, la consulenza manageriale, afferma il governo britannico. Basti pensare al peso dei colossi britannici nell’assistenza alle imprese russe desiderose di internazionalizzarsi: 4.700 professionisti di Ernst&Young lavorano con Mosca, colossi come Barclays e Hsbc hanno stimato che sono almeno 70mila i cittadini russi con conti superiori alle 50mila sterline nel Paese.

Soprattutto, la City di Londra è diventata per anni, da inizio degli Anni Duemila, il porto sicuro dei miliardi russi. Roman Abramovich è l’uomo simbolo di questa connivenza tra la City di Londra e la nuova élite moscovita molto spesso alleata a Vladimir Putin. Gli oligarchi degli Anni Novanta erano cacciatori di tesori pubblici in svendita da parte dello Stato, quelli del Duemila figli del nuovo, arrembante Stato di Putin. Desiderosi, come lo Zar del Cremlino, di partecipare nei primi Anni Duemila alla grande festa della globalizzazione. A cui Londra forniva la porta ideale. E oggi quella porta potrebbe essersi chiusa per non riaprirsi a lungo

Il bando introdotto rappresenta  secondo Londra, un’ulteriore escalation “nell’assedio” all’economia russa e a quelle realtà ritenute legate in un modo o nell’altro al sistema di potere del presidente Vladimir Putin. “Fare affari con il regime di Putin – ha tuonato Liz Truss, commentando le nuove sanzioni e giustificandone i motivi – è ormai segno di bancarotta morale perché lo aiuta a finanziare la macchina da guerra che tante sofferenze sta causando in Ucraina; escludere la Russia dall’accesso ai servizi britannici rafforzerà la pressione sul Cremlino e contribuirà a far sì che alla fine Putin fallisca in Ucraina”. Il capo della diplomazia britannica interpreta alla perfezione la linea di Johnson, recentemente promossa in un comizio alla Rada ucraina: sostegno a Kiev fino alla vittoria. “Restringere l’accesso della Russia ai nostri servizi di gestione, leader mondiali nella contabilità, nel consulting o nel settore delle pubbliche relazioni, significa intensificare la pressione sul Cremlino affinché cambi strada”, le ha fatto eco il collega Kwarteng.

Ancora da capire come avverrà effettivamente il decoupling. Saranno colpite le filiali britanniche dei gruppi russi quotati e le transazioni tra Mosca e la City o si avvierà un processo di isolamento finanziario della Russia? Nel quadro di una guerra economico-finanziaria a più livelli, che coinvolge anche altri attori come Usa e Ue, questa può essere una differenza sostanziale. La City di Londra è primaria assieme a Wall Street in temi come gli scambi di derivati, la finanza di frontiera, la consulenza direzionale e l’innovazione di prodotto e escludere la Russia può voler  dire lasciarla indietro negli anni a venire. E in prospettiva indurre tutti gli istituti occidentali a rompere gli affari con le controparti russe.

Affidando a Truss il ruolo di “falco” tra i falchi, Johnson ricorda che la mossa sulla City non è economico-finanziaria, ma di politica estera. In una fase politica difficile sul fronte interno, la crociata anti-russa procede. Ma l’opinione pubblica non è compatta. Truss, esibendo toni ancor più bellicosi rispetto a Johnson, nota che l’obiettivo delle sanzioni e delle forniture di armi a Kiev deve diventare ormai quello di un’auspicata vittoria totale sul Cremlino: fino all’ipotetico ritiro russo non solo dall’intero Donbass ma pure dalla Crimea annessa nel 2014. Sulle colonne del progressista Guardian, non manca tuttavia di prendere piede la polemica di un commentatore di chiara fama come Simon Jenkins contro Truss, accusata di alimentare a colpi di minacce al limite del velleitario “una sconsiderata diplomazia da tabloid”; nei prossimi mesi, l’esito di sanzioni, invii di armi e diplomazia dovrà essere analizzato per capire in che misura la strategia di massima pressione del governo conservatore, arrivato con il bando dalla City a un nuovo livello di contrasto, avrà avuto successo nel frenare le ambizioni belliche del Cremlino. Ma la mossa sulla City appare come uno dei punti da cui, difficilmente, si potrà tornare indietro in tempi brevi.

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