La lunga fase di allentamento delle briglie ai flussi di denaro da parte della Banca centrale europea, in pieno svolgimento dal varo del quantitative easing da parte di Mario Draghi nel 2015, si avvia alla fine? Le più recenti dichiarazioni della presidente della Bce Christine Lagarde lo lasciano presagire: l’ondata di liquidità sui mercati diventata diluvio dopo la pandemia di Covid-19 è prossima al riflusso.
Lagarde immagina i tassi a zero o “leggermente superiori” entro la fine di settembre, il che implica un aumento di almeno 50 punti base rispetto al livello attuale che li vede in fascia negativa. Per Lagarde “è molto probabile che ci sposteremo in territorio positivo alla fine del terzo trimestre”, ha dichiarato in un’intervista a Bloomberg TV. Le sue affermazioni rafforzano la tesi che l’Eurotower rialzerà i tassi quest’estate.
L’inflazione dell’Eurozona è molto più alta di quanto la Bce si aspettasse, raggiungendo un massimo storico del 7,4% in aprile e costringendo la banca centrale a seguire i suoi omologhi globali, come la Federal Reserve, sulla strada dell’aumento dei tassi. Una mossa complessa e che si presta a diverse interpretazioni: l’inflazione è sicuramente un problema per l’Europa, ma va anche considerato il fatto che, al contrario degli Usa, essa è dovuta soprattutto a fenomeni esogeni e distorsivi della ripresa economica post-Covid e non all’esplosione della ripresa stessa.
Intervistata a margine del World Economic Forum di Davos, Lagarde ha per la prima volta tracciato il sentiero dell’aumento dei tassi dopo che le indicazioni di un percorso graduale di rialzo dei tassi avevano provocato, secondo indiscrezioni, malumori fra i governatori ‘falchì nel Consiglio Bce che premono per una risposta più decisa all’inflazione. In particolare, tra questi spinge fortemente l’olandese Klaus Knot, primo “falco” monetario d’Europa. Il quale intende premere perchè Francoforte segui la Federal Reserve. La Fed “continuerà ad alzare i tassi fin quando non vedrà l’inflazione scendere in modo chiaro e convincente”, ha detto il presidente dell’istituto centrale statunitense, Jerome Powell, intervistato dal Wall Street Journal, e complice la solida condizione del dollaro in questa fase è la banca centrale a stelle e strisce a tenere in mano il pallino del gioco.
Joachim Nagel, il presidente della Bundesbank, si sta facendo sentire più volte la settimana a favore della stretta per contrastare l’allarme-inflazione, spingendo per un +0,5%, ovvero un rialzo di 50 punti, nei tassi. La Fed lo ha fatto nel meeting del 4 maggio, decidendo l’aumento dei tassi d’interesse più forte dal 2000 di fronte a un’inflazione al galoppo oltre l’8% ma con un’economia ben più solida di quella europea, che invece è particolarmente esposta alla guerra in Ucraina. E in cui sono rimasti ben consolidati gli effetti di anni di convergenza indotta tra i rendimenti dei titoli, pareggiati di fatto proprio dalle politiche accomodanti dell’Eurotower.
La fine congiunta di Pandemic Emergence Purchase Plan (Pepp) e Asset Purchase Program (App) nei prossimi anni farà esplodere gli spread e le prospettive di ripresa dell’Ue? Non è detto in partenza, ma bisogna andare cauti. La dottrina monetarista detta che a alti tassi d’inflazione bisognerebbe reagire con strette monetarie decise sul costo del denaro. Ma questo ha un effetto sulla domanda reale. “La normalizzazione”, nota La Stampa, non è un concetto predefinito: dipende dal clima che si trova ad affrontare e dalla natura degli choc che colpiscono l’economia. Oggi le nostre economie stanno tornando ad aprirsi, ma non stiamo rientrando nel mondo che ci siamo lasciati alle spalle all’inizio del 2020, quando è esplosa la pandemia” e che da allora è stato profondamente sconvolto. A quei tempi, “l’economia della zona euro aveva vissuto un periodo prolungato di inflazione troppo bassa con una media dell’1,1 per cento dal 2012″ legata principalmente alla debolezza della domanda e all’eredità dell’austerità germanocentrica. Oggi l’inflazione corre ma le cause sono tutto fuorché legate alla robusta ripresa post-Covid: aumento delle materie prime, shock energetici e scombussolamento delle catene del valore, unitamente alle tensioni geopolitiche, hanno contribuito a destabilizzare il quadro.
Il combinato disposto tra un aumento dei tassi e la ripresa del rigorismo europeo di cui ha parlato in questi giorni il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis avrebbe, in uscita da anni di politiche accomodanti, effetti devastanti per l’Europa. La necessità di un’uscita soft dopo due anni di acquisti di debito per l’emergenza pandemica che hanno finanziato gli interi disavanzi dell’area euro e che termineranno a giugno è vitale. Un rialzo immediato di mezzo punto, insomma, rischierebbe di essere un trauma e non avrebbe grandi chance di passare il vaglio del Consiglio direttivo che si riunirà ad Amsterdam il 9 giugno e poi a Francoforte il 21 luglio se non sarà la stessa Lagarde a promuoverlo. La governatrice ha di fronte a sé la possibilità di non essere ricordata come la distruttrice del ruolo apicale della Bce come guida dell’economia europea: ne sarà capace? Ad oggi, la Lagarde ha, dal Covid in avanti, fallito i momenti dei grandi appuntamenti storici e ha dovuto correggere in corsa gli errori. Questa volta, in caso di combinato disposto tra stretta e ritorno del rigore, potrebbe non essercene la possibilità.