A poche settimane dalle elezioni presidenziali in Argentina l’attuale inquilino della Casa Rosada, il liberale Mauricio Macri, è dato ampiamente in svantaggio rispetto allo sfidante peronista Alberto Fernandez, che corre in tandem con l’ex presidentessa Cristina Kirchner, aspirante vice. Le primarie agostane hanno mostrato tutta la debolezza della posizione di Macri, che sulla sua figura assomma la responsabilità di un quadriennio disastroso per il Paese.
Partito per invertire la parabola peronista a partire dalla sostituzione di un modello socio-economico basato sul rafforzamento della rete sociale con un sistema liberista fondato su tagli alla spesa pubblica e apertura agli investimenti stranieri Macri è presto naufragato. L’eccessiva dipendenza di Buenos Aires dagli investitori internazionali, la mancanza di un’adeguata struttura industriale,l’illusione che scudi fiscali e misure ad hoc bastassero a contenere le fughe di capitali e, soprattutto, l’abbraccio mortale col Fondo monetario internazionale hanno travolto l’esperienza di Macri come presidente. Tanto che ad agosto lo straripante successo di Fernandez alle primarie, in cui si misura la capacità di mobilitazione della propria base, ha creato un cortocircuito tra i mercati finanziari che avevano impostato il pilota automatico sulle riforme promesse da Macri.
A Washington hanno deciso di sospendere, in vista delle elezioni, la rata da 5,7 miliardi del prestito da 57 miliardi prevista per settembre: Macri ha capito che non può andare fino in fondo con la macelleria sociale e l’austerità per aver minime chance di cavarsela. Ma il conto dei suoi anni da presidente è a dir poco oneroso.
Sono, secondo dati aggiornati a giugno, 14 milioni gli argentini che vivono in condizioni di povertà. La distruzione del potere d’acquisto della popolazione ha contribuito a un decollo del costo della vita e dell’inflazione: Secondo l’osservatorio sulla povertà dell’Università cattolica argentina, a fine anno i poveri saranno il 40% della popolazione, mentre negli ultimi dodici mesi il loro numero è aumentato di tre milioni di persone (l’otto percento degli argentini).
L’Argentina produce materie prime alimentari in grado di sfamare 450 milioni di persone ma l’aumento insostenibile del costo della vita, l’assenza di un’industria dei suoi derivati che crei una produzione finale nazionale, occupazione, salari e consumi e le problematiche della rete assistenziale fanno sì che metà dei minori non abbiano un pasto garantito.
Ironia della sorte, le regioni con i più alti tassi di povertà sono regioni che avrebbero spazio e margini per offrire al Paese nuove opportunità di crescita: il Nord, le aree attorno Buenos Aires, la provincia patagonica del Chubut e Santa Cruz. Come sottolinea Il Sussidiario, “la Patagonia viene da tempo chiamata Saudita per le sue riserve non solo minerarie e di petrolio, ma anche di gas e di… venti (lo sfruttamento eolico dei quali garantirebbe energia elettrica a tutto il Continente latinoamericano), mentre nel nord sono presenti giacimenti di litio tra i più grandi al mondo, che consentono una produzione record mondiale di questo materiale, altra fonte energetica del presente e soprattutto del futuro”. Macri ha colpe enormi nell’aumento della povertà, ma anche i peronisti hanno fatto poco per sollevare il Paese dalle sabbie mobili e proporre qualcosa che non fosse una semplice redistribuzione, in larga misura clientelare. Se come prevedibile il voto premierà Fernandez per i fallimenti di Macri, non bisogna attendersi rivoluzioni: all’Argentina serve una strategia per una crescita inclusiva, ma alla sua politica bloccata manca lo slancio per una discontinuità, nuovi investimenti e una reale lotta alla povertà.