Ora la Hollywood liberal tace. Zitta zitta, nella sua ipocrisia. Quanti sapevano delle malefatte di  Harvey Weinstein mentre si schieravano contro i siparietti sessisti del futuro presidente Donald Trump? Mistero. Ma la verità, forse, è che quella Hollywood che ha alzato la voce contro il tycoon l’ha fatto più per attaccare il candidato repubblicano che per difendere le donne.

L’ultimo a finire nel vortice del  Weinsteingate è l’amatissimo protagonista di House of Cards, come ha rivelato ha rivelato Anthony Rapp, star della serie tv Star Trek Discovery: “Sono stato molestato sessualmente da Kevin Spacey quando avevo 14 anni e lui ne aveva 24″.

L’attore premio Oscar che interpreta Frank Underwood ha risposto all’accusa attraverso un tweet: “Se è andata come dice lui, allora mi scuso”. Spacey, dopo alcune righe, ha rivelato anche di essere  omosessuale. L’attore si è poi scusato. E fin qui tutto bene. Ma diciamo la verità: il suo coming out, forse inevitabile a questo punto, è stato anche un modo per spostare l’attenzione. E in un certo senso ci è riuscito, se pensiamo al fatto che molte testate hanno deciso di titolare proprio sul suo coming out. Come la  Reuters: “L’attore Kevin Spacey dichiara di essere gay”. Stesso epic fail ipocrita per Abc News e The Daily Beast. Tutte e tre le testate hanno poi corretto il titolo, naturalmente.  Ma in ogni caso lo scivolone fa pensare. E fa pensare soprattutto alle parole del presidente Trump, quando disse, esagerando: “I media sono nemici del popolo”.

ABC: Fail. https://t.co/7F23Jp2xV1

— Jay Cost (@JayCostTWS) 30 ottobre 2017

Daily Beast: Fail. https://t.co/819BLiHGKr

— Jay Cost (@JayCostTWS) 30 ottobre 2017

Ora Netflix ha deciso di chiudere la serie House of Cards dopo la sesta stagione. Una delle prime conseguenze dopo le accuse rivolte a Spacey. In fondo, però, gli è andata bene se pensiamo che per 30 anni è stato graziato dal silenzio di Hollywood. E come tanti altri, del resto. 

La lista delle vittime del super produttore cinematografico continua ad allungarsi. Secondo quanto dichiarato da Asia Argento, sarebbero almeno 82  le donne che hanno subito molestie da parte di Weinstein. Il problema, oltre alle molestie stesse, è il ritardo nel riportare le accuse. E soprattutto il silenzio. 

Sharon Waxman, un’ex giornalista del New York Timesha denunciato che gli abusi di Weinstein furono messi a tacere già 13 anni fa, quando lei condusse per il New York Times un’inchiesta che venne poi affossata dallo stesso produttore che, guarda caso, è anche un grande inserzionista del grande giornale liberal. Coinvolto nelle indagini della giornalista anche Fabrizio Lombardo, allora a capo della filiale italiana di Miramax. Per lui neanche un anno di lavoro, ma uno stipendio di 400mila dollari: “Non aveva un’esperienza cinematografica e il suo vero lavoro era quello di curare, tra le altre cose, le necessità femminili di Weinstein”, ha affermato la giornalista del Nyt.

Fabrizio Lombardo brought me to Weinstein’s room when I was 21 in ’97. He told me it was a Miramax party. Only Harvey was there.

— Asia Argento (@AsiaArgento) 11 ottobre 2017

L’ormai ex colosso di Hollywood è inoltre un cospicuo finanziatore dei democratici, nonché amico degli Obama e dei Clinton. L’ex candidata democratica ha aspettato cinque giorni dallo scoppio dello scandalo prima di dichiarare che avrebbe “restituito” i soldi di Weinstein, dandoli in beneficenza (si tratterebbe di un milione e mezzo di dollari).

Michelle Obama, invece, attiva sostenitrice dei diritti delle donne, non ha fatto sentire più di tanto la sua voce. Si è limitata a un “siamo disgustati”. E, d’altronde, tempo fa aveva definito il produttore “un buono amico“. Un amico così fidato da accettare uno stage per Malia, la figlia maggiore degli Obama, alla The Weinstein Co., prima di iniziare il semestre ad Harvard.

L’ipocrisia è latente in varie sfaccettature di questa storia. Ma soprattutto lo è per quelle donne di Hollywood che hanno alzato la voce durante la Women’s march contro Trump e sono rimaste in silenzio per tutti questi anni riguardo alle molestie sessuali. Tra loro non poteva mancare Meryl Streep

L’attrice – che ha fatto diversi film con Weinstein – aveva dichiarato di essere “sconvolta” dalla notizia “disgustosa” a carico del produttore. Nella stessa dichiarazione ne aveva approfittato per  lodare “le donne coraggiose che hanno sollevato le loro voci per parlare dell’abuso”, chiamandole “eroine“.  Ma come chiamiamo chi ha taciuto per anni? Una cosa è certa: a Hollywood anche chi resta in silenzio è colpevole.

Stesso discorso per Matt Damon e Russel Crowe, accusato dalla Waxman di aver insabbiato la sua inchiesta su Weinstein. Damon ha sempre usato parole molto dure contro il presidente americano, come quando disse a Sky Tg24: “Trump non sta facendo nulla per l’ambiente. Sta solo distruggendo quello che ha fatto Obama, pensa solo all’economia e a incrementare il lavoro. Che si può fare? Aspettare solo che se ne vada”. E pure Crowe, che aveva preso in giro Trump quando il tycoon aveva detto di “prender le donne per la f…”, è stato in silenzio davanti alle molestie di Weinstein. 

E la lista potrebbe allungarsi all’infinito. Il problema di Hollywood non riguarda solamente le molestie sessuali. È molto più profondo ed è stato descritto lucidamente in un articolo de Il Giornale del 2014: la pedofilia. Un problema denunciato da pochi avvocati coraggiosi, come Matt Valentinas, produttore del film e fondatore di The Courage to Act Foundation : “La pedofilia è il più grande problema di Hollywood, è ovunque. Spero che questo film aiuti altre vittime di abusi a condividere le loro esperienze. E che l’industria del cinema faccia pulizia”. Ma sono in pochi a parlarne. La maggior parte degli attori è occupata ad insultare Trump. 

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