Gli occhi di tutto il mondo in queste ore sono puntati sull’Afghanistan dal momento che quanto sta avvenendo nel Paese asiatico è la rappresentazione iconica della vittoria dell’islamismo sunnita radicale, sia da un punto di vista militare che politico. Il ritorno al potere dei talebani, la ritirata dei contingenti internazionali, le paventate aperture al dialogo da parte di Russia, Cina e Turchia sono tutti dimostrazioni del trionfo dei guerriglieri islamici. E la preoccupazione da parte di analisti e osservatori geopolitici è che l’Afghanistan possa fungere da canto di sirene per altre ribellioni salafite nel mondo. E a preoccupare maggiormente è l’area saheliana dove, dalla Nigeria sino alla Somalia, passando da Mali, Ciad e Burkina Faso i miliziani irregolari, raccolti dietro lo stendardo dello jihadismo internazionalista, già governano in diverse aree di territorio e potrebbero dare vita ad avanzate epigone di quella condotta dagli studenti islamici in Afghanistan.
Nello stesso momento in cui l’islamismo trionfa nel cuore dell’Asia, questi però subisce anche una battuta d’arresto nell’Africa australe. Per la prima volta dal 2017, in Mozambico, gli jihadisti conosciuti come Al Shabaab (lo stesso nome dei qaedisti somali ma nessun legame tra le due formazioni),o Ahlu Sunna Wal Jammah (ASWJ), stanno ritirandosi e perdendo posizioni sotto la spinta delle truppe ruandesi arrivate in soccorso dei soldati regolari del Mozambico.

Nel Paese dell’Africa meridionale l’insurrezione jihadista era incominciata nel 2017 e probabilmente le origini della sollevazione dei guerriglieri islamici, più che nel fanatismo salafita, vanno innanzitutto ricercate nella condizione di estrema povertà della popolazione. Un tasso di disoccupazione ciclopico, l’esclusione delle comunità locali dai proventi derivati dai ricchissimi giacimenti di risorse naturali, l’assenza di infrastrutture e la brutale repressione da parte delle forze armate di Maputo si sono rivelati ingredienti pericolosissimi se maneggiati dai predicatori radicali che, dalle moschee, hanno incitato centinaia di giovani a dar inizio alla ”guerra santa” per sovvertire l’ordine delle cose e porre fino alla situazione di miseria dilagante. In breve tempo il Paese, che durante lo scontro tra i blocchi era stato il proscenio della terribile guerra civile che ha contrapposto la formazione filomarxista della Frelimo contro il gruppo conservatore della Renamo, è divenuto la nuova satrapia di Daesh in Africa.
E il passaggio dal provvidenzialismo del materialismo storico a quello dell’assolutismo teologico è stato tanto imprevisto quanto in apparenza imprevedibile che le forze ribelli, a marzo, sono riuscite addirittura a prendere controllo della città di Palma, il principale centro estrattivo del nord est del Paese.

L’insurrezione delle bandiere nere ha provocato in questi tre anni 3000 morti e le stime parlano di quasi 800’000 persone costrette a lasciare le proprie abitazioni, inoltre non sono mancate denunce di stupri e violenze efferate anche ai danni dei bambini come ha riportato il 16 marzo l’Ong Save the Children che ha raccolto e diffuso la testimonianza di donne che hanno assistito alla decapitazione dei propri figli da parte degli affiliati all’ISIS.
Le truppe di Maputo, in questi anni, come già aveva denunciato InsideOver, non solo non si sono dimostrate capaci di sconfiggere i miliziani sunniti ma si sono macchiate anche di violenze e abusi ai danni della popolazione civile e questo ha portato a una situazione di stallo con i due schieramenti a fronteggiarsi e nel mezzo la popolazione in balia di rappresaglie, esecuzioni e taglieggiamenti.
Da luglio però la situazione sembra essere cambiata e pochi giorni fa è arrivata la notizia della prima importante sconfitta inferta dalle forze africane ai danni del gruppo terrorista.

Come riporta il The Guardian, piccoli distaccamenti militari di diversi Paesi africani sono già arrivati nella regione di Cabo Delgado. Tanzania, Botswana, Lesotho, Angola e Sud Africa stanno dando supporto militare con uomini e mezzi a Maputo ma chi più di tutti si è contraddistinto nella battaglia che ha portato alla liberazione della città portuale di Mocimboa da Praia è stato l’esercito di Kigali.

La scorsa settimana 1000 soldati ruandesi hanno guidato un’operazione congiunta con l’esercito mozambicano risultata un successo. I ribelli jihadisti hanno infatti abbandonato la loro roccaforte e si sono dispersi nell’entroterra in piccoli gruppi.

L’esercito ruandese è nato da una formazione guerrigliera, il Fronte Patriottico Ruandese , e il fatto di affondare le proprie radici in un gruppo ribelle gli ha permesso negli anni di divenire uno dei migliori eserciti africani specializzati nella guerra contro le formazioni irregolari. Inoltre, vere protagoniste della vittoria sono state alcune donne della marina militare della Rwanda Defence Force.
Il tenente Yvonne Umwiza, che guida un’unità di motoscafi, ha affermato ad Africanwes che le donne hanno combattuto fianco a fianco con i loro colleghi uomini per il conseguimento della vittoria e che sul campo di battaglia e sul piano professionale, per quel che riguarda coraggio, abilità e addestramento, non c’è alcuna differenza tra i soldati e le soldatesse dell’esercito ruandese.

La vittoria inferta a Mocimboa da Praia probabilmente è l’inizio della fine per il Califfato del Mozambico ma ciò che ora è estremamente importante è portare soccorso alla popolazione locale. Secondo il World Food Progamme oltre un milione di persone hanno urgente bisogno di assistenza alimentare e senza aiuti immediati il rischio è che la crisi militare si trasformi in una crisi umanitaria: sempre che quest’ultima non sia già incominciata.





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