Da quando, il 24 giugno scorso, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha ribaltato la storica sentenza Roe vs. Wade, un’altra battaglia soffia sull’America in fiamme. L’ennesimo scontro su una delle più importanti moral issue è già diventato materia di propaganda elettorale, e segnerà la faglia tra Repubblicani e Democratici, a discapito di un dibattito congressuale bipartisan che possa generare la migliore legge possibile a tutela di tutte le donne americane.

Una battaglia politica, legale, mediatica

All’indomani della storica sentenza, si sono scatenati nel Paese i peggiori sentimenti oscurantisti: come quando il procuratore generale dell’Arizona Mark Brnovich ha annunciato in un tweet che lo Stato sarebbe tornato a un divieto di aborto senza eccezioni per stupro e incesto: “Il nostro ufficio ha concluso che la legislatura ha chiarito le sue intenzioni in merito alle leggi sull’aborto. ARS 13-3603 (la legge in questione) è tornata in vigore e non sarà abrogata”.

Oppure ancora, il caso della ragazzina dell’Ohio, appena dieci anni, rimasta incinta a seguito di uno stupro, che ha cercato di abortire nel vicino Indiana: la bambina e la sua famiglia accusati di essere bugiardi prezzolati e di essersi prestati alla propaganda. Peccato poi che la storia si scopre vera. Appena una settimana fa, il procuratore generale dell’Ohio – un repubblicano anti-abortista – ha criticato l’Indianapolis Star per aver riportato per la prima volta la storia, proprio mentre le forze dell’ordine nella contea di Franklin, Ohio, hanno accusato un uomo di 27 anni, Gerson Fuentes di Columbus, per lo stupro. Fuentes aveva confessato pubblicamente di aver violentato la bambina almeno due volte.

Da qui la necessità immediata, per Stati come l’Indiana, di normare immediatamente questa zona grigia. La Corte suprema dello Stato ha optato per far entrare in vigore una legge che richiederà il consenso dei genitori per effettuare aborti volontari su minori. Lo riferisce l’emittente Nbc News, ricordando che la legge era stata approvata nel 2017, ma bloccata da alcuni tribunali di grado inferiore, che ne avevano dichiarato l’incostituzionalità. A seguito della recente decisione della Corte suprema, lo Stato aveva chiesto alle autorità giudiziarie di consentire l’entrata in vigore della legge. “Ulteriori ritardi servirebbero solo ad ostacolare l’entrata in vigore di una norma tesa a proteggere i minori e le rispettive famiglie”, avevano scritto i rappresentanti legali dello Stato, chiedendo alla Corte suprema di “agire subito”. La richiesta è stata poi accolta dal giudice John Roberts.

La battaglia, così, si fa anche mediatica, con le vittime costrette a dimostrare la veridicità delle violenze subite al cospetto del dubbio. Ma c’è di più. Il dibattito (il primo a farlo è proprio Joe Biden) continua ad essere spostato su casi estremi come incesti e stupri, quasi come se l’aborto fosse da trattare sempre come extrema ratio in situazioni al limite e non come una scelta anche, e soprattutto, per le donne che restano incinte in situazioni “normali”. Una deriva molto utile sia a progressisti che conservatori: ai primi consente di non esporsi troppo, raccattando qualche dixiecrat in più, agli altri consente di non passare per retrogradi pur preservando il mantello dei pro-life.

La “guerra” nelle corti

Lunedì scorso un giudice del West Virginia ha impedito ai propri funzionari di imporre un vecchio divieto di abortire risalente al XIX secolo. La decisione del giudice del circuito della contea di Kanawha, Tera Salango, apre la strada alla ripresa dei servizi nell’unica clinica statale per l’aborto, che ha sospeso gli interventi per paura di essere perseguita a seguito della sentenza del 24 giugno. Salango ha concordato con la clinica, il Women’s Health Center of West Virginia, che la legge è stata effettivamente abrogata da statuti post-Roe più moderni che “sono in conflitto disperato” con quello vecchio che consente l’aborto fino alla 20a settimana di gravidanza. “Per quasi 50 anni abbiamo orgogliosamente messo a disposizione la nostra clinica a chiunque necessitasse di un’operazione di aborto, e siamo determinati a continuare finché sarà possibile: la notizia di oggi è un sollievo, e ci consente di riprendere a lavorare”, ha scritto la direttrice della struttura, Katie Quinonez, in una nota. Il caso è uno dei tanti che gruppi e cliniche per i diritti dell’aborto hanno presentato a livello nazionale cercando di fermare o bloccare l’entrata in vigore di divieti e restrizioni negli Stati per lo più a guida repubblicana.

La sentenza è arrivata poche ore dopo che un giudice della Louisiana ha esteso un blocco temporaneo di applicazione a un cosiddetto divieto “trigger” progettato per entrare in vigore se l’alta corte avesse ribaltato la Roe. Sempre in Louisiana, il 13 luglio scorso un giudice di Baton Rouge ha sospeso temporaneamente l’entrata in vigore della legge consentendo alle cliniche per la salute riproduttiva di continuare ad operare. Si tratta del secondo provvedimento in poche settimane che blocca l’entrata in vigore della sentenza, dopo che le autorità hanno approvato una serie di restrizioni all’aborto volontario. Il tribunale di Baton Rouge che ha emesso l’ordine restrittivo ha fatto sapere che le richieste di aborto saranno consentite almeno fino al 29 luglio. Presumibilmente, non si tratterà dell’unico rinvio.

Il governatore della Pennsylvania, il democratico Tom Wolf, ha invece firmato un ordine esecutivo per proteggere il diritto all’aborto e alla medicina contraccettiva, anche per coloro che arriveranno da altri Stati che hanno criminalizzato la procedura. In un messaggio pubblicato sul suo profilo Twitter, il governatore ha anche dichiarato che la Pennsylvania rifiuterà di adempiere ad eventuali richieste di emettere mandati di arresto nei confronti di persone accusate di reati connessi alle leggi contro l’aborto. “La decisione della Corte suprema, che ha rovesciato la sentenza Roe v. Wade del 1973, ha causato un’ondata di paura e incertezza in tutto il Paese: lo Stato della Pennsylvania non parteciperà a questo attacco nei confronti delle donne, e accoglierà tutti coloro che hanno bisogno di trattamenti necessari per la propria salute”, ha detto, aggiungendo che l’ordine esecutivo tutelerà anche i medici e le strutture che offrono servizi legati alla contraccezione.

Nel frattempo, come racconta in un’inchiesta il Los Angeles Times, nel Paese è boom di richieste per procedure di sterilizzazione femminile. La legatura delle tube ha una storia lunga e complessa negli Stati Uniti. Storicamente, le donne, spesso appartenenti a gruppi emarginati, sono state sterilizzate con la forza a loro insaputa. Per questo motivo, l’American College of Obstetricians and Gynecologists raccomanda un approccio etico con i pazienti, prendendo allo stesso tempo precauzioni contro “usi coercitivi o comunque ingiusti”.

La battaglia al Congresso

La battaglia congressuale, nottetempo, è già lì che infuria. Lo scorso 15 luglio la Camera dei rappresentanti ha approvato una proposta di legge tesa a proteggere l’accesso all’aborto volontario nel Paese, e ha in programma di votarne una seconda per tutelare le donne che dovranno spostarsi dal proprio Stato di residenza per accedere al trattamento. Lo riferisce il Wall Street Journal, sottolineando come entrambi i provvedimenti rischiano di rimanere bloccati al Senato, dove i democratici avrebbero bisogno del sostegno di almeno dieci esponenti del Partito repubblicano. La seconda proposta, denominata Ensuring Access to Abortion Act, prevede una serie di tutele rivolte alle donne che dovranno recarsi in altri Stati per ricevere una procedura di aborto. “Queste proposte sono state avanzate nel rispetto del nostro diritto a prendere le decisioni che riteniamo più opportune per la nostra salute e il nostro corpo”, ha commentato la rappresentante democratica Judy Chu.

Anche il dipartimento della Giustizia degli Stati Uniti passa all’azione: ha infatti annunciato di aver istituito una task force per valutare nuove misure per tutelare il diritto all’aborto. Questa unità operativa sarà guidata dalla procuratrice generale associata Vanita Gupta, e si occuperà di monitorare i provvedimenti che i singoli Stati adotteranno per vietare o limitare l’accesso all’aborto, per poi presentare all’amministrazione presidenziale una serie di possibili risposte anche sul piano legale.

Anche i congressmen non stanno a guardare. Sono almeno 17 i rappresentanti democratici arrestati martedì scorso a Washington nel quadro di una manifestazione organizzata per protestare contro la recente decisione della Corte Suprema. Stando alle informazioni diffuse dalla polizia locale, alcuni manifestanti sarebbero stati fermati e arrestati per aver bloccato il traffico su First Street, rifiutando di disperdersi come richiesto dalle forze dell’ordine. Fra loro, la pasionaria Alexandria Ocasio-Cortez. 

L’amministrazione Biden cerca di prendere tempo, a suon di escamotage. Il presidente starebbe valutando di dichiarare un’emergenza sanitaria “limitataper difendere l’aborto e in particolare l’accesso alle pillole abortive. Lo riporta Politico citando alcune fonti, secondo le quali si tratterebbe di una dichiarazione circoscritta per mettere al riparo da possibili azioni legali i medici, le farmacie e le altre istituzioni che possono fornire le pillole abortive anche negli stati americani dove sono in vigore le norme più rigide contro le interruzioni di gravidanza.





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