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Ad oltre un anno dalla sua morte e nonostante le richieste di verità che in campagna elettorale aveva promesso Volodymyr Zelensky, attuale presidente dell’Ucraina, i mandanti dell’attacco con l’acido che è costato la vita all’attivista Kateryna Handziuk sono ancora a piede libero.

La ragazza, morta l’anno scorso a 33 anni, era diventata famosa per aver portato alla luce su tutti  casi di corruzione della polizia ucraina e di attività illegali collegate al disboscamento delle area limitrofe alla città di Cherson.

I mandanti dell’omicidio

La persona che si ritiene essere il mandante dell’omicidio di Kateryna è Vladyslav Manger, un potente burocrate della regione, nonostante abbia da sempre negato ogni coinvolgimento nell’episodio. La certezza è che coloro che hanno compiuto il fatto fossero stati assoldati per quello scopo in qualità di esecutori: si tratterebbe di cinque persone con precedenti penali, comprate verosimilmente per meno di 500 dollari.

La pista che porta a Vladyslav è resa particolarmente credibile soprattutto dalle prime reazioni della polizia che aveva cercato di portare in archiviazione il caso come un semplice gesto di teppismo, decisione che non è stata presa di buon grado dagli attivisti ucraini della zona che ha accusato la polizia di ritorsioni per le affermazioni che in vita aveva fatto la ragazza sui loro riguardi.

Una terra complicata per la giustizia

Gli ultimi anni sono stati particolarmente travagliati. Con la guerra del Donbass l’economia del Paese ha risentito di una forte recessione che ha favorito il nascere di pratiche illegali, che possedevano già delle notevoli basi di partenza. La corruzione delle forze dell’ordine in particolar modo è andata in crescendo, avvilendo il popolo ed accendendo gli attivisti tra i quali Kateryna.

L’accresciuto potere che hanno ottenuto le forze armate ha di conseguenza condotto la polizia a credersi infallibile, facendo muro verso i propri critici e negando loro la giustizia. Le attenzioni del Governo rivolte alla frontiera del Donbass ha portato alla scarsa considerazione degli abusi di potere e degli atti di corruzione, aiutando l’infangamento dei fatti.

Gli attivisti ucraini però non demordono e a un anno di distanza hanno riportato alla ribalta l’argomento, chiedendo giustizia per la donna morta dopo tre mesi di agonia nell’ospedale di Kiev, a causa delle ustioni da acido solforico subite nell’aggressione. Oltre quindi alla crisi della regione di Donetsk, Zelensky adesso ha anche l’opinione pubblica dell’Ucraina fedele a Kiev con il fiato sul collo in attesa di risposte: se le proprie promesse elettorali concernenti la svolta nella trasparenza dell’apparato pubblico saranno mantenute, gli attivisti otterranno la loro giustizia. Sebbene però, per loro stessa ammissioni, non si dichiarino ottimisti ma solo fiduciosi.

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