Gli Usa destineranno 858 miliardi di dollari alla spesa militare per l’anno fiscale 2023. Lo ha deliberato il Congresso approvando la consueta National Defense Authorization Act (NDAA), la legge che il parlamento statunitense deve approvare ogni anno per rinnovare i finanziamenti all’esercito e all’industria bellica. Il provvedimento è passato sia alla Camera sia al Senato, con maggioranze bipartisan in entrambe le camere. Per entrare in vigore, adesso manca soltanto la firma del Presidente. 

«L’accordo di quest’anno – scrive la commissione Servizi Armati del Senato – si concentra sulle priorità più vitali per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, tra cui la competizione strategica con la Cina e la Russia; le tecnologie dirompenti come le armi ipersoniche, l’intelligenza artificiale, il 5G e l’informatica quantistica; l’ammodernamento delle nostre navi, dei nostri aerei e dei nostri veicoli; e il miglioramento della vita dei nostri militari e delle loro famiglie». Priorità grossomodo già ribadite dalla National Security Strategy proclamata dalla Casa Bianca lo scorso ottobre.

L’ennesimo record si prospetta all’orizzonte, oltre gli 800 miliardi del 2021, ma in linea con una tendenza ormai ventennale. Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, gli Stati Uniti iniziarono una vertiginosa corsa al riarmo che si era arrestata negli anni Novanta con Bill Clinton per ripianare l’ingente debito pubblico creato negli anni Ottanta dall’amministrazione Reagan con lo scopo di competere con l’Unione Sovietica, l’unico Paese che nell’ultimo secolo è stato in grado di sorpassare il budget riservato alla difesa degli Usa, pagando questi sforzi con un inesorabile crollo politico e sociale. La minaccia del terrorismo islamico e le guerre in Afghanistan e Iraq hanno riportato la readiness americana ai tempi della guerra fredda. Se però 858 miliardi possono sembrare una cifra spaventosa (lo sono), è pure vero che la spesa militare in percentuale al PIL degli Stati Uniti è più o meno stabile da un decennio, allineandosi di poco sopra il target NATO del 3% a cui, tra gli altri Stati membri, vi si avvicina solo il Regno Unito. A dimostrazione della straordinarietà della potenza economica statunitense, l’America spende per il suo esercito quanto Cina, India, UK (nazione alleata), Russia, Francia (nazione alleata), Germania (nazione alleata), Arabia Saudita, Giappone (nazione alleata) e Corea del Sud (nazione alleata) messi insieme. 

Dagli stipendi alla guerra in Ucraina: le voci di spesa più ingombranti

Degli 858 miliardi in programma, la quasi totalità (816) finirà al Pentagono e 30 saranno assegnati al Dipartimento dell’Energia per l’applicazione di alcuni “programmi di sicurezza nazionale”. Va precisato, comunque, che l’aumento in termini assoluti per il 2023 è dovuto principalmente all’inflazione, che dovrebbe segnare +7/8% alla fine del 2022. Una crisi da cui tuttavia potrebbe beneficiare l’esercito. 

Nonostante la legislazione generale sul lavoro sia rimasta in alto mare durante questa legislatura, il Congresso ha dato il via libera a un aumento del 4,6% dei salari dei soldati, l’incremento maggiore dal 2002. Migliorano anche le condizioni generali del personale, con nuovi contributi alla rete di welfare di cui, a differenza della popolazione civile, gode l’esercito americano. Biden potrebbe però avere qualche riserva riguardo all’abolizione dell’obbligo di vaccinazione contro il Covid-19, inserita nella legge grazie a un emendamento dei parlamentari Repubblicani.

Un altro impulso alla spesa militare americana è stato dato senz’altro dalla guerra in Ucraina. Washington ha staccato numerosi “assegni in bianco” per soddisfare le richieste di Volodymyr Zelensky. Dall’inizio del conflitto, sono stati stanziati 68 miliardi di dollari in aiuti umanitari, finanziari e soprattutto militari. L’invio di sistemi d’arma sempre più complessi, un processo graduale ma perfettamente oculato, si sta rivelando decisivo, avendo permesso agli ucraini di bloccare le offensive russe in Donbass e grazie ai quali sono arrivati successi strategici a Izyum e a Kherson. Tornando ai numeri, l’NDAA per il 2023 prevede un altro stanziamento di 800 milioni per il governo di Kiev, 500 in più di quanti pensava in un primo momento di inviarne il Presidente.

C’è poi l’immancabile “pivot to Asia”. 11 miliardi e mezzo di dollari se li aggiudicherà la Pacific Deterrence Initiative, che raccoglie tutte le missioni Usa dalla difesa antimissile di Guam allo stretto di Formosa. Regna l’incertezza anche per quanto riguarda Taiwan. Come segnalato qualche giorno fa, Uncle Sam è in ritardo in una consegna di armi del valore di 19 miliardi all’arcipelago rivendicato dalla Cina comunista, ma dietro a queste apparenti calende greche ecco che spunta il Taiwan Enhanced Resilience Act of 2022, con il quale gli States si impegnano a investire 10 miliardi nella difesa di Taiwan.

Aviazione, cybersicurezza e nucleare

L’Air Force potrà inoltre contare su fondi supplementari. Confermati gli ordini per quattro EC-37B Compass Call, velivoli da guerra elettronica nuovissimi di zecca, trentasei caccia F-35 e dieci elicotteri SAR di tipo HH-60W. Quasi mezzo miliardo sarà investito sui Boeing E-7, sistemi aviotrasportati di preallarme e controllo su cui gli Stati Uniti vogliono puntare per sostituire i modelli più vecchi. La scommessa del futuro però sono le armi ipersoniche e gli aeromobili senza pilota, i droni diventati protagonisti in Ucraina, che vedranno moltiplicarsi le risorse per la ricerca e lo sviluppo.

Sorridono anche marina ed esercito, con l’acquisto di altre navi e di sottomarini per la prima, veicoli corazzati da combattimento, munizioni, armi a lungo raggio e a corto raggio per la seconda; mentre CYBERCOM (il comando per la Cybersecurity) avrà un ruolo di primo piano ricevendo 44 milioni per l’operazione Hunt Forward in Ucraina, dove sta proseguendo la stretta cooperazione tra intelligence. Sempre CYBERCOM si occuperà di redigere un report ogni due anni fino alle presidenziali 2032 per garantire sull’integrità delle elezioni e la capacità di respingere le minacce provenienti dall’estero. 

Infine, si potenzia la deterrenza, questione nevralgica negli ultimi tempi, con un aggiornamento alla triade nucleare, in particolare alla difesa missilistica di teatro e interna. Un po’ paradossalmente, verranno stanziati 354 milioni di dollari per lo storico programma Cooperative Threat, che ha come obiettivo la riduzione dell’arsenale nucleare, che consta di qualche migliaio di testate attive.

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