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La nascita dell’alleanza Aukus e la fine del contratto per decine di miliardi di euro siglato tra Francia e Australia ha fatto scattare l’allarme sulle rive della Senna. Parigi è in affanno ed è arrivato il tempo della riflessione: la sua industria militare trova sempre più ostacoli, e la politica di Emmanuel Macron non sembra in grado di sostenere l’esportazione del sistema francese. Si salva per ora soprattutto grazie ai Rafale di Dassault, che piacciono come alternativa ad altri mezzi. Ma sul fronte navale le cose non vanno affatto bene e adesso per le president ci sono diversi problemi.

Il contratto saltato con l’Australia per Naval Group è un colpo pesantissimo. Il governo francese parla di coltellate alla schiena, ma la questione qui è estremamente più profonda. Non si tratta solo di una grave sconfitta economica legata all’accordo con Canberra: un contratto siglato nel 2016 e poi cancellato con un colpo di spugna. La debacle rischia infatti di trascinare con sé una serie di trattative in corso con altri partner asiatici e proprio dell’area dell’Indo-Pacifico. Mentre altri, anche in Occidente, potrebbero adesso decidere di puntare sui rivali dei francesi memori della lezione australiana. Se la nuova alleanza del Pacifico tra Regno Unito, Stati Uniti e Australia prevede una condivisione di tecnologie e intelligence che fa fuori la Francia, cosa fa credere ai futuri acquirenti che questo non possa essere il segno di un problema che potrebbe ripresentarsi in futuro anche in ambito Nato? È una domanda che probabilmente si iniziano a porre in diversi governi in attesa di rinnovare la propria flotta.

E quello australiano è solo l’ultimo di una serie di fallimenti che preoccupano Naval Group, il colosso francese della cantieristica. Sul fronte nordafricano, Fincantieri ha strappato l’accordo con l’Egitto per le Fremm italiane al posto di quelle transalpine, mentre il Marocco ad agosto ha mostrato interesse sempre per le fregate del gruppo guidato da Giuseppe Bono. In Asia, l’accordo tra Fincantieri e Indonesia ha fatto saltare un negoziato che Parigi considerava molto importante proprio l’inserimento nel mercato dell’Asia-Pacifico. In Europa, proprio mentre la Francia sembrava essere l’unica vera potenza in grado di vendere sistemi d’arma e unità aeree e navali alla Grecia, Atene ha mostrato interesse per le offerte di molti altri Paesi, tra cui la stessa Italia. E c’è chi crede che la vendita di ulteriori caccia Rafale alle forze elleniche sia il segnale che sul lato marittimo potrebbero esserci sorprese clamorose e negative per il colosso d’Oltralpe. Nello stesso tempo, in Europa orientale, come ricorda la Tribune, i gioielli made in France non sfondano: Polonia e Romania puntano su altro e non sembrano intenzionate ad accogliere le offerte provenienti dal gruppo guidato da Pierre-Eric Pommellet. E in Medio Oriente, un tempo terra di conquista transalpina, il campione dell’industria di Macron arranca sia in Arabia Saudita (dove è in forte ascesa la spagnola Navantia) sia in Qatar e negli Emirati.

Questo fallimento di Naval Group impone due riflessioni. Da una parte c’è un problema dell’azienda, che in questi anni sembra aver perso non solo appeal in termini di offerta ma anche capacità di inserimento all’interno di questi mercati. La cantieristica italiana, ma anche quella spagnola e tedesca, riescono a compiere operazioni di un certo peso dovuto non solo al sostegno dello Stato nazionale – che di certo non manca a Parigi – ma anche alle stesse “infiltrazioni” nei luoghi che contano. L’assenza di “occhi e orecchie” in altri Paesi rende estremamente difficile per un’industria penetrare nei palazzi e soprattutto essere apprezzata a tal punto da fare strappare assegni da decine di miliardi di euro.

Dall’altra parte però c’è un problema non secondario che riguarda il livello politico e di intelligence. Macron ha sempre considerato prioritario l’interesse dell’industria nazionale, specialmente nel campo militare. L’Eliseo, come da tradizione, ha puntato proprio su Dassault, Thales e Naval Group e su tutti i campioni nazionali come vere e proprie armi diplomatiche. Queste armi iniziano a essere scariche. Ed è chiaro che il problema derivi anche dall’intelligence e dalla diplomazia di Parigi. Nessuno sospettava, a poche ore dall’annuncio di Aukus, che l’Australia avrebbe stracciato gli accordi per il “contratto del secolo”. Macron non ha saputo costruire una rete diplomatica che gli evitasse questo disastro di immagine oltre che economico. Gli Stati Uniti, pur vertice della Nato, non hanno avuto alcun tipo di freno nel concludere un patto che tagliasse fuori uno Stato membro di così alto livello come quello francese. I Paesi alleati o comunque storicamente legati alla Francia non si sentono più in dovere di ascoltare per primi e accettare quanto offerto dall’industria d’Oltralpe. E quello che un tempo sembrava il cortile di casa dell’Eliseo, oggi appare come una giungla in cui tutti possono e riescono a mettere mano. Fine di un’influenza post-imperiale che a Parigi fa risuonare il campanello d’allarme sia a livello economico che a livello politico.

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