Taiwan al centro della riorganizzazione militare degli Stati Uniti nell’Indo-Pacifico? Un’ipotesi da non scartare, almeno a giudicare dalle parole di Chiu Kuo Cheng. Il ministro della Difesa taiwanese ha dichiarato che l’isola potrebbe accogliere una sorta di deposito di munizioni di Washington, contribuendo così a sostenere lo sforzo attuato dal Pentagono, intenzionato a risolvere i problemi logistici e militari delle sue forze armate nel Pacifico occidentale.

In particolare, come ha sottolineato Asia Sentinel, durante una recente interrogazione parlamentare il ministro Chiu ha fatto sapere che Taiwan e gli Stati Uniti hanno avviato colloqui sull’eventuale collocamento di una “scorta di emergenza” di munizioni statunitensi sull’isola. Nel caso in cui dovesse arrivare la fumata bianca, questa mossa eleverebbe, di fatto, Taipei allo stesso livello dei partner Usa non Nato, come Giappone e Corea del Sud. Allo stesso tempo, una simile prospettiva non può che risultare un incubo per la Cina, che considera l’isola una sua provincia ribelle e definisce ogni azione americana in loco una interferenza negli affari interni cinesi.



La strategia degli Usa nell’Indo-Pacifico

Le affermazioni di Chiu rispecchiano le preoccupazioni dei governi taiwanese e statunitense alla luce delle ultime simulazioni del Center for Strategic International Studies (Csis). A detta del think tank, nel tentativo di fermare un’invasione militare cinese dell’isola, gli Stati Uniti esaurirebbero un’arma chiave, i missili anti-nave a lungo raggio (Lrasm), in tempi troppo rapidi.

Ma c’è un altro aspetto che non fa dormire sogni tranquilli a Washington e Taipei: la guerra ad alta intensità – che potrebbe presto o tardi scoppiare in Asia – richiede una rete diffusa ed efficiente di depositi di munizioni da parte delle forze armate Usa. Poiché questa ragnatela risulta essere spuntata, se non mancante, ecco che gli Usa potrebbero fare leva su Taiwan per avviare una profonda ristrutturazione strategica militare asiatica.

Se i colloqui tra Washington e Taipei dovessero concretizzarsi, Taiwan diventerà il terzo Stato lungo la catena delle prime isole – che comprende il Giappone e le Filippine – a posizionare ordigni che gli Stati Uniti potrebbero utilizzare in caso di guerra con la Cina. Il Giappone, intanto, ha già aperto la sua quarta base di questo tipo nelle isole Nansei (o isole Ryukyu) più meridionali. Per quanto riguarda le Filippine, gli Stati Uniti stanno cercando di modificare l’Enhanced Defence Cooperation Agreement (Edca) firmato con Manila anche per basare le strutture di munizioni sulle quattro isole.

Missili anti-nave in dotazione all’esercito di Taiwan. Foto. Epa/Taiwan Ministry of Defense.

Il ruolo di Taiwan

È probabile che lo scopo delle suddette basi di munizioni possa essere orientato a scoraggiare un eventuale attacco cinese. In termini più generali, ha fatto notare il sito Eurasian Times, queste manovre sembrerebbero essere volte a consentire agli Stati Uniti e ai loro alleati di combattere la Cina all’interno della sua formidabile bolla Anti Access/Area Denial (A2/Ad). Ricordiamo che la dottrina A2/Ad della Cina prevede l’impiego di missili anti-nave e di attacco terrestre a lunghissimo raggio per tenere a bada la marina degli Stati Uniti, senza consentirle di avvicinarsi alle coste cinesi.

La possibile decisione di Taiwan di accogliere strutture di stoccaggio di munizioni statunitensi farebbe sicuramente infuriare la Cina. Eppure, persino il Kuomintang (Kmt), il partito nazionalista taiwanese all’opposizione, ha mostrato una posizione favorevole all’idea. E questo è particolarmente degno di nota, considerando che Kmt è molto più favorevole al dialogo con la Cina del Partito Democratico Progressista (Ddp) attualmente al governo.