La Nato, dall’essere un’alleanza caratterizzata in anni recenti da difficoltĂ interne tali da destare dubbi sulla sua esistenza negli Stati Uniti e in Europa, a oggi è possibile dire che sia tornata ai “fasti” della Guerra Fredda. Sotto l’amministrazione del presidente statunitense Donald Trump, si erano palesati i primi scricchiolii della tenuta dell’Alleanza, in quanto Washington, in forza della politica del tycoon, ha richiesto con particolare insistenza agli alleati europei piĂą partecipazione finanziaria alla spesa militare della Nato arrivando persino a minacciare l’uscita degli Stati Uniti a luglio del 2018.
Il nodo irrisolto è rappresentato dal mancato raggiungimento del 2% del Pil per la Difesa da parte della maggioranza degli Stati membri (come stabilito al vertice del Galles di settembre 2014) e quindi dagli oneri contributivi degli Usa per il mantenimento della sicurezza europea.
L’anno successivo, sulla scorta delle ire statunitensi, era stato il presidente francese Emmanuel Macron a definire la Nato “un’alleanza cerebralmente morta”, per poi arrivare ad affermare palesemente, a febbraio 2021, che all’Europa servisse “autonomia strategica”, dando una scossa al processo esclusivamente europeo riguardante la costituzione del primo nucleo embrionale di un organismo di Difesa (settembre 2021) che è stato accelerato dal ritiro precipitoso degli Stati Uniti e della Nato dall’Afghanistan (agosto 2021).
In quei mesi, non senza una certa miopia, in certi ambienti si riteneva che l’Alleanza potesse essere messa in secondo piano, financo sciolta, ma l’avvio del conflitto in Ucraina, oltre a essere stato una doccia fredda per molte cancellerie europee che da troppi anni si cullavano in un effimero sentimento di pacifismo mercantilista, l’ha rivitalizzata profondamente portando a un riassetto generale delle forze dispiegate, dei piani di difesa e delle politiche industriali che ci sta riportando (considerando tutte le tempistiche dei vari casi) a livelli simili a quelli della Guerra Fredda.
Un riassetto che considera la Russia come obiettivo principale, quindi dando particolare importanza – come vedremo – al Fronte est, ma l’Alleanza non dimentica di aver individuato nella Cina un avversario sistemico in quanto “la sempre maggior crescita della potenza cinese sta spostando gli equilibri globali, fatto che pone delle opportunitĂ ma anche delle serie sfide per il futuro” e Pechino, nello Strategic Concept del giugno 2022, è stata apertamente accusata di aver messo in atto attivitĂ maligne nel campo cyber e nella Hybrid Warfare, mettendo l’Alleanza nel mirino della sua attivitĂ di disinformazione.
Questo ha portato con sĂ© la possibilità – per il momento – che la Nato possa aprire un ufficio di rappresentanza in Giappone (trovando però l’opposizione della Francia) in quanto Tokyo si trova a dover affrontare due avversari regionali, la Cina e la Russia, che non solo hanno importanti contenziosi territoriali con essa, ma che sono legati da rapporti di cooperazione militare sempre piĂą stretti. Sebbene il Paese del Sol Levante abbia recentemente ricercato piĂą collaborazione con gli alleati europei per fronteggiare in particolare l’aggressivitĂ cinese, e sebbene da parte europea si cerchi maggiore collaborazione col Giappone, con la stessa Francia che auspica un maggior impegno in tal senso da parte dell’Alleanza, l’Asia non rappresenta – ancora – un fronte aperto per la Nato.
Il Fronte orientale
Come accennato, i fronti dell’Alleanza sono europei, e in questo periodo storico riguardano in modo particolare la Russia. La Nato, dal 2015, ha ricominciato a guardare a est come conseguenza dell’annessione della Crimea e della destabilizzazione del Donbass, che ha causato timori negli alleati piĂą orientali (fondamentalmente i Baltici e la Polonia). Washington ha infatti varato l’European Deterrence Initiative, evoluzione del programma Eri (European Reassurance Initiative) voluto dall’amministrazione Obama nel 2015, stabilendo di rafforzare la propria presenza nell’Europa Orientale per rassicurare quei Paesi che piĂą si sono sentiti minacciati dalla condotta della Russia.
Edi ha previsto tutta una serie di provvedimenti per implementare la capacitĂ di deterrenza dell’Alleanza tra cui il rafforzamento della Nato Response Force – passata da 13mila a 40mila unità – la creazione della Very High Readiness Joint Task Force e l’istituzione di nuovi comandi multinazionali nei Paesi dei membri posizionati sul fianco est dell’Alleanza.
A marzo 2022, il dispositivo Nato sul fianco orientale, poteva contare su 40mila unitĂ sotto il diretto comando dell’Alleanza e 100mila alle dipendenze degli Stati Uniti insieme a 130 velivoli “in allerta” e 140 navi militari a disposizione sui mari. Questo contingente era distribuito tra i tre Paesi Baltici, la Polonia, la Slovacchia, l’Ungheria, la Romania e la Bulgaria. Per fare un paragone, nel 2015 il personale Nato dislocato lungo la frontiera orientale ammontava, nella sua totalitĂ , a circa 13mila unitĂ .
Questa maggior distribuzione di forze a est dell’Alleanza, ha portato con sĂ© una ridefinizione – come ovvio – dell’attivitĂ addestrativa della Nato: citiamo, tra le varie esercitazioni del 2023, solamente due casi che ci sembrano emblematici: Air Defender 23 e Dynamic Front 23. La prima è la piĂą grande esercitazione aerea tenuta in Europa dalla fondazione dell’Alleanza, e ha simulato uno scenario da “articolo 5”, ovvero un attacco a un Paese membro della Nato, la seconda invece ha riguardato la pianificazione del fuoco di artiglieria e il supporto alle truppe terrestri, proprio per via delle prime lezioni apprese dal conflitto in Ucraina, che ha dimostrato una volta di piĂą come queste specialitĂ dell’esercito, insieme alle forze corazzate, siano ancora centrali sul campo di battaglia.

Il Fronte artico
Quello orientale però non è l’unico fronte di contenimento della Russia. La Nato è attiva anche nel Grande Nord, dove, nel corso degli anni e in parallelo al ritorno assertivo sulla scena di Mosca, che ad esempio ha ripreso i pattugliamenti dei suoi bombardieri strategici/pattugliatori marittimi a lungo raggio sin dal 2008, ha ricominciato a essere presente: nel 2018, durante l’esercitazione Trident Juncture, la portaerei Uss Harry Truman ha navigato a nord del Circolo Polare Artico nel Mare di Norvegia, in una crociera operativa che è stata la prima dal crollo dell’Unione Sovietica, mentre a gennaio 2022 due Csg (Carrier Strike Group) uno britannico e uno statunitense, hanno preso parte alle manovre Cold Response 22 sempre nella stessa area, configurandosi come la piĂą grande esercitazione Nato all’interno del Circolo Polare Artico dagli anni ’80.
Il dispiegamento Nato/Usa ha visto il rafforzamento delle posizioni in quei Paesi afferenti all’area artica facenti parte dall’Alleanza: in Islanda, ad esempio, oltre alla giĂ da tempo attiva attivitĂ di Air Policing, sono tornati i pattugliatori marittimi P-8 della U.S. Navy mentre in Norvegia è stato attivato un hub per gli F-35 che ha visto anche lo schieramento temporaneo di bombardieri strategici B-1B dell’U.S. Air Force. Per quanto riguarda l’area norvegese, quanto accaduto è anche frutto della rinnovata collaborazione tra Oslo e Washington che nel 2020 hanno rinegoziato accordi per aggiornare il loro patto di cooperazione in materia di difesa che esiste sin dal 1950: in particolare il porto di Tromsoe, cittadina sita circa 300 chilometri a nord del Circolo Polare Artico, è stato ingrandito per farne un centro per accogliere i sottomarini nucleari d’assalto statunitensi che così possono operare in un braccio di mare strategico posto a poca distanza dalla “tana” delle unitĂ subacquee russe, ovvero le basi di Murmansk/Poljarnyj nella penisola di Kola.
A novembre 2019, infatti, una piccola flottiglia di sottomarini russi aveva oltrepassato il Giuk Gap (Greenland, Iceland, United Kingdom Gap) per dirigersi in forze in pieno Oceano Atlantico.
Mosca, come sappiamo, ha interessi vitali nell’Artico che non riguardano solo le risorse minerarie ivi presenti (idrocarburi e metalli situati nella piattaforma continentale), ma anche militari: il Mar Glaciale Artico è un “bastione” in cui i sottomarini a propulsione nucleare lanciamissili balistici della Voenno-Morskoj Flot navigano in pattugliamento pronti all’ordine di attacco atomico di Mosca in caso di crisi irreparabile.
Per questo, per rinforzare le difese della sua componente subacquea da attacco nucleare, il Cremlino ha varato una serie di provvedimenti che rafforzano il territorio artico – una frontiera sterminata per la Russia in quanto si estende dal Mare di Barents sino a quello di Bering – con nuove basi militari, aeroporti, dispiegamento di truppe/mezzi e la riattivazione di vecchi siti in disuso dai tempi della dissoluzione dell’Unione Sovietica.

Il Fronte meridionale
Il Fronte sud rappresenta un altro settore conflittuale ma, purtroppo, meno considerato dall’Alleanza: i confini meridionali dell’area geografica della Nato si affacciano, dalla Spagna sino alla Turchia, su aree di crisi dalla natura multiforme.
Il Nord Africa e il Levante sono infatti sede di traffici di illeciti, sono attraversati da rotte migratorie che portano con sĂ© il traffico di esseri umani, hanno conflitti intestini in atto (Libia e Siria) dove operano attori internazionali che si annoverano tra competitor e avversari dell’Alleanza, ma soprattutto presentano ancora la minaccia del terrorismo internazionale di matrice islamica che è passata in secondo piano per via della crescente assertivitĂ della Russia diventata aggressivitĂ a partire dal 2014.
Il Nord Africa afferisce all’area subsahariana dove vi è una diffusa instabilitĂ per via di VNSA (Violent Non State Actor) che sono attivi nel contrasto ai governi locali – anche estendendosi oltre i confini nazionali – e hanno generato ondate migratorie e favorito i traffici illeciti di armi, droga e reperti archeologici (usati per il finanziamento).
L’instabilitĂ diffusa, insieme a una certa incapacitĂ di farvi fronte da parte di singoli Stati (ad es. la Francia nel Sahel) o di gruppi di Stati (vedasi il fallimento di Task Force Takuba in Mali), ha determinato, anche per radicati sentimenti anticolonialisti ben fomentati dalla propaganda antioccidentale russa, l’inserimento stabile di attori internazionali avversari della Nato, come Mosca, e l’arrivo, per la prima volta, di navi militari cinesi nel Golfo di Guinea dove Pechino ha stabilito accordi col governo della Nigeria in funzione antipirateria.
Attualmente, la Nato sul Fronte sud ha attiva la missione Sea Guardian nel Mediterraneo con compiti di sicurezza marittima tra cui la lotta al terrorismo in mare e supporto allo sviluppo di capacitĂ dei Partner/alleati nell’area. Nell’area mediorientale l’Alleanza è attiva con la “Nato Mission Iraq” da luglio 2018, su richiesta del governo iracheno e in coordinamento con la Global Coalition to Defeat Isis. Si tratta di una missione di consulenza non di combattimento volta a rafforzare le istituzioni e le forze di sicurezza irachene. Sempre sul fronte meridionale, l’Alleanza sostiene l’Unione Africana (Ua) nelle sue missioni di mantenimento della pace nel continente africano: dal giugno 2007, la Nato è attiva in Somalia fornendo supporto aereo e marittimo alle forze di pace dell’Ua fornendo anche supporto per il potenziamento delle capacitĂ e per la formazione di esperti.
A queste missioni vanno aggiunte la giĂ citata attivitĂ di Air Policing e la missione Kfor in Kosovo, entrambe svolte sul continente europeo.