È dagli anni Quaranta del Novecento che gli scienziati militari delle grandi potenze studiano i grandi fenomeni distruttivi della natura, dai terremoti ai nubifragi, con il duplice obiettivo di carpirne i segreti e capire se sia possibile attivarli artificialmente e/o controllarli.
La gente comune è per lo più all’oscuro degli esperimenti sulla militarizzazione della natura, alcuni dei quali sono stati condotti a cielo aperto, in contesti di guerra, ma trattasi di una realtà, quella delle armi di distruzione ambientale di massa, di cui è indispensabile parlare. Perché le guerre del futuro, forse, si combatteranno anche a colpi di tifoni e di bufere generati artificialmente.
Alla ricerca degli tsunami fai da te
Università di Auckland, 1944. Il paragrafo pacifico della Seconda guerra mondiale è nel vivo e tra i kamikaze dell’Impero giapponese e le aviazioni delle sorelle dell’Anglosfera è battaglia nei cieli. La voglia di chiudere il conflitto è tanta, anche perché i morti tra gli Alleati vanno accumulandosi, e uno scienziato neozelandese di nome Thomas Leech crede di aver trovato la soluzione: tsunami artificiali.
Le visioni di Leech fanno rumore. La voce di uno scienziato che promette di creare tsunami apocalittici a colpi di bombe in alto mare arriva prima a Londra e poi a Washington. Quest’ultima, che nello stesso periodo sta lavorando alla bomba atomica, è particolarmente interessata alle idee dell’Oppenheimer neozelandese.
Nel 1944, grazie ai contributi fondamentali di Washington, la squadra di Leech inaugura i lavori all’interno di un cantiere militare ultrasegreto, ribattezzato Sigillo (Seal), destinato a durare un anno. Svoltosi al largo della penisola di Whangaparaoa, nell’estremo settentrione della Nuova Zelanda, il Progetto Sigillo avrebbe condotto a quasi quattromila esplosioni su piccola scala nell’arco di sette mesi. Obiettivo: capire se fosse possibile indurre a mezzo detonazione la nascita di maremoti.
Se le tesi di Leech si fossero rivelate corrette, gli Stati Uniti avrebbero potuto piegare il Giappone a colpi di tsunami generati, magari, da bombe atomiche sganciate in prossimità delle sue coste. E, secondo i documenti sul Progetto Sigillo desecretati nel 1999, Leech avrebbe avuto ragione: i suoi esperimenti avevano dimostrato la possibilità di innescare degli tsunami distruttivi previa detonazione di almeno due tonnellate di esplosivo a otto chilometri dalla costa-obiettivo.
Il sogno-incubo della bomba tettonica non morì col Progetto Sigillo. Fu ripreso dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica nell’immediato secondo dopoguerra, complice l’inizio della Guerra fredda, e indagato ulteriormente nel contesto di nuovi progetti.
Se delle ricerche compiute dagli Stati Uniti in materia di induzione di terremoti, maremoti ed eruzioni non è dato sapere nulla, perché ancora oggi secretate, di quelle sovietiche è emerso qualcosa con la caduta dell’Urss e la successiva fuga di notizie da alcuni archivi.
Gli scienziati militari dell’Unione Sovietica, tra i quali il fisico Andrej Sacharov, confidavano realmente nella possibilità di destabilizzare le forze di natura tettonica della crosta terrestre attraverso la manipolazione violenta dell’elettromagnetismo. E inseguendo il sogno distopico di risvegliare la caldera di Yellowstone, o di far sprofondare la California stuzzicando la faglia di Sant’Andrea, investirono tempo e risorse in tre progetti: Lavina, Mercurio e Vulcano.
Descritti dalla geofisica occidentale come dei progetti dagli esiti “improbabili, ma non impossibili”, Lavina, Mercurio e Vulcano avrebbero impegnato i sovietici dagli anni Settanta all’ultimo dei loro giorni. L’ultima esplosione sperimentale nell’ambito del progetto Vulcano, infatti, fu compiuta tra il 1991 e il 1992.
Diluvio universale su Ho Chi Minh
Ricercate e sperimentate in luoghi remoti da diversi eserciti, ma ufficialmente mai realizzate da nessuno, le bombe tettoniche sono entrate nell’immaginario collettivo grazie ai teorici del complotto.
A cadenza regolare, quando avvengono un terremoto o un maremoto particolarmente potenti, i cospirazionisti veicolano l’idea che il tragico evento possa essere stato il risultato (voluto o collaterale) di un esperimento. Accadde nel 1998, ai tempi del terremoto in Afghanistan, imputato a dei presunti test condotti o dal Pakistan o dall’India. Riaccadde di nuovo nel 2004, in occasione del maremoto dell’Oceano Indiano, e ancora nel 2010, quando l’allora leader venezuelano Hugo Chavez accusò gli Stati Uniti di essere dietro il terremoto di Haiti.
Se le bombe tettoniche continuano a dividere la geofisica, le armi di distruzione ambientale di massa rientranti nella categoria dell’alterazione artificiale delle condizioni meteorologiche sono, invece, una realtà documentata, per quanto semisconosciuta, sin dai tardi anni Sessanta.
Tra il 1967 e il 1972, nel contesto dell’operazione Popeye – che in Italia è stata raccontata ne L’arte della guerra ibrida. Teoria e prassi della destabilizzazione (Castelvecchi, 2022) –, l’aviazione degli Stati Uniti inseminò le nuvole dell’Indocina di ioduro d’argento e ioduro di piombo con l’obiettivo di estendere (e di aggravare) la stagione dei monsoni.
La prima guerra meteorologica della storia fu un inaspettato successo. L’inseminazione delle nuvole condusse al peggioramento dei monsoni, prolungandoli anche di 30-45 giorni rispetto alla media, col doppio risultato di inondare intere porzioni del sentiero di Ho Chi Minh e di rallentare notevolmente gli spostamenti dei rivoluzionari nordvietnamiti. Un esperimento destinato a fare scuola (e ad avere una prole).
Il futuro della guerra è la manipolazione della Terra
Il diritto internazionale è la gabbia delle piccole e medie potenze, ed è uno scherzo per le grandi potenze. È così da sempre. Questo è il motivo per cui, nonostante l’esistenza della Convenzione sul divieto dell’uso di tecniche di modifica dell’ambiente a fini militari o ad ogni altro scopo ostile, datata 1978, i protagonisti dell’arena internazionale di ieri e di oggi hanno scommesso e scommettono sullo sviluppo delle armi di distruzione ambientale di massa.
Se ieri i pionieri delle armi di distruzione ambientale di massa furono Unione Sovietica e Stati Uniti, rispettivamente alla ricerca delle bombe tettoniche e impegnati in una guerra meteorologica, oggi pullulano i programmi militari aventi come oggetto l’alterazione del clima e/o la produzione di fenomeni catastrofici.
In Russia è in stadio di sviluppo avanzato un sottomarino autonomo a propulsione nucleare di nuova generazione, il Poseidon, che i produttori hanno pubblicizzato come in grado di generare onde anomale ad altissimo impatto. Il possibile frutto, se realizzato, di una semina iniziata coi progetti Lavina, Mercurio e Vulcano.
La Corea del Nord, a inizio 2023, ha testato un drone sottomarino che, secondo quanto riportato dalla stampa statale, “è capace di generare tsunami radioattivi”. La Cina, sui cui programmi di super-armi vige il massimo riserbo, è periodicamente al centro di teorie del complotto che la vedrebbero impegnata nello sviluppo di armi tettoniche poi utilizzate ai danni di Giappone e Taiwan.
Forse le armi tettoniche non esistono ancora, ma i loro equivalenti meteorologici sono realtà dagli anni Sessanta. Forse la paura di scatenare una guerra mondiale sarà il deterrente che convincerà le grandi potenze a non utilizzarle, creando un nuovo equilibrio del terrore. Certo è che, nonostante il grande pubblico sia per lo più all’oscuro di questo tema, nelle stanze dei bottoni si discute dell’ultima frontiera della distruzione dagli anni Quaranta del Novecento.