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La guerra in Ucraina ha drammaticamente dimostrato che chi, nel corso degli ultimi due decenni, pensava che i veicoli terrestri pesanti, e in particolare gli Mbt (Main Battle Tank), fossero mezzi obsoleti e destinati a sparire dagli arsenali degli eserciti, si stava sbagliando. L’avvento e l’ampia diffusione di Atgm (Anti Tank Guided Missile) sempre più sofisticati, capaci anche di colpire il bersaglio dall’alto quindi eludendo le parti di corazzatura più efficace, la centralità dello strumento aereo (fatto anche di Ucav – Unmanned Combat Air Vehicle), e sistemi di artiglieria sempre più precisi e di ampia gittata, ha fatto ritenere che il carro armato fosse un mezzo, se non inutile, ormai relegato a teatri del tutto secondari, come i conflitti asimmetrici.

Invece le peculiarità del conflitto ucraino, di tipo semi-simmetrico, tra cui l’assenza di un belligerante che ha ottenuto la supremazia o superiorità aerea, quest’ultima in effetti solo di tipo puntiforme e spesso temporanea, hanno evidenziato come le forze terrestri pesanti e gli Mbt abbiano ancora un ruolo centrale sul campo di battaglia. La guerra in Ucraina non verrà ricordata per la sua campagna aerea e nemmeno, a ben vedere, per l’attività di interdizione missilistica, effettuata dai russi con sempre meno costanza – se escludiamo i giorni che hanno immediatamente preceduto e seguito la parata militare moscovita del 9 maggio 2023 –, bensì per scontri di trincea e per attacchi e contrattacchi – anche offensive e controffensive – in cui i mezzi terrestri pesanti, come carri armati e artiglieria semovente, sono stati protagonisti insieme a Uav, piccoli droni e missili anticarro.

Il conflitto ha fatto suonare quindi “una sveglia” nei ministeri della difesa europei per quanto riguarda lo stato delle forze corazzate, che erano state “dimenticate” per più di 25 anni anche per via dell’assunzione delle dottrine di counterinsurgency e counterterrorism dovute alla conduzione di conflitti asimmetrici per contrastare il terrorismo internazionale.

Bisogna poi considerare che il numero degli Mbt, in Europa Occidentale, è crollato dal termine della Guerra fredda, venendo a mancare “la minaccia” rappresentata dalla massa enorme delle forze corazzate combinate di URSS e Paesi del Patto di Varsavia.

Ariete, il tank italiano

L’Italia è forse uno dei Paesi, tra quelli che contribuiscono maggiormente alla sicurezza del Vecchio Continente, in cui la problematica del numero e del livello degli Mbt è più evidente. Il nostro Paese dispone, sulla carta, di circa 200 carri Ariete C1 e sino al 2022 si stimava che solo la metà fosse pronta al combattimento (combat ready in inglese).

Questo Mbt è stato sviluppato a partire dal 1984 e il primo prototipo venne presentato nel 1987 cominciando a entrare in servizio nel 1995, quindi in un periodo storico in cui la minaccia precedentemente citata era già terminata. Il completamento della consegna di tutti gli Ariete C1 è avvenuto nel 2000, e proprio qualche tempo dopo l’Esercito Italiano stava già pensando al suo sostituto, che prese il nome di Ariete C2 (o Mk2), ma le limitazioni al bilancio della Difesa hanno provocato la cancellazione del programma di sviluppo e acquisizione (che avrebbe dovuto sostituire i C1 in rapporto 1:1).

Il C1 è stato comunque modernizzato nel corso degli anni: una prima volta proprio in concomitanza con la cancellazione del C2, ma solo nel 2019 il ministero della Difesa, nel Documento Programmatico Pluriennale (Dpp), ha previsto un effettivo percorso di modernizzazione allora finanziato coi primi 35 milioni di euro per prolungarne la vita operativa sino al 2030.

Lo scorso anno, proprio per via delle evidenze dimostrate dal conflitto in Ucraina, Palazzo Baracchini nel DPP ha messo a bilancio 980 milioni per l’ammodernamento di 125 C1 spalmati sino al 2034. Il programma, si legge nel documento governativo, è finalizzato al mantenimento dell’operatività e delle condizioni di sicurezza della componente corazzata dell’Esercito quale fondamentale soluzione provvisoria, in vista dello sviluppo e della futura acquisizione del nuovo carro franco-tedesco Mgcs (Main Ground Combat System), presumibilmente attraverso forme di cooperazione con altri Paesi europei.

La modernizzazione dei carri è volta ad aumentare la mobilità tattica e le condizioni di sicurezza degli equipaggi a bordo dei carri e ad assicurarne l’impiego in teatri operativi caratterizzati da un elevato livello di minaccia. In particolare, i principali interventi riguarderanno i settori della mobilità, dell’engagement, della sicurezza e dell’interoperabilità.

Nello stesso documento, infatti, si legge una voce, non finanziata, per un possibile interessamento italiano al programma Mgcs, che però, come abbiamo avuto modo di evidenziare recentemente, stenta a partire per via di problematiche legate alla ripartizione del lavoro, dei brevetti e per le dinamiche relative ai rapporti di forza tra l’industria tedesca e quella francese, tanto che l’orizzonte temporale per la consegna dei primi prototipi, originariamente fissato al 2035, secondo lo stesso Bundestag, “non è più fattibile” e nella migliore delle ipotesi si parla del 2040. Quasi venti anni da oggi.

L’opzione Leopard

L’Esercito Italiano, pertanto, sta cercando soluzioni alternative ad interim, come del resto stanno pensando di fare in Germania e in Francia, e recentemente si è parlato della possibile acquisizione di un certo quantitativo di Leopard 2A7, ma ancora non c’è nulla di stabilito.

Per cercare di chiarire ulteriormente in che direzione stia guardando la Difesa italiana per colmare la rapida obsolescenza della nostra componente corazzata, durante la recente inaugurazione dell’IFTS, il nuovo centro di addestramento avanzato per i piloti da caccia voluto dall’Aeronautica Militare in Sardegna presso la base di Decimomannu (Ca), abbiamo avuto l’occasione di fare qualche domanda al sottosegretario di Stato del ministero della Difesa, Matteo Perego di Cremnago.

Il sottosegretario ci ha raccontato che, in merito alla questione delle forze corazzate e dei possibili assetti che potrebbero essere acquisiti, “sono in corso delle valutazioni che competono al ministro della Difesa e all’industria nazionale, sentiti i requisiti capacitivi dell’Esercito. C’è l’interesse ad avviare un programma di ammodernamento che accompagnerà anche quello degli Ariete perché è nell’interesse delle Forze Armate soprattutto nel contesto geopolitico in cui viviamo, dato che si è capito quanto questi assetti siano strategici, basti vedere cosa accade in Ucraina, e credo che la valutazione sarà effettuata in base al combinato dei requisiti capacitivi e delle capacità dell’industria che ha di lavorare insieme a partner europei”.

Perego di Cremnago riferisce che quindi “dovremo guardare sempre di più a fare consorzi e a lavorare in sinergia con le industrie europee della difesa in quello che deve essere l’obiettivo di ridurre il numero di sistemi (ce ne sono troppi in Europa), di far crescere la nostra industria lavorando insieme alle altre, e non con una competizione tra singoli Paesi che non è più ragionevole in un’epoca come questa in cui bisogna fare degli agglomerati, bisogna fare massa critica. Per cui si andrà verso programmi comuni sicuramente”.

Il segretario ha aggiunto anche che “stiamo facendo delle valutazioni su quale sarà la macchina migliore da adottare, certamente l’Esercito ha necessità di ammodernamento delle proprie capacità”.

Un carro armato Leopard 2A7 tedesco nel 2010. Foto: Epa/Clemens Niesner.

Alla nostra domanda riguardante la possibilità di acquisire i Leopard 2A7, il sottosegretario ci ha risposto che “ci sono delle valutazioni in corso che, ripeto, rispondono più alla volontà del ministro. Credo che le valutazioni che sono state fatte siano sicuramente quelle di combinare da un lato il requisito capacitivo, che è primario, ma anche l’intero ciclo di vita e manutentivo dei prodotti, quindi avere qualcosa di cui si possa disporre con relativa catena di approvvigionamento; una strada potrebbe essere fare qualcosa coi nostri alleati europei”.

“Certamente – prosegue di Cremnago – oggi non è soltanto un tema specifico dell’Esercito o una questione legata agli Mbt, ma è generale: dobbiamo ragionare e riconsiderare l’industria nazionale lavorando con l’industria europea. Non è più l’epoca di guardare solo al mercato domestico per le nostre aziende come volume d’affari, bisogna guardare al mercato estero, e bisogna guardare anche alle esigenze di avere nel minor tempo possibile sistemi efficaci, efficienti e che garantiscano un’operatività. Non si può pensare di pianificare qualcosa che avremo fra 20 anni, l’esigenza è adesso”.

La strada quindi non sembra ancora definita, se pur l’interessamento per il Leopard 2A7 sembri essere qualcosa più di un mero interessamento, forse non solo ad interim. Quello che è certo è che, come riferisce anche Matteo Perego di Cremnago, non si può aspettare un ventennio – o quasi – per avere un nuovo Mbt all’altezza dei campi di battaglia moderni, quindi riteniamo che, a meno di qualche improvviso miracolo, il fato dell’Mgcs, o meglio della partecipazione italiana al programma, sia segnato, o meglio rimandato a valutazioni che riguarderanno proprio i requisiti di sistema per un carro che vedrà la luce, forse, solo nel 2040 e che quindi dovrà essere adeguato all’ambiente bellico di quel decennio, che è ancora aleatorio.

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