Con la maggiore attenzione dei media rivolta verso il fronte ucraino e del Mar Nero, dove soffiano venti di guerra da quasi tre mesi, ci si dimentica di un altro fronte caldo della Nato: quello del Baltico.
Negli scorsi giorni vi abbiamo raccontato di come la Svezia stia rafforzando la sua presenza militare nella strategica isola di Gotland, e del perché questa possa far gola alla Russia: l’isola è posta al centro di quel mare e controllarla significa poter installare un meccanismo di interdizione navale e aereo che allungherebbe di molto il raggio d’azione della bolla A2/Ad di Kaliningrad (exclave della Federazione Russa), tagliando quindi le vie di rifornimento per i Paesi Baltici.
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Svezia e Finlandia si “riarmano”
Proprio il costante aumento dell’attività militare russa – a sua volta innescato dall’espansione a est della Nato – e soprattutto il colpo di mano in Crimea del 2014, hanno costretto i Paesi Scandinavi a cambiare la propria postura militare, aumentando non solo l’attività di pattugliamento e sorveglianza ma anche recuperando un assetto generale “da Guerra Fredda”: la Svezia, ad esempio, ha reintrodotto la leva – se pur selezionata – e ha aumentato il budget per la Difesa.
Allo stesso modo la Finlandia, che ha anche scelto, recentemente, di acquisire un mix di F-18E/F ed F-35A per sostituire la sua linea di volo composta da 55 vecchi F-18C. In particolare, la scelta finlandese di puntare sul caccia di quinta generazione, in un contesto internazionale che offriva anche i Typhoon, i francesi Rafale e i Gripen E/F del suo vicino di casa, riflette proprio la volontà di Helsinki di dotarsi di un sistema d’arma moderno in grado di operare in un ambiente altamente contestato come quello offerto dalle bolle di interdizione A2/Ad russe presenti nel Baltico.
Se la Svezia, timorosa delle possibili azioni ostili russe, militarizza Gotland, la Finlandia che ha un confine diretto con la Russia e ne condivide l’omonimo golfo, sta facendo altrettanto con le isole Aland, situate in posizione strategica all’ingresso del Golfo di Botnia, mentre Mosca, ormai da due anni, sta militarizzando l’isola di Gogland (anche nota come Suursaari): una striscia di terra di una decina di chilometri nel Golfo di Finlandia situata a 35 chilometri a sud della città finlandese di Kotka.
Qui la Russia ha costruito una nuova base militare che ospita uno stormo di elicotteri da combattimento in una mossa che non ha precedenti nemmeno durante la Guerra Fredda, quando l’isola era disabitata e sguarnita. La sua posizione nel Golfo di Finlandia è infatti strategica in quanto diventa un avamposto per il controllo degli accessi a S. Pietroburgo, dove si trova un’importante base navale sede, dal 2012, del quartier generale della Voenno-morskoj Flot, la Flotta Russa.
Una tensione crescente negli ultimi anni, quella tra Russia e i Paesi Scandinavi non facenti parte della Nato, che si è acuita negli ultimi mesi proprio per via della mobilitazione di ingenti forze terrestri e navali russe. La Svezia, contestualmente alla militarizzazione di Gotland, ha reso noto che le sue navi da guerra (del terzo e quarto raggruppamento) sono rimaste in mare in misura maggiore nelle ultime settimane proprio per monitorare l’insolita attività navale russa, mentre la Reale Aeronautica Svedese ha attentamente sorvegliato la rotta della piccola flottiglia uscita dai porti russi del Baltico che in queste ore sta attraversando il Mediterraneo centrale.
La Norvegia ha bisogno della Nato
Nell’altro Paese scandinavo appartenente alla Nato, la Norvegia, oltre ad aumentare la propria collaborazione coi propri “vicini di casa” e con gli Stati Uniti – recentemente è stato aggiornato l’accordo di cooperazione in materia di difesa tra Washington e Oslo che esiste sin dal 1950 – ci si sta chiedendo se le forze armate nazionali siano in grado di difendere adeguatamente la nazione.
Oltre alle questioni legate al budget – molto comuni in Europa occidentale – il punto individuato è che la Norvegia non avrà mai un esercito abbastanza grande in grado di difendere l’intero Paese. La geografia, la posizione strategica e la bassa popolazione lo rendono impossibile. Pertanto viene affermato che la Norvegia deve avere uno strumento difesa abbastanza grande da permettere di mostrare “la capacità e la volontà di difenderci”, affrontare le crisi immediate e possibilmente resistere fino all’arrivo degli alleati.
Patti “scandinavi” per la Difesa
La difesa della Scandinavia è proprio una questione di alleanza che va oltre l’ambito Nato: Svezia, Finlandia e Norvegia hanno stretto un accordo trilaterale, il “trilateral Statement of Intent”, il 23 settembre del 2020 che fissa come obiettivo una più stretta cooperazione in materia di difesa tra i tre Paesi col fine di raggiungere capacità e prontezza tali per condurre operazioni militari, sulla base sempre di “decisioni separate”.
Un altro accordo trilaterale, siglato a maggio del 2018, questa volta tra Stati Uniti, Svezia e Finlandia, ha all’incirca i medesimi obiettivi ma aggiunge un punto interessante, ovvero la promozione di legami costruttivi con la Nato e l’Ue, visti come organismi fondamentali per implementare la sicurezza del Baltico. Tornando alla cooperazione trilaterale in materia di difesa tra Oslo, Helsinki e Stoccolma, si afferma che l’obiettivo è una più ampia cooperazione tra i Paesi nordici (Nordefco) per rafforzare la capacità di lavorare insieme in condizioni di pace, crisi e conflitti. Inoltre questa integra la cooperazione bilaterale tra Finlandia e Svezia e tra Finlandia e Norvegia.
La Nordefco (Nordic Defense Cooperation) aggiunge Danimarca e Islanda alle tre nazioni della Penisola Scandinava e ha lo scopo generale di rafforzare la difesa nazionale dei partecipanti, esplorare sinergie comuni e facilitare soluzioni condivise efficienti. La struttura, che fa capo a un consiglio formato dai ministri della Difesa dei Paesi partecipanti, è impostata sulla cooperazione, non è quindi una struttura di comando. Le attività di cooperazione sono agevolate e concordate all’interno della stessa, ma l’effettiva realizzazione e partecipazione alle attività restano decisioni nazionali: una volta che un’attività di cooperazione viene decisa e avviata, passa in gestione alla normale catena di comando nazionale esistente.
Il “gemellaggio difensivo” tra Svezia e Finlandia
Risulta particolarmente interessante guardare ai legami nel campo della difesa tra Svezia e Finlandia, in quanto sono due nazioni facenti parte dell’Ue ma non della Nato, pur collaborandovi attivamente. La Svezia gode di uno status speciale nella cooperazione bilaterale col suo vicino di casa, per via di un lungo legame storico, di valori condivisi, e di economie ampiamente integrate anche grazie alla partecipazione all’Unione europea. È evidente, quindi, che Stoccolma ed Helsinki valutino i rispettivi ambienti di sicurezza da punti di partenza simili, come abbiamo potuto vedere coi casi delle isole Gotland e Aland.
Negli ultimi anni i due Paesi hanno ulteriormente approfondito la cooperazione bilaterale in materia di difesa concentrandosi sul potenziamento delle capacità militari e dell’interoperabilità. Tale cooperazione mira a rafforzare la sicurezza della regione del Mar Baltico anche grazie a una pianificazione operativa congiunta in tutte le situazioni possibili, ad esempio la protezione dell’integrità territoriale.
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Un “gemellaggio difensivo” diventato operativo a febbraio del 2015 – la tempistica, pochi mesi dopo la Crimea, non è casuale – quando sono stati pubblicati i punti chiave della relazione sui prerequisiti per un’intensificazione della cooperazione tra Finlandia e Svezia. Un accordo che è diventato operativo quasi da subito: ad esempio nel novembre 2016 le truppe svedesi hanno preso parte a un’esercitazione di fuoco combinata su larga scala a Rovajarvi e gli aerei da combattimento finlandesi hanno partecipato a un’esercitazione dell’aviazione svedese a Gotland.
Si tratta però di un legame che è stato instaurato da tempo: dall’inizio degli anni 2000 le marine finlandese e svedese hanno collaborato per condividere la “situational awareness” e a quanto pare si sta lavorando alacremente per introdurre pratiche simili anche nella sorveglianza aerea. Inoltre si stanno sviluppando comunicazioni crittografate tra i due Paesi ed è in studio la possibilità di avere un’architettura di supporto logistico reciproca dalle basi e dai porti organizzata in modo più flessibile rispetto a quello attuale.
La Scandinavia ha quindi una centralità strategica nel nuovo periodo di tensione tra Russia e Occidente, e, in particolare, Svezia e Finlandia guardano con sempre maggiore simpatia alla possibilità di far parte dell’Alleanza Atlantica, anche per via della sostanziale assenza dell’Ue non solo dal punto di vista militare, ma anche politico.
Proprio l’escalation russa nel “Grande Nord”, ivi compreso l’Artico, ha spinto Helsinki e Stoccolma verso la progressiva perdita della propria “neutralità” e un ingresso nella Nato che si fa sempre più certo: uno spiacevole effetto collaterale per Putin della sua politica assertiva volta a recuperare la sfera di influenza russa e cercare di contenere l’espansione dell’Alleanza, e questa volta, trattandosi di due Paesi che non sono mai stati nell’orbita di Mosca e sempre piuttosto lontani dall’Alleanza, il Cremlino non potrà alzare la voce più di tanto nel consesso della diplomazia internazionale.