Negli ultimi giorni, sembrava che Stati Uniti, Giappone e Taiwan avessero trovato un accordo relativo alla reciproca condivisione delle rispettive intelligence. L’intesa, benedetta da Washington, avrebbe segnato un’importante evoluzione nella strategia minilaterale portata avanti dagli Usa nella regione dell’Indo-Pacifico per contenere la Cina.

In particolare, il Financial Times aveva scritto che i tre Paesi si sarebbero scambiati dati e informazioni in tempo reale grazie all’utilizzo di droni da ricognizione navale, con gli Mq-9 Sea Guardian di Taipei – che saranno consegnati all’isola nel 2025 – che sarebbero dunque stati integrati nello stesso sistema utilizzato dalle forze statunitensi e giapponesi.

Abbiamo usato il condizionale, perché il ministero della Difesa taiwanese ha negato il fatto che Taipei faccia parte di ipotetici piani tripartiti per condividere le informazioni raccolte dai droni di sorveglianza navale con Stati Uniti e Giappone. Con una presa di posizione inaspettata, il governo di Taiwan si è insomma mosso per respingere il contenuto di un articolo secondo cui i suoi futuri droni Sea Guardian Mq-9b verrebbero impiegati spalla a spalla con Tokyo e Washington.

Il passo indietro di Taiwan

Il ministero della Difesa taiwanese ha pubblicato un tweet emblematico: “Il ministero non è stato ancora informato dei piani per condividere i dati in tempo reale dai droni da ricognizione navale con gli Stati Uniti e il Giappone, come riportato da alcuni media. Vorremmo gentilmente chiedere che venga esercitata la dovuta diligenza nel verificare la fonte delle informazioni per evitare di fuorviare il pubblico”.

Il riferimento è ovviamente al pezzo riportato dal FT che ha citato “quattro persone che hanno familiarità con il progetto”. “Adotteremo un approccio pratico per garantire che l’integrazione avvenga il più rapidamente possibile”, aveva addirittura dichiarato una di queste persone al quotidiano londinese.

Sia chiaro: la dichiarazione del ministero di Taipei non significa che l’isola non possa aderire, in futuro, al piano di condivisione dell’intelligence. Indica però che, indipendentemente dalla verità dietro al pezzo pubblicato dal FT, una rivelazione del genere risulta alquanto scomoda per i soggetti coinvolti.

La questione del grado di coinvolgimento di Taiwan nella condivisione dell’intelligence, e nella più ampia cooperazione militare, con gli Stati Uniti rimane infatti tanto delicata quanto controversa. Anche perché, dal 1979, gli Usa non fanno formalmente parte di un trattato di mutua difesa con Taiwan, avendo scelto di trasferire il riconoscimento diplomatico a Pechino, e quindi alla Repubblica Popolare Cinese.

Da questo punto di vista, qualsiasi mossa verso il rafforzamento delle relazioni militari statunitensi con Taiwan, o la fornitura di armi e supporto bellico, è destinata a suscitare una reazione ostile da parte della Cina



I droni e la condivisione di informazioni

Il patto trilaterale evocato risulterebbe tuttavia altamente strategico. Un tale accordo consentirebbe infatti a Stati Uniti, Giappone e Taiwan di condividere un quadro operativo comune, con l’implicazione  di migliorare notevolmente sia la sorveglianza che il preallarme delle operazioni militari cinesi nei pressi di Taipei.

In caso di effettiva fumata bianca, è inoltre lecito supporre che Washington sarebbe disposta a coordinarsi con le forze armate taiwanesi, anche e soprattutto in caso di invasione o campagna militare lanciata da Pechino.

In uno scenario del genere, ricordiamo che General Atomics dovrebbe consegnare quattro droni Mq-9b Sky Guardians a Taiwan a partire dal 2025. Il mese scorso è stato confermato un contratto da 218 milioni di dollari per la variante marittima del drone Reaper. Comprende quattro veicoli aerei senza pilota Mq-9b, due stazioni di controllo, pezzi di ricambio e attrezzature di supporto. I preparativi vanno avanti, dietro le quinte, anche se nessuno, in primis Taiwan, non sembra aver alcuna intenzione di far alterare la Cina.

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