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La nascita dell’alleanza Aukus ha diversi significati. È il simbolo di un nuovo Occidente, rimodulato su linee diverse rispetto a quelle tradizionali che collegano Europa e Stati Uniti. È l’immagine di una nuova corsa alle armi nel Pacifico, dove l’ascesa della potenza marittima cinese, unita alla presenza russa, ha fatto sì che Washington abbia deciso di puntare non solo sulla propria forza dislocata nei vari Paesi della regione, ma anche sul rafforzamento dei partner locali. Infine, è il frutto di un interesse costante da parte di tutte le potenze della regione per la componente subacquea: elemento ormai imprescindibile di qualsiasi marina moderna e che sembrava dover passare in secondo piano come simbolo di una Guerra Fredda tra Usa e Russia ormai relegata ai libri storia.

In questo contesto di riarmo e tensioni, l’annuncio di Joe Biden, Boris Johnson e Scott Morrison – rispettivamente leader di Stati Uniti, Regno Unito e Australia – ha modificato la percezione dell’Indo-Pacifico. Quello che appariva come un fenomeno in crescita, cioè l’aumento del potenziale bellico della regione, si è trasformata di colpo in una realtà di fatto. E l’accordo non ha solo cancellato il contratto del secolo tra Parigi e Canberra per i sottomarini francesi, ma ha ribadito l’importanza riservata dagli Stati Uniti al fronte oceanico. È lì, dall’altra parte del Pacifico, che Washington ritiene essenziale formare il primo scudo di protezione nei confronti di Pechino. E per l’amministrazione Biden, la condivisione di tecnologia sottomarina con l’Australia (e quindi la vendita di future unità a propulsione nucleare) è un passo in avanti verso la costruzione di una faglia difensiva a ovest dell’America e che prescinde dall’Europa.

L’analista H.I. Sutton, uno dei massimi esperti al mondo di sottomarini e strategia navale, ci ha spiegato il suo punto di vista sulla notizia che ha scatenato non solo l’ira di Parigi ma anche le reazioni piccate della Cina. Innanzitutto sull’oggetto di questo accordo e su quali tecnologie ricerca l’Australia (e con lei il blocco dell’Anglosfera). “Le uniche opzioni prese in considerazione sono britanniche o americane”, ci spiega Sutton, “e stanno essenzialmente passando dai sottomarini diesel-elettrici (come usa l’Italia) a quelli a propulsione nucleare. Questi saranno molto più utili e porteranno la Marina australiana agli standard di equipaggiamento britannici e americani. Ma poiché è coinvolto il trasferimento di tecnologia nucleare, l’accordo doveva essere concluso a livello di governo”.

Una scelta che racchiude quindi una precisa scelta bellica: passare alla propulsione nucleare. Propulsione che non indica sottomarini lanciamissili balistici. Questo è un tema su cui lo stesso analista è tornato nel suo blog spiegando che molti stanno facendo confusione per quanto riguarda l’elemento più importante (a livello di informazione) del patto tra Londra, Washington e Canberra. Parlare di sottomarini nucleare può indurre a degli errori di percezione.

La strategia australiana

L’esperto (che collabora anche con diversi siti tra cui quello del Naval Institute americano) ci ricorda inoltre l’impiego di queste unità, che nel Pacifico così come in tutti i mari del mondo stanno assumendo un ruolo di primo piano. Alla domanda se pensava a un utilizzo anche per la raccolta di informazioni e di intelligence e per controllo dei cavi sottomarini, Sutton ci spiega che “i sottomarini australiani hanno una lunga tradizione di missioni segrete, inclusa la raccolta di informazioni. Tuttavia, specialmente in tempo di guerra, queste unità saranno lì per due scopi: affondare navi e sottomarini. In tempo di pace, invece – continua l’analista – fanno anche parte di un deterrente convenzionale, aiutando a bilanciare le forze convenzionali a livello regionale. Non credo che i sottomarini australiani verranno utilizzati per intercettazioni via cavo, ecc., o almeno questo non sembra essere il piano”.

Tutto questo con uno sguardo rivolto verso Pechino, che non a caso ha risposto in maniera molto dura all’annuncio di Aukus parlando di gesto “irresponsabile” da parte degli Stati firmatari. Per Sutton è chiaro che la “la necessità dell’Australia di sottomarini più potenti nasce per affrontare la minaccia emergente. La Marina cinese sta crescendo in dimensioni e capacità, trasformandosi completamente. E la volontà di Stati Uniti e Gran Bretagna di condividere queste tecnologie è in gran parte una reazione alla Cina“.

L’ombra cinese

Una crescita, quella cinese, che è da tempo considerata il principale problema degli Stati Uniti, tanto da mettere in atto quel rimodellamento delle forze dispiegate nel mondo e la richiesta ai partner europei per un maggiore coinvolgimento nell’area dell’Indo-Pacifico. Aukus in questo senso è un avvertimento che non può rimanere inascoltato, dal momento che gli Stati Uniti sono sempre molto chiari sia nelle richieste che nelle eventuali ripercussioni in caso di mancata attuazione di una richiesta.

La guerra sottomarina che si sta sviluppando nel Pacifico e che coinvolge tutte le forze regionali e non solo è un segnale evidente della scelta da parte di tutti di rafforzarsi, blindare le proprie posizioni ma anche di schierarsi in caso di richiesta. Un effetto domino in cui è difficile anche comprendere se il riamo di una nazione sia semplicemente causa o anche effetto di questa corsa che ormai coinvolge tutti.

“La guerra sottomarina è sempre più importante a livello globale”, spiega Sutton. “Gran Bretagna e America prenderanno probabilmente in considerazione in questa scelta anche la rinascita della Marina russa. Portare la Marina australiana al passo con i sottomarini a propulsione nucleare consentirà a più sottomarini (del blocco Usa ndr) di affrontare la Russia. Tuttavia, è la Cina il Paese in cui stanno avvenendo i maggiori cambiamenti. E gli Stati Uniti e i loro alleati devono prenderlo sul serio, anche in termini militari. Per molti anni la Marina cinese (Plan) è rimasta talmente indietro da non essere considerata una minaccia molto al di là delle sue acque. Ma tutto questo sta cambiando”.

Lo dimostrano le recenti informazioni sui programmi per le flotte sottomarine delle principali potenze dell’area. Oltre alla Cina e al programma per i sommergibili australiani, non va dimenticata infatti la crescita della Marina indiana, i nuovi progetti delle Marine delle due Coree, fino anche agli interessamenti dell’Iran e del Pakistan. Una corsa al riarmo che caratterizza quello che il vertice della Marina australiana ha definito un ambiente geopolitico “in rapido deterioramento”.