Tra l’affermare di volere arginare la Cina nel Pacifico e mettere in atto un piano realmente in grado di farlo, gli Stati Uniti devono fare i conti con un ostacolo non da poco: il costo delle loro azioni. Da declinare in termini militari, certo, per capire quanti e quali mezzi mobilitare e quali alleanze riabilitare, ma anche e soprattutto in senso economico.

Già, perché ingabbiare, o quanto meno mitigare Pechino nel proprio cortile di casa, o negli immediati paraggi, è un’attività complicata, impegnativa e lucrosa. Se ne è accorta in prima persona Washington, impegnata in questi giorni a rafforzare l’influenza statunitense nel Pacifico, per completare un patto di assistenza con le Isole Marshall, al fine di integrarlo con accordi simili raggiunti con Palau e gli Stati Federati di Micronesia.

L’amministrazione Biden puntava ad investire 7,1 miliardi di dollari in 20 anni per rinnovare i tre patti con i tre Stati insulari, incastonati in una distesa oceanica strategica tra le Hawaii e le Filippine e ospitanti strutture militari statunitensi fondamentali. La coperta si è tuttavia rivelata corta, cortissima. I repubblicani si sono messi di traverso ai sogni di Biden, sostenendo che, se l’amministrazione avesse voluto procedere sui suoi passi, avrebbe dovuto prima identificare tagli altrove per compensare i costi sui patti e mantenere bassa la spesa complessiva.



Fumata nera

Il risultato si è concretizzato lo scorso 30 settembre con una fumata nera. Mentre i legislatori erano impegnati a scongiurare uno shutdown del governo federale poche ore prima della scadenza di mezzanotte, il patto Compact of Free Association (Cofa) che aveva guidato i legami tra Washington e le Isole Marshall per decenni è scaduto.

Ricordiamo che l’accordo, raggiunto nel 1986, garantiva all’esercito americano l’accesso alla terra, all’aria e al mare delle Isole Marshall in cambio di aiuti finanziari e una base legale affinché i cittadini locali potessero vivere, lavorare e andare a scuola negli Stati Uniti. Con i crescenti timori per la campagna di influenza cinese nel Pacifico, l’accordo era considerato cruciale per gli sforzi di Washington di mantenere la propria presenza nella regione.

Come ha spiegato il South China Morning Post ad esser scaduta è tuttavia solo la componente dei servizi finanziari e federali, mentre gli affari relativi alla Difesa proseguirebbero. Il disegno di legge provvisorio sulla spesa federale approvato dalla Camera Usa consente quindi agli Usa di continuare a fornire i servizi federali in Micronesia e nelle Isole Marshall, ma non l’assistenza economica per le stesse Isole Marshall. Non una prospettiva rosea, considerando che i finanziamenti statunitensi rappresentano circa il 40% del bilancio nazionale del Paese, e che la Cina è abilissima ad occupare praterie incolte.

Pacifico di fuoco

Alla fine di settembre, Joe Biden ha ospitato 14 leader alla Casa Bianca per il secondo vertice Usa-Isole del Pacifico. Chiaro l’obiettivo del presidente statunitense: attirare quanti più Paesi possibili agli Stati Uniti, allontanandoli al contempo dall’abbraccio cinese. La posta in gioco era dunque alta, e Biden aveva annunciato quasi 200 milioni di dollari in nuovi aiuti economici e 40 milioni di dollari in programmi infrastrutturali.

Le reazioni non sono state propriamente positive. Il primo ministro delle Isole Salomone, Manasseh Sogavare, che ha saltato l’incontro di due giorni, ha fatto notare che ai leader del Pacifico erano stati concessi solo “tre minuti” per parlare e poi “ti fanno lezione su quanto sono bravi”. Il polemico Sogavare, il cui Paese ha siglato con la Cina un accordo quadro relativo alla cooperazione in materia di sicurezza, ha anche ricordato che l’anno scorso c’era stata una promessa economica simile da parte di Washington, di 800 milioni di dollari, ma che “fino ad oggi non è stato mantenuto nulla”.

Nel suo bilancio per il 2024, Biden aveva insomma promesso più di 7 miliardi di dollari in un periodo ventennale per estendere gli accordi con i Paesi del Pacifico. Di questo totale, 2,9 miliardi di dollari erano stati stanziati per le Isole Marshall. Sebbene gli Usa abbiano concordato con successo il rinnovo delle intese con la Micronesia e Palau, le Isole Marshall hanno risposto picche, chiedendo addirittura agli Usa scuse formali e un risarcimento “pieno” per i danni sanitari, ambientali e culturali causati dai 67 test nucleari effettuati dagli Stati Uniti tra il 1946 e il 1958.

“Se non riusciamo ad approvare il pacchetto in modo tempestivo, rischiamo (di minare ndr) gravemente la nostra credibilità nei confronti della regione e ovviamente nei confronti di ciò che stiamo dicendo sulla concorrenza con la Cina”, aveva affermato Joseph Yun, l’inviato statunitense incaricato di seguire i negoziati con le tre nazioni insulari del Pacifico. Sarà adesso interessante capire come si muoverà la Cina, che potrebbe anche intervenire per fornire assistenza economica e farsi nuovi amici nella regione.  

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