Tre ambizioni diverse, da parte di altrettante potenze regionali, potrebbero infiammare l’Asia da un momento all’altro.
L’India sta proseguendo nel suo percorso di crescita – politica, economica e pure militare – che passa inevitabilmente dal rafforzamento delle proprie forze armate, sia per rispondere all’ascesa cinese che per rafforzare la presenza nell’Oceano Indiano.
La Cina, che da secoli ha ormai smarrito lo spirito della navigazione, è intenzionata a modernizzare la flotta, così da incrementare la pressione sulle molteplici questioni marittime irrisolte – dal nodo Taiwan ai contenziosi con i “vicini di casa” nel Mar Cinese Meridionale – e controllare le principali rotte commerciali via mare.
La Russia, allo stesso tempo partner di Pechino ma anche storico interlocutore di Delhi, mantiene un piede nell’immensa regione asiatica, dove ha in sospeso almeno tre dossier rilevanti: gli accordi energetici con la Repubblica Popolare Cinese, fondamentali per alleggerire le sanzioni occidentali, le tensioni con il Giappone nell’Estremo Oriente e la competizione con gli “amici” cinesi in Asia centrale, un cortile ricco di risorse e materie prime.
Ebbene, le relazioni tra Cina, India e Russia possono essere rappresentate alla perfezione tracciando i lati di un triangolo. Mosca si colloca tra i fuochi: vende armi agli indiani, acerrimi nemici dei cinesi, ma dipende dalla prospettiva di commerciare con questi ultimi. Ogni volta che si alza la temperatura tra due dei tre attori citati, il fragile equilibrio artificiale tenuto in piedi dal triangolo rischia di saltare in aria. Portando con sé conseguenze difficilmente prevedibili.
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La lotta per l’Oceano Indiano
Nelle ultime settimane le tensioni tra India e Cina sono esplose lungo i confini himalayani. Lo scorso 9 dicembre, le rispettive truppe sono venute in contatto in corrispondenza dell’Arunachal Pradesh. Non si conoscono i dettagli di quella che il ministro della Difesa indiano, Rajnath Singh, ha definito una “colluttazione”. Sarebbero stati utilizzati bastoni, taser, forse anche armi da taglio.
In ogni caso, per capire che cosa sta succedendo lungo l’asse sino-indiano bisogna abbandonare i ghiacciai dell’Himalaya e spostarci tra l’Oceano Indiano e il Mar Cinese Meridionale. Proprio il 9 dicembre, R. Hari Kumar, l’ammiraglio capo della Marina indiana, ha dichiarato che l’India necessita di una terza portaerei, dopo la INS Vikramaditya acquistata dalla Russia, e la recente INS Vikrant (“coraggioso e vittorioso”), inaugurata a settembre nel Kerala e quasi interamente Made in India.
Già con due portaerei, Delhi sarà presto in grado di schierare i mezzi sui due lati dell’Oceano Indiano, assieme ai suoi 10 incrociatori, 20 corvette e 12 fregate. La Vikrant, in particolare, è stata pensata per accogliere circa 1.600 uomini e una trentina di aerei. Piccolo problema: la seconda portaerei è stata progettata per ospitare aerei di fabbricazione occidentale, di cui l’India attualmente non dispone (e che il Paese dovrebbe presto acquistare da Francia o Stati Uniti). Per il momento gli indiani si accontenteranno di far leva sui jet russi MIG-29K, già operativi sulla INS Vikramaditya.
L’India ha dunque intenzione di puntare sulle proprie capacità marittime alla luce della crescente presenza cinese nell’Oceano Indiano, dove Pechino ha costruito porti strategici in Pakistan e nello Sri Lanka nell’ambito del maxi progetto della Belt and Road Initiative (BRI). Il più grande avversario dell’India nella regione dell’Oceano Indiano, la Marina cinese, persegue inoltre l’obiettivo di avere una flotta di oltre 10 portaerei entro il 2050. La terza portaerei cinese, la Fujian, varata dal cantiere navale di Jiangnan, sta effettuando molteplici viaggi ed è programmata per entrare a far parte della Marina all’inizio del 2024.
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Rotte commerciali
La Cina possiede attualmente una sola base militare all’estero, a Gibuti, nel Corno d’Africa. Non stupisce, dunque, che Pechino abbia intenzione di creare rotte commerciali sicure capaci di collegare i propri porti – o i porti da lei controllati in ottica BRI – alla suddetta base di Gibuti. Per farlo, il Dragone deve fare breccia nelle difese marittime indiane presenti nell’Oceano Indiano.
La Repubblica Popolare Cinese sta quindi cercando di espandere la propria presenza nella regione dell’Oceano Indiano (IOR) attraverso l’attività economica e commerciale, potenziando il funzionamento di nuovi moli a Gibuti e incrementando la presenza dei suoi sottomarini e navi da ricognizione e idrografiche vicino alle coste indiane.
Come ha sottolineato The Diplomat, la presenza dell’esercito cinese nell’Oceano Indiano è in costante crescita dal 2009. Quando la pirateria e il dirottamento di navi a scopo di riscatto nel Golfo di Aden stavano danneggiando le rotte energetiche e commerciali globali, la Cina decise di unirsi allo sforzo internazionale per sorvegliare quelle acque regionali. Ancora oggi, una delle principali giustificazioni per la presenza di mezzi cinesi nell’area è quella di garantire la sicurezza degli impegni commerciali e del commercio marittimo. Risultato: dal 2013 i sottomarini cinesi hanno più volte attraversato l’Oceano Indiano affermando di essere schierati per compiti antipirateria.
Per raggiungere l’Oceano Indiano, i sottomarini cinesi sono soliti passare attraverso lo stretto di Malacca, di Lombok o della Sonda. Pechino sogna di smarcarsi proprio dallo stretto di Malacca, in modo tale da bypassare un collo di bottiglia che potrebbe teoricamente essere utilizzato contro i suoi interessi, in particolare per “strozzare” i commerci marittimi. Ecco perché il braccio di ferro a distanza tra India e Cina potrebbe diventare sempre più intenso.
Le armi della Russia
Il terzo incomodo nella disputa sino-indiana si chiama Russia. La maggior parte delle armi sulle quali può contare Delhi provengono da Mosca. Non solo: da Mosca potrebbero arrivare altre interessanti novità che l’esercito indiano potrebbe presto impiegare in chiave anti cinese. Sono infatti in corso, all’ombra del Cremlino, i lavori per aumentare la portata del missile da crociera supersonico terrestre e marittimo P-800 Onyx, che dovrebbe passare da 600 a 1.000 chilometri.
Si dà il caso che il missile indiano BrahMos sia basato proprio sull’Onyx. In particolare, l’Onyx è stato sviluppato da NPO Mashinostroyenie (NPOM), mentre il BrahMos in parallelo da BrahMos Aerospace, una joint venture tra Il Defence Research and Development Organisation (l’agenzia pubblica indiana responsabile dello sviluppo della tecnologia militare e degli armamenti) e da NPOM, un ufficio di progettazione di razzi con sede a Reutov, in Russia.
Come l’Onyx, il BrahMos ha varianti lanciate dal mare e da terra ma Brahmos aerospace ha sviluppato anche una terza variante. Il 20 gennaio 2022, una BrahMos con contenuto indigeno aumentato e prestazioni migliorate è stato testata con successo a Chandipur dall’Integrated Test Range, un laboratorio di difesa indiano dell’Organizzazione per la ricerca e lo sviluppo della difesa. La Cina è avvisata.