Senza l’aiuto degli alleati occidentali l’Ucraina non sarebbe mai riuscita a contenere l’offensiva russa. Il supporto che Stati Uniti ed Europa hanno fornito a Kiev si è concretizzato nella condivisione di informazioni di intelligence, addestramento del personale e, soprattutto, nell’invio di equipaggiamento militare di ogni tipo.

Considerando che la guerra va ormai avanti da oltre un anno, con combattimenti particolarmente intensi, inframezzati da blitz e attacchi missilistici improvvisi, Volodymyr Zelensky ha elencato una lunga lista di armi necessarie per difendersi dai raid russi. Numeri alla mano, gli Stati Uniti sono di gran lunga il fornitore ucraino di aiuti militari più generoso in circolazione, con 46,4 bilioni di dollari fin qui spesi per assistere Kiev. Seguono Regno Unito (7,2 bilioni), Germania (3,8), Polonia (2,6), Olanda (2,5), Canada (1,5), Norvegia (1,4), Svezia (1,2), Danimarca (0,9), Finlandia (0,8), Italia (0,7) e Francia (0,7).

Nella prima fase del conflitto, Washington ha spedito missili anticarro e antiaereo portatili (5.500 Javelin e 1.400 Stinger), entrambi impiegabili a fronte di un addestramento breve. A marzo è stata la volta dei droni kamikaze Switchblade, quindi degli antiaerei Sa-8 e degli S-300, dei carri armati T-72 e Pt-91, per poi arrivare agli elicotteri pesanti Mi-17 e ai cannoni M777 da 155 millimetri.

Adesso, in vista della controffensiva annunciata da Zelensky, gli Usa sarebbero pronti ad inoltrare sistemi missilistici a lungo raggio, per non parlare del via libero dato all’invio degli F-16 da parte dei partner europei. L’aspetto fin qui trascurato riguarda il grande business che ruota attorno alla vendita di tutti questi armamenti.

Gli affari d’oro dei produttori di armi Usa

Cbs News ha rivelato come i produttori di armi statunitensi starebbero attuando presunti trucchi per gonfiare i prezzi di vendita di veicoli e missili da inviare all’Ucraina, gravando così sulle casse del Pentagono con cifre sempre più ingenti. Detto altrimenti, i grandi produttori Usa avrebbero messo le mani su una sorta di monopolio della fornitura di armi e starebbero beneficiando di tale condizione da quando è scoppiata la guerra in Ucraina.

Date le cifre in ballo, il sito statunitense ha lasciato intendere, tra le righe, che molti produttori di armi americani auspicherebbero che il loro Paese prestasse assistenza militare (proprio come sta accadendo in Ucraina) in quanti più punti problematici del mondo possibile.

“È certamente più di quanto abbiamo dato a qualsiasi Paese prima, anche al culmine della guerra in Afghanistan. Gli aiuti che abbiamo inviato all’Ucraina per i loro militari sono superiori al nostro budget della Nasa per lo spazio”, ha affermato Hanna Homestead, analista politico presso il Center for International Policy. Alla fine dello scorso anno, Washington aveva speso circa 20 miliardi di dollari per armare l’Ucraina, e cioè quasi il doppio dell’importo che gli Stati Uniti hanno destinato, nel 2021, a 12 Paesi messi insieme, tra cui Afghanistan (4,1 miliardi di dollari), Israele (3,3 miliardi di dollari) ed Egitto (1,3 miliardi di dollari).

Alcune delle armi finite tra le mani dei soldati ucraini sono così sofisticate che le forze di Kiev, non ancora addestrate a dovere per usarle, sarebbero costrette ad usare Google Translate per comprendere i manuali delle istruzioni, scritti in lingua inglese.

Lockheed Martin, Raytheon, Boeing e Northrop Grumman, tutte società statunitensi, sono tra i principali appaltatori che producono alcune delle armi più richieste e costose inviate in Ucraina. Nelle settimane successive all’invasione russa dell’Ucraina, la capitalizzazione di mercato di Raytheon Technologies è schizzata a 155 miliardi di dollari dai 128 miliardi di dollari di inizio anno. Lockheed Martin ha iniziato il 2022 con un valore di 98 miliardi, ma alla fine dell’anno aveva raggiunto i 127 miliardi. Northrop Grumman ha iniziato l’anno a 61 miliardi per terminarlo a 84 miliardi. La guerra in Ucraina ha inoltre fatto salire le azioni dei suddetti produttori, con il prezzo delle azioni di Northrop aumentato del 40% e quello di Lockheed Martin del 37%.

Prezzi gonfiati e monopolio

William Hartung, ricercatore senior presso il Quincy Institute for Responsible Statecraft, ha spiegato che, a causa della necessità di procurarsi armi per l’esercito Usa e soddisfare le richieste di altri Stati chiave, come l’Ucraina, il Pentagono sta pagando enormi somme di denaro ai produttori di armi nazionali.

I contratti per gli appaltatori messi sul tavolo valgono miliardi e miliardi di dollari. Alcune fonti hanno fatto sapere che un missile stinger a spalla costava 25mila dollari nel 1991. Con Raytheon, che adesso è l’unico fornitore, lo stesso missile costa più di 400mila dollari. Anche tenendo conto dell’inflazione, e di alcuni miglioramenti, si tratterebbe pur sempre di un aumento di sette volte.

Un discorso simile può essere fatto per altre armi ed equipaggiamenti, come i pezzi di ricambio per aerei da combattimento. TransDigm, uno dei produttori attivi in quest’ultimo settore, sta facendo affari d’oro, visto che riceverà dal governo Usa 119 milioni di dollari per parti che dovrebbero costare 28 milioni di dollari.

Ma com’è possibile che gli Stati Uniti siano diventati vittime del monopolio di pochi, grandi produttori di armi? In passato le compagnie operative nel settore della Difesa non godevano affatto di tale monopolio. Tutto è cambiato all’inizio degli anni Novanta, precisamente nel 1993, quando il Pentagono, cercando di tagliare i costi, ha sollecitato le compagnie a fondersi. All’epoca si contavano una cinquantina di appaltatori, mentre adesso abbiamo cinque giganti: Lockheed Martin, Boeing, Raytheon, General Dynamics e Northrop Grumman. L’ultima grande fusione è avvenuta nel 2020 tra Raytheon e United Technologies.

Tornando al presente, gli Stati Uniti hanno recentemente approvato la vendita alla Polonia di 10 miliardi di dollari di munizioni e Himars. Ha inoltre già inviato 20 unità – costo stimato: almeno 5,1 milioni di dollari l’una – all’Ucraina. Lockheed Martin, la società che produce Himars, non vede l’ora di incassare la somma.

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