Se paragoniamo una fregata della Seconda guerra mondiale con una odierna, quest’ultima ci sembrerà molto più simile a un incrociatore leggero per quanto riguarda le dimensioni, e quindi il dislocamento. Il disegno delle navi da guerra di superficie è infatti cambiato radicalmente a partire dall’immediato secondo dopoguerra per supportare l’avvento di nuove tecnologie, come i missili e i radar.

Sostanzialmente, per “fare spazio” a missili e relativi sistemi di puntamento/scoperta, le dimensioni di una fregata o di un cacciatorpediniere del secondo conflitto mondiale non bastavano più. Questa tendenza è valida ancora oggi sebbene viviamo ormai stabilmente in un periodo storico in cui le innovazioni si sono dilatate nel tempo: le nuove fregate per la Us Navy della classe “Constellation” (progettate da Fincantieri), e i piani per il nuovo cacciatorpediniere (il Ddgx) sono lì a dimostrarlo.

Le caratteristiche

La nuova fregata è lunga circa 150 metri e avrà un dislocamento di 7.400 tonnellate. Rispetto alla classe precedente, quella delle “Oliver Hazard Perry”, le nuove navi sono più lunghe di circa 30 metri e dislocano circa tremila tonnellate in più.

La nuova classe di cacciatorpediniere per la marina statunitense è stata descritta come più grande del 39% rispetto agli “Arleigh Burke” flight III, pertanto si stima che il dislocamento sia di 13 mila tonnellate. La lunghezza non è stata ancora determinata, ma “voci di cantiere” riferiscono che la nave sarà più lunga dei “Burke” per ospitare nuovi sistemi.

Per fare un paragone, una fregata della Seconda guerra mondiale aveva un dislocamento che si aggirava intorno alle 1.400 tonnellate, mentre un cacciatorpediniere intorno alle 2.100 e un incrociatore della serie “Trattati” dislocava circa 10 mila tonnellate. Il nuovo Ddgx dovrebbe avere un dislocamento di circa 13 mila tonnellate, ovvero più di un incrociatore classe “Ticonderoga”, e sarà secondo – per tonnellaggio – solo ai 3 classe “Zumwalt”, da più di 15mila tonnellate.

La maggior parte del “peso” delle due nuove unità è nascosto alla vista, ovvero nell’opera viva della nave, ed è costituito da tubi del sistema di lancio verticale (Vls) per missili montati quasi a filo con il ponte principale e, con ogni probabilità, da generatori di potenza e raffreddamento per il possibile (e probabile) imbarco di sistemi a energia diretta.

Un tempo, i ponti erano occupati principalmente dalle artiglierie, ora relegate a compiti secondari (la difesa di punto o il bombardamento terrestre in caso di munizionamento a gittata migliorata come il tutto italiano “Vulcano”) e nelle viscere della nave, oltre ai sistemi di propulsione, c’erano i depositi di munizioni e cariche di lancio.

Oggi le artiglierie hanno lasciato principalmente il posto ai missili e ai ponti di volo: tutte le unità maggiori (dai pattugliatori in su) hanno a poppa uno spazio, più o meno grande, per far atterrare gli elicotteri con la possibilità anche di ospitarli stabilmente in hangar, sempre ricavati nella parte posteriore dell’unità navale: in totale, questo spazio, occupa circa un terzo della lunghezza di molte navi da guerra moderne.

Navi come il nuovo cacciatorpediniere statunitense oppure, per stare in Italia, le nostre fregate classe “Bergamini” (che sono state il progetto che ha dato vita alle “Constellation”), sono equipaggiate per la lotta antisom, quindi necessitano di avere un sonar a prua o trainato a profondità variabile che richiedono spazi diversi rispetto ad altre unità e più sistemi di supporto rispetto al passato.

Una fregata moderna (o un cacciatorpediniere) deve generare molta più elettricità rispetto a 30 anni fa, pertanto anche il disegno delle navi da guerra è cambiato perché, come accennato, più elettricità per più elettronica richiede anche più sistemi di raffreddamento. L’avvento dell’ipersonico, probabilmente, richiederà molto altro spazio a bordo a meno di non scegliere un sistema “tutto razzo” come il russo 3M22 “Zircon” invece di un vettore ad air breathing.

Un cacciatorpediniere moderno, poi, è chiamato a ricoprire ruoli diversi che spaziano dalla difesa di un gruppo navale (quindi da minacce aeree e di superficie) sino all’attacco terrestre (quindi necessita di poter lanciare missili da crociera). Anche questo significa dover avere maggior spazio a bordo per armi e i relativi sistemi elettronici di puntamento, tracciamento e acquisizione dei bersagli. Senza considerare che molte unità moderne prevedono ancora di imbarcare siluri, quindi serve sia lo spazio per alloggiarli, sia spazio per lanciarli.

Pertanto la crescita delle dimensioni di cacciatorpediniere e fregate si è verificata sin dall’avvento di questi tipi di navi e quasi sempre in risposta al cambiamento della missione, delle armi e dell’equipaggiamento necessari per supportare la tipologia di guerra sui mari, che è cambiata, e i compiti assegnati.

Una trattazione a parte meriterebbe la Voenno Morskoj-Flot (Vmf), la marina russa. Dalle parti di Mosca il “gigantismo” ha raggiunto parossismi nella costruzione degli incrociatori della classe “Kirov”, che hanno dimensioni comparabili con quelle delle corazzate giapponesi della classe Yamato risalenti alla Seconda guerra mondiale, ma con un dislocamento di circa 28 mila tonnellate a pieno carico. I “Kirov” – di cui ne sono rimasti due in servizio, uno si trova in cantiere – sono unità a propulsione nucleare che svolgono compiti antinave e di protezione della flotta a lungo raggio (grazie alla versione imbarcata del sistema missilistico antiaereo S-300), quindi necessitano di molta energia e di dimensioni adeguate. In linea generale, tutte le unità russe sono pesantemente armate, anche le più piccole, come vuole la loro dottrina navale che è imperniata più alla protezione dei bastioni marittimi che alla proiezione di forza in alto mare, pur restando una blue water navy: tale principio si ritrova nell’assenza, nella Vmf, di portaerei maggiori come quelle statunitensi (o francesi).

Cosa cambia per la Marina italiana

Oggi, in particolare, i cacciatorpediniere sono diventati l’unità da guerra di superficie standard tanto quanto lo erano la corazzata o l’incrociatore tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, e guardando in casa nostra questa evoluzione è tanto più evidente: i nuovi Ddx per la Marina Militare Italiana saranno unità molto più grandi rispetto ai “Luigi Durand de la Penne” e rispetto ai moderni classe “Doria”. Essi, infatti, si prevede che dislocheranno circa 11mila tonnellate contro, rispettivamente, le 5.400 e le 7 mila delle altre unità precedenti.

In una recente intervista, il capo di Stato maggiore della Marina Militare Italiana, l’ammiraglio Enrico Credendino, ha infatti reso noto che i nuovi Ddx saranno unità in grado di esprimere avanzate capacità di combattimento in un ambiente bellico multidominio specialmente nel settore della difesa antiaerea integrata e antimissile, inclusa quella balistica. Senza considerare che si parla, con sempre più insistenza, della possibilità per la Mm di avere vettori da crociera, che quindi sarebbero quasi sicuramente imbarcati sulle nuove unità e che potrebbero essere utilizzati, tramite retrofit, anche da quelle (di superficie o sottomarini) attualmente in servizio.

Risulta quindi chiaro che, in fase progettuale, la cantieristica italiana abbia seguito la stessa tendenza verso l’ingrandimento delle unità per non imporre una scelta dei sistemi d’arma imbarcati e quindi dare il più ampio spettro di capacità di combattimento. La vera questione non è quindi la crescita dimensionale, ma piuttosto la tipologia di missione. Più missioni da dover eseguire e maggiore efficienza di combattimento significheranno nuovo equipaggiamento e in molti casi verrà richiesto più spazio a bordo, il che significa navi più grandi.

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