C’è una sottile linea rossa che collega la Cina, potenza in (declinante) ascesa pronta a regolare i conti con gli Stati Uniti, la Corea del Nord, diffidente alleato di Pechino armato fino ai denti, e Taiwan, epicentro di un probabile conflitto militare tra Pechino e Washington.
All’apparenza sembra che le tre questioni elencate, ovvero il braccio di ferro sino-americano, l’ebollizione della penisola coreana e il dossier taiwanese, siano tra loro distanti e distinte. In realtà, sono più vicine di quanto non si potrebbe immaginare. Al punto da aver spinto alcuni analisti a parlare di “problema dei tre corpi”, con il termine usato per descrivere questo fenomeno geopolitico preso in prestito dal titolo di un noto romanzo cinese di fantascienza, Il problema dei tre corpi di Liu Cixin.
A causa dei rapporti che intercorrono tra i governi di Cina, Taiwan e Corea del Nord, non è da escludere che una fantomatica guerra nello Stretto di Taiwan possa provocare uno scontro militare nella penisola coreana. Eventualità, come ha sottolineato anche Asia Times, da prendere quanto meno in esame.
In caso di Worst Case Scenario, potremmo trovarci di fronte a qualcosa del genere: se gli Stati Uniti dovessero intervenire per difendere Taiwan da un’invasione cinese, Pyongyang, forse addirittura su richiesta di Pechino, potrebbe approfittare del momento convulso – e del fatto che Washington sarebbe concentrata sul sostenere Taipei – per lanciare un attacco contro la Corea del Sud. Scenario utopico/fantascientifico oppure plausibile? Diverse voci, dal presidente sudcoreano Yoon Suk Yeol a svariati analisti governativi di Seoul, hanno espresso preoccupazione per un opportunistic North Korean attack, un attacco opportunistico della Corea del Nord, organizzato da Kim Jong Un in un momento particolare.
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Il rebus di Seoul
Per capire come potrebbe verificarsi l’effetto domino da Taipei a Pyongyang bisogna prima partire da una condizione base: la guerra a Taiwan. Tenendo conto di un contesto simile, un conflitto nei pressi dell’isola sarebbe ovviamente una calamità per il mondo, ma tanto più per l’intera regione asiatica.
I soli effetti economici basterebbero a spingere nel baratro numerosi Paesi asiatici, gli stessi che fanno affidamento sul commercio transitante nel Mar Cinese Meridionale e Orientale (che in caso di guerra diventerebbero pressoché off limits).
In particolare, la Corea del Sud avrebbe molto più da perdere di tante altre nazioni, visto che si ritroverebbe schiacciata tra l’Aquila e il Dragone, e cioè tra gli Stati Uniti, suo alleato e mentore, e la Cina principale partner commerciale al netto delle distanze ideologiche e politiche.
È lecito supporre che l’esercito statunitense possa usare i suoi aerei d’attacco presenti nelle base dislocate tra Corea del Sud e Giappone, portando Pechino a prendere in seria considerazione l’idea di concentrare attacchi missilistici nel territori sudcoreani e giapponesi. Seoul, più che Tokyo, sarà quindi chiamata ad evitare una guerra aperta con la Cina ma, al tempo stesso, non perdere l’ombrello militare degli Usa. Già, perché oltre il 38esimo parallelo c’è un Kim guardingo che monitora ogni mossa del vicino.
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Da Taipei a Pyongyang: il rischio dell’effetto domino
Una Corea del Sud coinvolta, seppur indirettamente, nel conflitto taiwanese, e per di più possibile bersaglio di raid missilistici cinesi, spalancherebbe alla Corea del Nord la possibilità di lanciare un’offensiva contro Seoul. Non solo: la Cina e Kim potrebbero anche pensare di coordinare attacchi simultanei, visto che i due Paesi sono tecnicamente alleati.
Nel corso degli anni, il governo cinese ha più volte cercato, invano, di convincere i sudcoreani ad impedire agli Stati Uniti di utilizzare la Corea del Sud come base o area di sosta per operazioni militari nello Stretto di Taiwan. Dalla prospettiva di Pyongyang, la questione taiwanese è così strettamente collegata a quella coreana. Le autorità del Nord ritengono infatti che i militari statunitensi presenti in Asia servano a Washington per contenere la Cina facendo leva su Taiwan, ma che gli Usa possano usarli in qualsiasi momento per “attaccare la Corea del Nord”.
In ogni caso, non è matematicamente sicuro che nordcoreani e cinesi sferrino un attacco combinato perché, prima che ciò possa accadere, le agende dei due Paesi devono coincidere. È infatti possibile che un conflitto nello Stretto di Taiwan possa verificarsi in un momento non favorevole per Kim, che farebbe comunque di tutto per non essere “sfruttato” dagli interessi del Dragone senza ricavarne alcun vantaggio.
Se però dovesse davvero verificarsi un attacco combinato sino-nordcoreano contro la Corea del Sud, fino a che punto si spingerebbe Pyongyang? C’è chi parla di una risposta del Nord limitata ad una scaramuccia navale vicino al confine marittimo tra le due Coree e chi di un raid missilistico rivolto verso un’isola controllata da Seoul o una zona scarsamente popolata del Paese. Eventi tragici, certo, ma non tali da causare danni significativi alla sicurezza nazionale del Sud.
Sul tavolo c’è sempre l’opzione di un attacco nordcoreano su larga, magari anche nucleare, scala ma questo causerebbe gravi ritorsioni militari al governo di Kim. Già, perché a quel punto, l’intera Corea verrebbe trascinata in una guerra totale, con l’intervento massiccio degli Stati Uniti e la probabile sconfitta di Pyongyang. Del resto la Nuclear Posture Review Usa del 2022 è chiarissima: “Non esiste uno scenario in cui il regime di Kim potrebbe impiegare armi nucleari e sopravvivere”.