La guerra in Ucraina è il grande evento che ha revitalizzato la Nato dopo anni di lassismo generale. I Paesi membri dell’Alleanza Atlantica – definita “in stato di morte cerebrale” da Emmanuel Macron nel novembre 2019 – si sono infatti compattati contro la Russia, garantendo tutto il sostegno possibile a Kiev.
Il tema più scottante della loro agenda rimane ancora oggi il conflitto ucraino, anche se inizia a ritagliarsi sempre maggiore spazio il dossier cinese. Ebbene, quando il 29 e 30 novembre scorsi i ministri degli Esteri dei Paesi Nato si sono riuniti a Bucarest, in Romania, per un vertice di due giorni, al centro dei colloqui, grazie soprattutto alle sollecitazioni dell’amministrazione Biden, era presente anche la Cina.
Gli Stati Uniti stanno cercando di serrare i ranghi all’interno dell’alleanza nel tentativo di mettere in guardia ciascun partecipante di fronte alle molteplici sfide lanciate da Pechino. Washington ha fin qui avuto successo, almeno in parte, nell’aver convinto i membri della Nato ad avviare una graduale riduzione della loro dipendenza economica dalla Repubblica Popolare Cinese e nel coordinare le restrizioni alle esportazioni di tecnologie sensibili verso Pechino.
La Cina nel mirino
Avviare una crociata politico-ideologica contro la Cina, e trasformarsi di fatto in un attore desideroso di garantire la sicurezza anche in Asia, potrebbe però rivelarsi un errore fatale per la Nato.
Come ha sottolineato Asia Times, il Dragone non dovrebbe essere la priorità assoluta per l’Alleanza Atlantica, tanto più in un momento così delicato per il futuro dell’Europa. Certo, gli Stati membri della Nato sono senza dubbio preoccupati dall’ascesa cinese, dalla crescenti capacità economiche, militari e diplomatiche del gigante asiatico, e pure dalla politica estera di Xi Jinping, fresco di un inedito terzo mandato alla guida del Partito Comunista Cinese.
Allo stesso tempo, la quasi totalità di questi Paesi coinvolti sa bene che destinare una quota sempre più grande della pianificazione e delle capacità della Nato verso la questione cinese è un’impresa costosa e pericolosa per le possibili conseguenze. Detto altrimenti, stiamo parlando di un rischio che possono permettersi di correre gli Stati Uniti ma non gli altri partecipanti.
Eppure, una parziale trasformazione del dna della Nato risulta già piuttosto evidente. Nel 2019, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, definiva l’ascesa della Cina un’opportunità, oltre che una sfida. Tre anni più tardi, il Concetto strategico dell’alleanza destinava un paragrafo alle politiche coercitive di Pechino e alla sua partnership con la Russia.
Rischi e conseguenze
Attenzione però, perché nonostante agli occhi della Nato la Cina di Xi rappresenti un soggetto ambizioso, l’Alleanza Atlantica non sembrerebbe essere il formato ideale per affrontare il Dragone. In ogni caso, si moltiplicano le indiscrezioni a sostegno di un mega ampliamento della Nato con vista sull’Asia.
La Corea del Sud, ad esempio, ha fatto un passo di avvicinamento alle attività promosse e coordinate dall’Alleanza Atlantica. L’intelligence sudcoreana si è unita a un gruppo di difesa informatica, quale primo Paese asiatico tra i 32 che vi fanno parte, gettando le basi per una reazione dei Paesi vicini, tra Cina e Corea del Nord. In particolare, il National Intelligence Service (Nis) ha reso noto l’ammissione formale al Centro di eccellenza per la difesa informatica cooperativa del Patto Atlantico (Ccdcoe), che ha sede a Tallinn (Estonia), dove rappresenterà la Corea del Sud nelle attività di formazione e ricerca.
Anche Giappone, India e Australia risulterebbero pilastri chiave per questo ipotetico progetto di ampliamento verso l’oriente. Permangono tuttavia dubbi e incertezze. E non solo perché, da Seoul a Nuova Delhi, i partner occidentali in Asia sono chiamati ad esercitare un ferreo pragmatismo che impedisce loro di chiudere le porte in faccia a Pechino. Ma anche per i limiti dell’embrionale strategia asiatica della Nato.
Innanzitutto, una Nato “Cina-centrica” comporterebbe un’enorme espansione geografica del mandato dell’alleanza, al punto da rendere quasi irriconoscibile la sua stessa ragion d’essere. Ricordiamo infatti che l’Alleanza Atlantica è un’organizzazione nata per garantire la difesa collettiva dei suoi Stati membri europei, prima contro la minaccia di un attacco sovietico durante la Guerra Fredda, poi (oggi) evidentemente contro la Russia di Vladimir Putin.
Nel preambolo del Trattato del Nord Atlantico si legge che l’alleanza è un mezzo per “promuovere la stabilità e il benessere nell’area del Nord Atlantico”. Peccato che la Repubblica Popolare Cinese disti all’incirca 2.500 miglia dal fronte orientale dell’alleanza, mentre la minaccia militare dell’Esercito Popolare di Liberazione cinese all’integrità territoriale dei Paesi membri della Nato è limitatissima, se non inesistente. Giustificare un simile cambio di paradigma risulterebbe quindi complesso in partenza.
La seconda ragione per cui la Nato non dovrebbe inserire la Cina in cima alla sua agenda è prettamente strategica. O meglio: l’Alleanza Atlantica dovrebbe evitare di concentrare la propria attenzione in Oriente quando nel cuore dell’Europa c’è un conflitto in corso. Senza colloqui di pace tra Kiev e Mosca, i combattimenti proseguiranno chissà ancora per quanto, con il rischio di assistere ad improvvise escalation e minacce nucleari.
Terzo aspetto da considerare: la Nato deve già fare i conti con vari problemi, in primis contributi militari sproporzionati (quest’anno circa il 70% delle spese per la difesa provengono dagli Stati Uniti) e obblighi di spesa per la difesa non soddisfatti da parte di alcuni membri. Pensare di affrontare la Cina in queste condizioni dovrebbe quindi essere fuori discussione.
Last but not least, fare della Cina la componente centrale di ogni dottrina strategica occidentale potrebbe generare almeno un effetto boomerang indesiderato. Pechino non starebbe ferma nel caso in cui la Nato dovesse procedere su questa linea. Al contrario, Xi Jinping probabilmente rafforzerebbe ulteriormente il partenariato strategico con la Russia (e altri soggetti) per bilanciare ogni eventuale spostamento dell’Alleanza Atlantica verso l’Asia. A quel punto i cinesi non avrebbero problemi nel sostenere Mosca anche dal punto di vista militare, a differenza di quanto fatto fino ad ora.