Il campo di battaglia è il Mar Cinese Meridionale. I principali attori protagonisti sono Cina e Stati Uniti, anche se la vicenda coinvolge, più o meno direttamente, tutti gli altri Paesi della regione con i quali, tra l’altro, Pechino ha in ballo molteplici dispute marittime ancora da risolvere. La posta in palio è alta, e coincide invece con il controllo di un’area geopoliticamente rilevante tanto per il gigante asiatico quanto per Washington. Se, infatti, la Repubblica Popolare Cinese (RPC) ambisce ad espandere la propria influenza nel suo cosiddetto “cortile di casa”, dall’altro lato gli Usa non intendono perdere il controllo strategico in una porzione di mondo di fondamentale importanza per contenere l’ascesa cinese.

Potersi permettere maggiore libertà di azione nel Mar Cinese Meridionale consentirebbe alla Cina non solo di allontanare l’ombra dei rivali statunitensi, ma anche di rompere la prima catena di isole, per poi pianificare una lenta e graduale penetrazione verso il Pacifico. Ricordiamo che la prima catena di isole inizia alle isole Curili e termina tra il Borneo e la parte settentrionale delle Filippine. Si tratta, come si può intuire dal nome, della prima catena a circondare la Cina e, durante la Guerra Fredda, i Paesi socialisti alleati dell’allora Unione Sovietica. Oggi le tre catene di isole immaginate nel 1951 dall’ex segretario di Stato Usa, nonché analista, John Foster Dulles, rappresentano tre barriere che soffocano i sogni di gloria della Cina, schiacciandola lungo le proprie coste.

Il punto è che la Cina attuale è ben diversa da quella degli anni ’50. Con la salita al potere di Xi Jinping, nel 2012, la nazione si è inoltre resa protagonista di una modernizzazione tecnologica e militare senza precedenti dalla fondazione della RPC, avvenuta nel 1949. “Costruire una potente marina non è mai stato un compito così urgente come lo è oggi”, dichiarava nel 2018 il presidente cinese. E così, mentre la flotta degli Stati Uniti continua a sfoltirsi, la Cina pianifica una road map inversa. Al momento, Washington controlla 297 navi ma conta di scendere a 280 entro il 2027, mentre i cinesi ne contano 355 e punterebbero ad arrivare a quota 460 entro il 2030.

Come se non bastasse, Pechino considera i suoi sottomarini come una efficace, quanto irrinunciabile, piattaforma asimmetrica da utilizzare per fronteggiare la superiore potenza navale statunitense. Di recente è stato diffuso un video dove si vedono in azione sia il sottomarino missilistico balistico a propulsione nucleare Type 094A (SSBN) che il sottomarino da attacco nucleare Type 093 (SSN). Non è dunque da escludere che, in caso di emergenza, la RPC possa addirittura impiegare i suoi sottomarini in versione “lupi solitari” per inseguire e affondare le portaerei Usa, massimizzandone le caratteristiche furtive.

Usa sotto tiro?

Lo scorso 18 novembre, l’ammiraglio Samuel Paparo, comandante della flotta statunitense del Pacifico, ha affermato che la Cina avrebbe schierato il suo JL-3 SLBM (missile balistico lanciato da sottomarini) sui suoi sei SSBN Type 094, (ossia sottomarini in grado di lanciare missili balistici) dando a questi ultimi la capacità di colpire il territorio degli Stati Uniti sparando dalle acque più vicine alla costa americana. Detto altrimenti, e come ha sottolineato Asia Times, Pechino sarebbe ad un passo dal trasformare il Mar Cinese Meridionale in una sorta di “santuario” per i suoi sottomarini con missili balistici nucleari.

A quel punto Washington entrerebbe nel raggio d’azione di un ipotetico missile balistico lanciato da un sottomarino JL-3. Papiro ha terminato la spiegazione aggiungendo che la Cina avrebbe costruito gli SSBN citati appositamente per minacciare gli Stati Uniti, e che per questo la Marina Usa li starebbe tenendo sotto stretto controllo.

Già un anno fa il Pentagono sosteneva che l’Esercito Popolare di Liberazione cinese, attraverso la sua Marina, avrebbe presto potuto prendere di mira gli Stati Uniti dalle acque costiere cinesi. Adesso quella previsione sembrerebbe ormai essersi avverata. Un rapporto del Servizio di Ricerca del Congresso degli Stati Uniti (CRS) sostiene che il JL-3 possiede una portata stimata di oltre 10mila chilometri, contro i 7.200 del JL-2. Questo consentirebbe alla Cina di prendere di mira gli Stati Uniti “da un bastione protetto nel Mar Cinese Meridionale”. Se così fosse, allora, grazie al JL-3 gli SSBN Type 094 potrebbero tecnicamente essere in grado di attaccare l’Alaska dal Mare di Bohai. Gli stessi sottomarini muniti del JL-2, al contrario, dovrebbero trovarsi nelle acque ad est delle Hawaii a causa dei limiti di portata sopra citati.

Dal canto suo, Pechino sostiene che gli Usa continuano a parlare di “minaccia cinese” come pretesto per consolidare una maggiore presenza nell’Asia-Pacifico e consentire alle forze statunitensi di ottenere nuovi finanziamenti. A sua difesa, inoltre, la Cina ha fatto notare che la messa in servizio del JL-3 deve ancora essere annunciata e che, sebbene sia stato effettuato un lancio di prova nel giugno 2019, quel test non era mirato a nessun obiettivo o Paese.

L’importanza del Mar Cinese Meridionale nella dottrina nucleare cinese

La Cina ha spiegato di mantenere una strategia militare di “difesa attiva”e che, sebbene non abbia intenzione di espandere in maniera significativo il proprio arsenale nucleare, continuerà a modernizzarlo in un contesto di sicurezza strategica in continua evoluzione. Per quanto riguarda la dottrina nucleare cinese, questa si basa su una solida flotta di SSBN. Già nel 2016 il Carnegie Endowment for Regional Peace ne elencava le caratteristiche, tutt’ora valide: una politica di non primo utilizzo, una deterrenza nucleare minima, una coercizione contro il nucleare e una deterrenza nucleare limitata.

Da questo punto di vista, gli SSBN sono essenziali per tenere viva la capacità nucleare di secondo attacco, mentre i continui aggiornamenti della flotta consentono al Dragone di incutere per lo meno apprensione agli avversari. Insomma, la forza nucleare cinese sarebbe stata ottimizzata per superare un ipotetico primo attacco nemico e vendicarsi, in un secondo momento, contro obiettivi strategici rivali, e non – come viene spesso erroneamente frainteso – per minacciare il primo utilizzo di armi nucleari.

Il Center for Stretegic and International Studies ha invece fatto notare, nel 2015, che gli Stati Uniti e i loro partner potrebbero sfruttare vari punti di strozzatura, tra i quali lo stretto di Miyako, il canale di Bashi e il mare di Sulu, per tracciare gli SSBN cinesi nel loro eventuale cammino verso l’Oceano Pacifico. Ebbene, questa vulnerabilità cozza contro il principio base di un SSBN, ovvero nascondersi nella vastità dell’oceano per rendere impossibile la rilevazione o previsione della posizione.

In ogni caso, visto che la Cina si affiderà al JL-3, appare quanto mai evidente l’importanza che Pechino ha assegnato al Mar Cinese Meridionale. Questa regione marittima, infatti, si candida a diventare una perfetta piattaforma di lancio di eventuali missili nucleari diretti contro il territorio statunitense. Ricordiamo che nell’area la Cina può già contare su aerei da guerra e missili terrestri, forze navali e isole fortificate. La configurazione semichiusa del Mar Cinese Meridionale e la vicinanza alle coste cinesi, inoltre, rendono l’area ideale per attuare la strategia della RPC, con la grande base sottomarina cinese di Hainan nuovo punto strategico da tenere d’occhio.

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