Il Giappone è uscito dalla Seconda Guerra Mondiale con le ossa rotte. I sogni di gloria imperiali si sono definitivamente sciolti sotto il calore delle due bombe atomiche sganciate dagli Stati Uniti su Hirosima e Nagasaki nell’agosto del 1945. Da quel momento in poi, il sistema politico, economico e pure culturale del Paese sarebbe cambiato per sempre. L’estremismo di destra, l’ultranazionalismo e i retaggi più radicali, in parte ripresi da fascismo e nazionalsocialismo, furono ingabbiati per sempre da un’inedita costituzione, una delle più pacifiste al mondo, veicolata dalle autorità statunitensi.
Tra le varie novità, fu sancita la separazione tra lo Stato e ogni religione per smantellare lo shintoismo, pilastro dell’ideologia imperiale, mentre l’imperatore fu spogliato della propria sovranità. Il famigerato articolo 9, poi, decretava per il Giappone “la rinuncia per sempre alla guerra” nonché “alla minaccia o all’uso della forza come mezzo per regolare i conflitti internazionali”. Di conseguenza non sarebbero più state mantenute “forze terrestri, navali e aeree”.
Dal punto di vista economico, l’Autorità di occupazione americana capitanata in loco dal generale MacArthur, inaugurò le più ambiziose azioni antitrust della storia, approvando, nel 1947, una legge sulla deconcentrazione industriale. In altre parole, gli Stati Uniti silenziarono l’apparato bellico del Giappone e ridimensionarono il potere degli zaibatsu, ovvero i grandi conglomerati economici, creando così le fondamenta per la nascita di una classe media e un capitalismo competitivo giapponesi. Ma come avrebbe fatto, d’ora in avanti, il Giappone a difendersi dalle minacce esterne?
L’ombrello militare statunitense
È in un contesto del genere che prese forma la cosiddetta Dottrina Yoshida, una strategia adottata dal Giappone sotto il primo ministro Shigeru Yoshida, che ricoprì l’incarico dal 1948 al 1954. Questa dottrina, emersa nel 1951 e valida ancora oggi, ha plasmato la politica estera giapponese in tutto il XXI secolo. In che cosa consiste? Archiviati gli orrori della guerra e la sconfitta militare, Yoshida ritenne che l’unica priorità del governo dovesse coincidere con la ripresa economica del Giappone.
Tokyo iniziò così a concentrarsi sulla ricostruzione dell’economia interna, falcidiata da un disastro senza precedenti. Per riuscire nell’intento, l’allora premier ribadì e stabilì una ferrea alleanza tra il Giappone e gli Stati Uniti contro il comunismo e ogni minaccia esterna. Dopo di che – ed è questo l’aspetto che più ci interessa – per progredire il Giappone si affidò solo ed esclusivamente alla sua diplomazia economica, relegando gli affari militari e la Difesa all’alleato statunitense. In altre parole, Yoshida si impegnò nella rinascita nazionale facendo leva sull’economia, consapevole che gli Stati Uniti avrebbero difeso il Giappone in caso di guerre o minacce.
Il crollo di un mito?
Insomma, l’obiettivo del primo ministro Yoshida risultava abbastanza evidente: concentrare tutti i mezzi possibili e disponibili su una ripresa economica nazionale. Del resto, data la mancanza di potere militare, la politica estera giapponese poteva fare ben poco, se non porre l’accento sull’economia. Yoshida scommise su una rapida ripresa economica attraverso la quale il Giappone sarebbe stato in grado di diventare ancora una volta una delle principali potenze mondiali, come in effetti avvenne tra gli anni ’70 e ’80, prima della crisi che mise nuovamente ko l’intero Paese.
Attenzione però, perché ai tempi di Yoshida la situazione geopolitica mondiale era ben diversa rispetto ad oggi. Giusto per fare due esempi, la Corea del Nord non era ancora in grado di minacciare la sicurezza giapponese mentre la Cina era ancora lontana dall’essere il gigante odierno. A partire dagli ’90, o meglio ancora dal Duemila in poi, al Giappone la Dottrina Yoshida iniziò a risultare troppo stretta.
Non è un caso che Abe Shinzo, il premier più longevo del Paese, tentò in tutti i modi di modificare l’articolo 9 della costituzione, in modo tale da restituire al suo Paese un esercito con il quale difendersi in maniera autonoma da eventuali minacce. Anche perché, nel frattempo, nel 2017 Donald Trump diventava presidente degli Stati Uniti. Ricordiamo che, durante la sua presidenza, il tycoon ha più volte messo in dubbio l’utilità di spendere denaro per difendere alleati lontani, come Corea del Sud e Giappone. E così, anche per via della progressiva instabilità statunitense, a Tokyo la discussione su come creare un proprio ombrello militare riprese forza con ancora più vigore. La morte di Abe, le preoccupazioni interne, il vuoto lasciato dall’ex premier e il modus operandi Usa in Ucraina e in Afghanistan, oltre alle crescenti ambizioni cinesi, potrebbero spingere il Giappone a rimettere in discussione, per l’ennesima volta, la Dottrina Yoshida.