“Nelle mani degli eroi ucraini stanno facendo la differenza. È un qualcosa di cui possiamo essere orgogliosi. Molti genitori stanno chiamando i loro neonati Javelin o Javelina per il successo di queste armi”. Qualche giorno fa Joe Biden ha visitato la fabbrica della Lockheed Martin a Troy, in Alabama, la stessa che ha prodotto oltre 5mila sistemi anti-missile Javelin inviati all’Ucraina. “Il nostro Paese sarà quello che il popolo ha proclamato che debba essere, un arsenale della democrazia”, ha quindi aggiunto un raggiante Biden.

Il fatto è che nessuno si aspettava un flusso così crescente e ininterrotto di armi e munizioni diretto verso Kiev. Basti pensare che la produzione delle industrie nazionali rischia di non riuscire a stare al passo con le consegne. E che, dallo scorso 24 febbraio ad oggi, pure gli stock di armamenti nazionali degli Stati Uniti sono diminuiti a vista d’occhio, come conseguenza delle migliaia e migliaia di munizioni e strumenti militari di ogni tipo recapitati al governo ucraino, impegnato nel conflitto contro l’esercito russo.

Gli ultimi due pacchetti di aiuti militari annunciati da Biden (valore 150 milioni di dollari) e dal Pentagono (137 milioni) hanno aggiunto ulteriore carne al fuoco. Calcolatrice alla mano, la spesa bellica di Washington per sostenere il governo guidato da Volodymyr Zelensky ha già raggiunto quasi i 4 miliardi di dollari.



Le forniture Usa

In un primo momento le armi consegnate all’Ucraina dagli Stati Uniti erano destinate ad una chiara funzione difensiva, come i missili anti tank Javelin e gli anti aerei Stinger. Ben presto la guerra ha assunto ben altre tonalità, e le spedizioni si sono adattate ad una funzione offensiva.

Kiev ha ricevuto di tutto e di più. Ecco un brevissimo elenco: artiglieria pesante come gli obici Howitzer da 155 mm, sistemi di difesa anti aerea, missili a guida laser, blindati Humvees, droni di vario genere – da quelli da ricognizione tipo Puma a quelli kamikaze come gli Switchblade e i Phoenix Ghost (creati su misura dall’aviazione Usa per le esigenze delle forze armate ucraine).

Nelle forniture americane figurano anche mitragliatori non convenzionali (cioè non usati regolarmente dall’esercito statunitense), visori notturni, sistemi per le immagini termiche, sistemi di comunicazione tattica criptati, materiale medico e, importantissimi, servizi di immagini satellitari per individuare i movimenti del nemico. E poi munizioni, rifornimenti, giubbini antiproiettile, visori, radar e tanto altro ancora.

Problemi di approvvigionamento

Una così elevata esportazione di armi ha fatto emergere importanti problemi di approvvigionamento e produzione di strumenti bellici. Detto altrimenti, di questo passo le aziende statunitensi del settore rischiano di trovarsi a secco di armamenti. E non solo per la quantità di elementi consegnati a Kiev, ma anche per la penuria di materiali specifici necessari alla realizzazione degli equipaggiamenti richiesti dall’Ucraina.

Come ridimensionare la produzione per riempire le scorte, sempre più ridotte all’osso per via di una domanda che non accenna a calmarsi? È una domanda che si sono fatti tutti i produttori Usa, compreso Kathy Warden, amministratore delegato di Northrop Grumman. Warden, citato dal Financial Times, ha spiegato che il gruppo aerospaziale da lui guidato si aspetta una maggiore domanda per i suoi sistemi d’arma ma, al tempo stesso, i problemi della catena di approvvigionamento potrebbero ostacolare gli sforzi dello stesso gruppo volti ad espandere la produzione.

Come se non bastasse, i maggiori appaltatori della Difesa Usa devono fare i conti con la carenza di manodopera. L’amministratore delegato della multinazionale Usa Raytheon, Greg Hayes, ha detto agli analisti che trovare nuove fonti di titanio non russe si è rivelato a dir poco complicato, e che lo Stinger avrà bisogno di una riprogettazione elettronica perché “alcuni dei componenti non sono più disponibili in commercio”.



Stinger e Javelin: due casi emblematici

Le stime sono alquanto emblematiche, ma pare che un quarto delle scorte di Stinger degli Stati Uniti dovrebbe essere già finito in Ucraina. Il punto è che, fino a questo momento, lo Stinger veniva prodotto a livelli pressoché irrisori e trascurabili.

Esiste un solo cliente internazionale attivo – al momento è l’Ucraina – e Washington non ne acquista uno da ben 18 anni. Fino al 2023 o al 2024 non dovrebbero essere previsti ordini di grandi dimensioni, proprio perché lo stock di materiale per la loro produzione risulta essere limitato.

Un discorso analogo può essere fatto per i Javelin. La capacità di produzione per questi missili è di circa 2.100 unità all’anno. Lockheed e Raytheon, che li coproducono, puntano a far salire il tetto fino a 4.000 missili all’anno. Solo che per una svolta del genere potrebbero servire due anni.

Nodi da sciogliere

La guerra in Ucraina ha sostanzialmente esposto la catena di approvvigionamento della Difesa Usa ad una serie di vulnerabilità abbastanza preoccupanti. La fornitura statunitense di armi e munizioni a Kiev non potrà continuare a seguire questo passo, a meno che Washington non risolva prima alcuni nodi strategici e industriali per la cui risoluzione serviranno però anni e non settimane.

Intanto le industrie americane impegnate nel settore militare (e annesse) devono fare i conti con la citata carenza di manodopera e forza lavoro, poi con quella di materiali e componenti chiave. Ci sono poi da considerare nodi spinosi a livello più generale, tra cui una base di fornitori di armi troppo limitata, la necessità di velocizzare i tempi con cui l’industria Usa può produrre equipaggiamenti e sistemi militari e la non certo rilevante dipendenza da imprese parzialmente di proprietà straniera (soprattutto con capitale cinese).

“Siamo in un punto in cui siamo tutti d’accordo sul fatto che le vulnerabilità siano troppo significative”, ha affermato Elisabeth Reynolds, assistente speciale del presidente per la produzione e lo sviluppo economico presso il National Economic Council, durante un webinar sulla “Spesa per la difesa negli Stati Uniti”. organizzato dal think tank statunitense Brookings Institution e citato dal sito Shephardmedia.

Corsa contro il tempo

In questo particolare periodo storico, per gli Stati Uniti produrre alcuni tipi di munizioni e armamenti è diventata una vera e propria sfida. O meglio: una corsa contro il tempo, visto che l’obiettivo di Washington è rifornire Kiev di tutto il necessario per fronteggiare l’esercito russo.

Prima della guerra in Ucraina, Washington non aveva bisogno di un grande volume di munizioni e artiglieria. Ed è per questo che molte aziende, nel corso degli anni, hanno cessato le attività o smesso di produrre particolari equipaggiamenti perché non più richiesti in quantità rilevanti. Tra le altre aziende ancora operative, alcune sembrano essere eccessivamente dipendenti da materiali importati dalla Cina o, più in generale, dall’estero.

Lo scorso 15 febbraio, prima dell’inizio del conflitto in Ucraina, il Dipartimento della Difesa Usa ha pubblicato un interessante rapporto intitolato State of Competition within the Defense Industrial Base (Stato della concorrenza all’interno della base industriale della Difesa). Nel documento, di 30 pagine, si accendono i riflettori su una sostanziale diminuzione del numero di produttori nelle principali categorie di sistemi d’arma.

Un fenomeno, questo, che si è acuito con il passare degli anni e che deve essere in qualche modo risolto affinché gli Usa possano aumentare la concorrenza interna, rafforzare la base di fornitori e mantenere la prontezza delle forze armate. Le proprie ma anche, considerando l’attuale invio di armamenti all’Ucraina, quelle di eventuali Paesi alleati.

Preoccupazioni crescenti

La sensazione è che gli Stati Uniti continueranno a consegnare armamenti all’Ucraina almeno fino a quando la situazione militare sul campo di battaglia non sarà tale da consentire a Kiev di sedersi ad un eventuale tavolo delle trattative con la Russia da una posizione di vantaggio. E però, come ha ben fotografato Associated Press, a Washington stanno emergendo preoccupazioni non di poco conto.

Mentre enormi C-17 carichi di Javelin, Stinger, obici e altro ancora decollano quasi quotidianamente dalle basi aeronautiche americane per rifornire l’esercito ucraino, ha preso forma una domanda delicatissima. Gli Stati Uniti sono in grado di sostenere spedizioni di armamenti verso Kiev con una simile cadenza mantenendo, al tempo stesso, le scorte necessarie di cui l’esercito Usa potrebbe aver bisogno nel caso in cui dovesse scoppiare un nuovo conflitto in Corea del Nord, Iran o altrove?

In attesa di risposte certe, un anonimo funzionario della Casa Bianca ha spiegato che il Pentagono sta lavorando con gli appaltatori della Difesa per “per valutare lo stato di salute delle linee di produzione dei sistemi d’arma ed esaminare i colli di bottiglia in ogni componente e fase del processo di produzione”.

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