Il futuro dell’Indo-Pacifico passa anche da Okinawa. Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando, diversi anni fa, quest’isola del Giappone era solita finire al centro di servizi giornalistici soltanto a causa dell’intensa attività dei gruppi di cittadini adirati per la presenza in loco delle numerosissime basi militari statunitensi.
All’epoca, sembrava addirittura che anche il governo giapponese volesse alleggerire il legame che lo univa a doppia mandata con Washington. Oggi i tempi sono invece cambiati, e Tokyo è quasi ben felice di sapere che quelle stesse basi Usa, in passato finite nell’occhio del ciclone degli attivisti, sono ancora al loro posto, dato il crescente appetito della Cina per la prefettura nipponica.
In ogni caso, Okinawa è finita in trappola, schiacciata tra le ambizioni delle due grandi potenze del XXI secolo: se gli Usa la considerano fondamentale per la loro strategia di difesa del Pacifico, la Cina ha iniziato ad ostentare sempre di più il suo legame storico con l’isola giapponese.
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La presenza Usa a Okinawa
Attenzione alla geografia. Okinawa si trova più o meno a metà strada tra la Cina e il Giappone, non dista troppo dalla penisola coreana e, aspetto rilevante, è a poco più di un’ora di volo da Taiwan. Significa che l’isola potrebbe fungere da hub militare degli Stati Uniti, sia nel caso di un futuro conflitto con Pechino che per la difesa di Taiwan.
Washington ha infatti una solida presenza a Okinawa, visto che le sue dozzine di basi qui disposte le consentono di semplificare eventuali operazioni terrestri, marittime e aeree nell’intera regione. Gli Usa possono contare sulle basi aeree di Kadena e Futenma, tra le più importanti di tutto il Giappone, oltre che su svariate strutture operative destinate all’esercito, alla marina e ai Marines.
È per questo motivo che la Cina deve muoversi con cautela ogni qualvolta decide di avventurarsi nel Mar cinese orientale, e pensarci due volte prima di lanciare un assalto contro Taipei. Le forze armate di Pechino sono vulnerabili di fronte alle contromosse Usa, tanto più considerando il fatto che Washington ha piazzato batterie missilistiche anti nave e sistemi anti aerei nei pressi di Okinawa, chiudendo di fatto ampie porzioni oceaniche alla marina e all’aeronautica del Dragone.
Last but not least, come ha sottolineato Asia Times, l’isola giapponese è pur sempre un’utilissima piattaforma per praticare attività di sorveglianza e raccolta informazioni, due aspetti chiave di ogni operazione militare che si rispetti.
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La Cina e la storia delle Ryukyu
Accanto alle dispute geopolitiche internazionali, e al testa a testa sino-statunitense per il controllo dell’Indo-Pacifico, è necessario focalizzare l’attenzione sul piano storico. Il motivo è presto detto: la Cina è entrata a gamba tesa su Okinawa, e non solo sulle isole Senkaku, da tempo rivendicate tra Pechino e Tokyo.
Lo scorso 4 giugno, il quotidiano cinese People’s Daily ha pubblicato in prima pagina un articolo emblematico, riportando una lunga digressione di Xi Jinping sulla storia delle isole Ryukyu, come Pechino chiama la prefettura più meridionale del Giappone. Il reportage del giornale ricostruiva una recente visita del presidente cinese presso gli Archivi Nazionali delle Pubblicazioni e della Cultura della Cina, una struttura istituita un anno fa nella periferia di Pechino per raccogliere e conservare le pubblicazioni cinesi di epoche diverse.
Durante l’ispezione, Xi si è fermato davanti ad un libro xilografato sulla storia delle Ryukyu, evidenziando, per la prima volta da quando è entrato in carica, i legami storici tra Okinawa e la Cina. Si potrebbe tuttavia leggere l’uscita del leader cinese in termini più geopolitici che non storici; in tal caso, ricordando la questione irrisolta di Okinawa, la Cina avrebbe inviato un messaggio al Giappone, intimandogli indirettamente di restare fuori dal dossier Taiwan.
L’Asian Nikkei Review ha scritto che Pechino potrebbe creare un cuneo tra la stessa Okinawa e Tokyo, giocando di sponda con il piccolo – ma ruspante – movimento indipendentista della prefettura meridionale giapponese.

Foto: EPA/HITOSHI MAESHIRO
La leva dell’indipendentismo
Oggi Okinawa ospita circa 1,3 milioni di persone ma la sua storia ha ancora un certo peso. Basti pensare che un tempo l’isola era un regno indipendente, noto come Ryukyu, e che molti abitanti dell’isola si considerano tutt’ora etnicamente distinti dai giapponesi.
Per sintetizzare al massimo, gli storici cinesi evidenziano come il regno Ryukyu fosse uno Stato tributario della Cina durante le dinastie Ming e Qing, per circa 500 anni, fino alla successiva annessione del Giappone, completata nel 1879, con tanto di repressione di lingua e cultura locale da parte dell’impero nipponico. Mezzo secolo più tardi, il governo cinese di Xi sta amplificando la fame indipendentista dei gruppi di Okinawa.
Una fame peraltro rispecchiata da sondaggi emblematici. A giugno, il 70% dei residenti dell’isola riteneva che la concentrazione delle basi militari Usa fosse ingiusta; l’83% era inoltre preoccupato per l’alta probabilità che quelle strutture potessero diventare obiettivi di un attacco in caso di tensioni militari. In effetti, più del 15% del territorio dell’isola principale di Okinawa è utilizzato dall’esercito americano. L’intera prefettura comprende meno dell’1% della superficie terrestre del Giappone, ma ospita oltre il 70% delle strutture militari statunitensi presenti nel Paese asiatico.
Il malumore dei residenti, arrabbiati per il costante rumore degli aerei americani, i piccoli ma brutali crimini commessi dai soldati statunitensi di stanza sull’isola e per l’ampio territorio riservato alle basi militari straniere, è stato incanalato dal governatore della prefettura, Denny Tamaki. Figlio di una madre giapponese e di un marine Usa (che non ha mai conosciuto), Tamaki lotta da anni per “difendere” il popolo di Okinawa contro le pressioni di Giappone e Stati Uniti, e chiede a gran voce di ridurre la presenza statunitense sull’isola.
Di recente, ha visitato la Cina con una delegazione dell’Associazione giapponese per la promozione del commercio internazionale (Japit), un gruppo dedicato a sviluppare affari con la Cina e guidato dall’ex presidente della Camera ed ex ministro degli Esteri giapponese, Yohei Kono. In un quadro del genere, Pechino sta cercando di stabilire più domini diplomatici nell’Indo-Pacifico, proprio per estromettere gli Usa dallo scacchiere che deciderà le sorti del mondo. Intanto, il Dragone ha iniziato a sostenere la promozione di scambi amichevoli con Okinawa, in attesa di capire come calibrare i prossimi passi.
Certo, negli anni Sessanta Mao Zedong riconobbe Okinawa come parte del Giappone, sostenendone il suo ritorno sotto il controllo nipponico dal dominio statunitense. Rivedere tutto, facendo leva sul regno Ryukyu, potrebbe adesso scoperchiare un vero e proprio vaso di pandora. La sensazione è che i piani cinesi dipenderanno da come Tokyo si inserirà sulla questione taiwanese.