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Nella mattinata di oggi, sabato 30 luglio, il volo di Stato di Nancy Pelosi ha lasciato l’aeroporto californiano di Fairfield diretto verso l’Estremo Oriente dove la presidente della Camera dei Rappresentanti del Congresso statunitense deve effettuare un tour.

La destinazione finale del volo non è ancora nota, ma sappiamo che nelle scorse settimane era stata anche annunciata la volontà di andare in visita ufficiale a Taiwan. Il viaggio era previsto nel mese di agosto e tanto era bastato per scatenare la dura reazione di Pechino: i portavoce dei ministeri della Difesa e degli Esteri cinesi avevano affermato, non più tardi di martedì, che questa eventualità avrebbe significato una grave violazione del principio “una sola Cina” (One China) che regola i rapporti tra Washington e Pechino sin dal 1972.

Vi abbiamo già raccontato che, nonostante la visita di alti rappresentanti della politica statunitense a Taiwan non sia una novità, il fatto che questa volta si tratti della terza carica dello Stato viene percepito dalla Cina come un riconoscimento ufficiale della sovranità dell’isola. Qualcosa di inaccettabile per il Politburo e per il presidente Xi Jinping che ha messo per iscritto la volontà di ricondurre Taiwan in seno alla madrepatria con ogni mezzo possibile. Il viaggio della Pelosi a Taiwan era stato sconsigliato dallo stesso Pentagono, che aveva riferito alla Casa Bianca che non fosse “una buona idea in questo momento” in quanto le tensioni tra Stati Uniti e Cina non vanno esacerbate sia perché il presidente Xi è prossimo al congresso del PCC (Partito Comunista Cinese) che molto facilmente lo indicherà per un terzo straordinario mandato, e quindi potrebbe reagire a quella che viene vista come una provocazione in maniera particolarmente dura, sia perché un aumento della tensione nell’area dell’Indo-Pacifico richiederebbe un maggiore schieramento di forze, che attualmente sono impegnate sul fronte europeo per garantire la deterrenza nei confronti della Russia in ambito Nato. Gli Usa, infatti, stanno spostando uomini e mezzi in Europa – soprattutto orientale – con un’intensità che non si vedeva dai tempi della Guerra Fredda.

Tornando al settore Indo-Pacifico la situazione è “bollente”: la Cina, come dimostrazione di forza in previsione del viaggio della presidente Pelosi, ha dato il via a una serie di esercitazioni a sorpresa tra lo Stretto di Taiwan e il Mar Cinese Meridionale: l’esercito cinese sta schierando veicoli corazzati nella provincia di Fujian, il territorio più vicino a Taiwan nella Cina continentale, dove domani inizieranno le esercitazioni a fuoco vivo, mentre una vasta operazione di sbarco anfibio sta avendo luogo nell’arcipelago delle Spratly, le isole occupate proditoriamente da Pechino nel Mar Cinese Meridionale a seguito delle rivendicazioni territoriali che la Cina avanza su quell’intero specchio d’acqua.

Parallelamente sui social network cinesi è comparso un sinistro avviso da parte dell’account ufficiale dell’80esima Armata dell’Esercito Popolare di Liberazione, che ha pubblicato il post “prepararsi alla guerra!” che solo nelle prime 12 ore ha raccolto decine di migliaia di commenti e centinaia di migliaia di like. Il quartier generale di questa unità si trova nella città di Weifang, nella provincia di Shandong.

Sul fronte opposto Taiwan e gli Stati Uniti non sono rimasti a guardare: Taipei ha mobilitato le sue forze per un’esercitazione di contrasto a un possibile sbarco anfibio, mentre nei giorni scorsi ha effettuato nella capitale un test di massa della difesa civile. Gli Usa, invece, stanno mobilitando le proprie forze aeronavali per fornire copertura al viaggio della presidente della Camera dei Rappresentanti: la portaerei Uss Ronald Reagan e il suo gruppo d’attacco (Csg – Carrier Strike Group) sono partiti da Singapore il 25 luglio, diretti verso il Mar Cinese Meridionale. Il 28 luglio, i funzionari della Settima Flotta della marina degli Stati Uniti hanno confermato il dispiegamento del Csg nella regione in una dichiarazione a Reuters.

Secondo quanto riportato la Reagan e il suo gruppo d’attacco stanno continuando “le normali operazioni programmate come parte della suo pattugliamento di routine a sostegno di un Indo-Pacifico libero e aperto”, ma alla luce delle minacce cinesi, come ha riferito il comando Usa, le forze armate stanno lavorando a piani di emergenza per qualsiasi incidente che potrebbe verificarsi nel caso in cui la Pelosi dovesse effettivamente visitare Taiwan.

L’Associated Press ha riferito, citando alti funzionari americani, che si prevede di aumentare la presenza di forze e risorse nella regione indo-pacifica, il che comporterebbe l’uso di caccia, navi e piattaforme di sorveglianza per creare zone cuscinetto intorno al velivolo di Stato.

Il 27 luglio il generale Mark Milley, capo di Stato maggiore della Difesa Usa, ha dichiarato che “se viene presa la decisione che la presidente Pelosi o chiunque altro si recherà a Taiwan e chiederanno supporto militare, faremo il necessario per garantire la sicurezza della loro visita”.

Inoltre, nella stessa data, il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin, ha riferito di aver parlato con la presidente della Camera e di averle fornito una valutazione sulla sicurezza. “Ho parlato personalmente con la presidente… le parlo regolarmente, e le ho fornito la mia valutazione della situazione della sicurezza”, ha detto Austin ai giornalisti dopo aver partecipato a una riunione dei ministri della Difesa a Brasilia.

Il dispositivo di sicurezza statunitense comprenderà quasi sicuramente il Csg della Ronald Reagan e riteniamo che il volo sarà preso in carico da caccia F-22 Raptor di stanza alle isole Hawaii in quanto si tratta di velivoli di quinta generazione idonei a operare in un ambiente altamente contestato quale è il Pacifico Occidentale.

Attualmente non sappiamo se la presidente Pelosi visiterà Taiwan: se verrà presa questa decisione, però, si innescherà un meccanismo tale per il quale la tensione con la Cina crescerà a dismisura, e in questo momento nessuno dei due contendenti ha interesse che ciò avvenga. Il cambiamento dello status quo delle relazioni tra Pechino e Washington dato da un evento simile richiederebbe una dura reazione cinese, che potrebbe innescare una pericolosa spirale verso un confronto armato diretto: la vicinanza delle rispettive forze armate, dei rispettivi caccia che molto probabilmente la Cina farebbe decollare per rispondere a quella che ai suoi occhi sarebbe una chiara provocazione statunitense, potrebbe degenerare.

La Casa Bianca, che non desidera scontrarsi apertamente con Pechino in un momento in cui è assorbita dal fronte europeo, si trova però davanti a un dilemma: la rinuncia alla visita della presidente della Camera a Taipei verrebbe letta come un atto di debolezza, e provocherebbe maggiore aggressività da parte della Cina che, come abbiamo visto, parla apertamente di preparazione alla guerra. Del resto la retorica cinese è cambiata da tempo e nei vertici militari del Paese – come in quelli politici – c’è chi pensa di poter combattere e vincere un conflitto armato con gli Stati Uniti. Anche gli alleati e partner degli Stati Uniti nella regione indo-pacifica, qualora Washington rinunciasse al viaggio, sarebbero meno propensi a prendere una chiara posizione di contrasto alla Cina, temendo la mancanza del supporto statunitense anche in considerazione di un precedente non da poco: il ritiro precipitoso dall’Afghanistan dello scorso agosto. I prossimi giorni, pertanto, saranno decisivi per delineare i rapporti di forza nel Pacifico Occidentale e più in generale in tutto l’Indo-Pacifico.





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