Il Giappone si è ritrovato a essere uno dei pilastri principali – se non il principale – della strategia di contenimento anti cinese adottata dagli Stati Uniti nell’Indo-Pacifico. La definitiva consacrazione di Tokyo nel ruolo di “alfiere di Washington” nella regione è arrivata lo scorso 18 agosto, in occasione dello storico incontro trilaterale nel Maryland, nella residenza presidenziale di Camp David, tra il padrone di casa Joe Biden e i suoi omologhi giapponesi e sudcoreani, rispettivamente Fumio Kishida e Yoon Suk Yeol.
I documenti partoriti dal vertice offrono sia una visione di partenariato tra gli attori citati che una varietà di accordi pratici. Accordi che includono un po’ di tutto: dai vertici annuali delle rispettive leadership alle riunioni a livello ministeriale e ufficiale per coordinarsi sulla sicurezza economica, sulle catene di approvvigionamento e sulla sicurezza informatica, nonché le tradizionali misure di sicurezza coincidenti con le esercitazioni militari congiunte.
La dichiarazione congiunta del vertice ha definito l’accordo trilaterale come l’inaugurazione di una “nuova era” per “promuovere la sicurezza e la prosperità nella regione dell’Indo-Pacifico”. Ebbene, tutto questo offre al Giappone l’occasione di tornare ad essere parte attiva della geopolitica asiatica, dopo decenni di riconosciuta potenza tecnologica e stagnazione economica, e poco altro se non il fatto di essere un hub militare statunitense in Asia.
Già lo scorso maggio, durante un’intervista concessa al Time, Kishida parlava del “nuovo modello di capitalismo” adottato dal Paese per far crescere la classe media attraverso politiche redistributive e, soprattutto, della rivoluzione attuata nelle relazioni internazionali, perpetrata attenuando le storiche lamentele con la Corea del Sud, rafforzando le alleanze di sicurezza con gli Stati Uniti ma anche aumentando la spesa per la difesa di oltre il 50%.
Detto altrimenti, il premier nipponico spiegava chiaramente che per la terza economia del mondo era arrivato il momento di avviare una trasformazione verso lo status di potenza globale con una presenza militare all’altezza.
Il rafforzamento militare di Tokyo
A dicembre, Kishida aveva svelato la volontà di attuare il più grande potenziamento militare del Giappone dalla Seconda guerra mondiale. L’impegno punta ad aumentare la spesa per la difesa nazionale fino al 2% del suo Pil entro il 2027, rendendo quello nipponico il terzo bilancio per la difesa più grande del mondo.
Tokyo ha pubblicato tre documenti volti a enunciare le proprie mosse: la “Strategia di difesa nazionale”, il “Piano di sviluppo delle forze di difesa” e la “Strategia di sicurezza nazionale” (Nss). In quest’ultimo, in particolare, si fa riferimento all’acquisizione di capacità di contrattacco per colpire i siti di lancio di missili nemici. Il nuovo approccio rappresenta una chiara espansione internazionale degli interessi di sicurezza giapponesi oltre la semplice difesa del proprio territorio, oltre che la volontà di adottare una visione globale più ampia della propria sicurezza.
Per la cronaca, l’uso di contrattacchi contro obiettivi militari o basi missilistiche nemiche viene fatto rientrare nelle “misure di autodifesa minime necessarie”, senza entrare in contraddizione con il famigerato articolo 9 della costituzione giapponese. Ovvero l’articolo che, dal 1947 in poi, vieta al Giappone di possedere “forze di terra, del mare e dell’aria” e lo costringe a rinunciare “per sempre alla guerra” e alla “minaccia o all’uso della forza” come mezzo per risolvere le controversie internazionali.
La lista della spesa (militare) del Giappone
Per quasi tutti i suoi programmi di sviluppo congiunto inerenti alle attrezzature di difesa, il Giappone ha sempre fatto affidamento sugli Stati Uniti. Tokyo ha ora iniziato ad esplorare anche altre strade, come dimostra l’implementazione del Global Combat Air Program (Gcap), il programma stipulato con Italia e Regno Unito, volto a fornire un aereo da combattimento altamente avanzato ed esportabile entro il 2035 e in grado di sostituire i jet F-2 in dotazione alla Forza aerea di autodifesa giapponese.
Non solo: il governo giapponese sta pianificando una spesa annuale record per la difesa di 7,7 mila miliardi di yen (53 miliardi di dollari), con l’intenzione di espandere la propria flotta e capacità missilistiche. Scendendo nei dettagli, ha scritto Foreign Policy, nella richiesta di quest’anno, tra le numerose spese, più di 5 miliardi di dollari saranno stanziati per la costruzione di una flotta di missili standoff, quasi 9 miliardi andranno al potenziamento dei sistemi di difesa aerea e missilistica del Paese e circa 500 milioni di dollari saranno investiti nei suddetti aerei da combattimento di prossima generazione.
Il ministero della Difesa intende poi costruire cacciatorpediniere dotate di un sistema di difesa missilistico Aegis, nuove fregate stealth e missili di vario tipo, compresi i missili da crociera Tomahawk, che offrirebbero a Tokyo la capacità di colpire la Cina.
Per accelerare il processo di sviluppo, accanto all’acquisto di armi dall’estero, le autorità giapponesi hanno pensato di chiedere uno sforzo ai suoi giganti industriali, chiamandoli ad aumentare la produzione di attrezzature militari. Già, perché i brand più famosi del Giappone, gli stessi conosciuti per costruire televisori, lavatrici o automobili, producono anche attrezzature belliche. Qualche esempio? Mitsubishi sforna aerei da combattimento e missili per le forze di autodifesa del Giappone; Toshiba batterie di livello militare; la casa automobilistica Subaru elicotteri militari; Daikin ha un’attività secondaria che produce munizioni.
L’esercito cambia volto
Una parte consistente della spesa richiesta dal ministero della Difesa – pare circa 3,1 trilioni di yen – dovrebbe essere destinata al rafforzamento della “sostenibilità e resilienza” delle Forze di autodifesa del Paese (Sdf).
L’obiettivo, ha evidenziato il Financial Times, è quello di affrontare la carenza di beni di prima necessità (dalle scorte di munizioni e serbatoi di carburante alle strutture antisismiche), un’evenienza che per gli alti funzionari nipponici potrebbe ostacolare le capacità delle Sdf di far fronte a un conflitto prolungato.
Le richiamate Sdf hanno stanziato una parte del budget previsto per migliorare i collegamenti con la catena di isole Nansei sud-occidentali, una regione fondamentale per la difesa di Taiwan, e dove Stati Uniti e Giappone hanno concordato di aumentare la formazione e le esercitazioni del personale. Le forze armate di Tokyo saranno inoltre riorganizzate per creare una struttura di comando unificata sulle forze terrestri, marittime e aeree.
Le Sdf cercheranno infine di aumentare il numero del personale della sua unità di sicurezza informatica, da circa 890 a 2.410 entro l’anno fiscale 2024-25, e di affrontare le debolezze difensive cibernetiche costruendo un sistema cloud integrato per le misure di sicurezza informatica.
Intanto, come ha scritto il Japan Times, il Giappone ha iniziato a sviluppare una serie di sistemi missilistici – incluse nuove varianti del missile antinave Type-12, armi ipersoniche e missili da crociera – per difendersi a distanze maggiori e tenere lontane le forze nemiche, in particolare dalle isole sudoccidentali.