In attesa che venga redatto il nuovo Documento Programmatico Pluriennale (Dpp) della Difesa che vedrà quasi sicuramente degli “aggiustamenti” determinati dal cambiamento di necessità generato dal conflitto in Ucraina, proviamo a dare uno sguardo a come sarà la Marina Militare Italiana del prossimo futuro, tenendo presente che i piani per l’acquisizione di nuove unità sono già stati stabiliti e che, orientativamente, vedranno pochi cambiamenti.

Compiti e direttive in ambito Nato, ma non solo

L’ultimo Dpp (per il triennio 2021-2023) afferma che per la MM è previsto il “consolidamento della capacità portaerei, lo sviluppo della componente anfibia, l’ammodernamento della componente subacquea, il completamento della capacità di pattugliamento marittimo, lo sviluppo e l’acquisizione di nuovo munizionamento di precisione a lunga gittata, il rinnovamento delle capacità idrografica e di contromisure mine nazionali”.

Per quanto riguarda i compiti, sempre nel documento, si legge che “la componente marittima dovrà continuare ad assicurare, senza soluzione di continuità, la difesa e la sicurezza degli spazi marittimi di interesse nazionale, attraverso la presenza e sorveglianza, la protezione delle linee di comunicazione marittime, la tutela delle risorse e delle attività economiche e la polizia dell’alto mare. Contestualmente, la componente marittima, dovrà proseguire a garantire la proiezione di forza dal mare e sul mare, operando nel più ampio spettro di conflittualità, anche in scenari ad alta intensità, e in dispositivi interforze e/o internazionali, garantendo capacità di comando e controllo, proiettabilità, ingaggio di precisione di obiettivi in ogni dominio, anche a supporto delle altre componenti, e ingaggio areale nell’ambito del dispositivo della difesa aerea missilistica integrata”.

Il Dpp 2021-2023 risente, com’è logico, degli indirizzi strategici individuati dall’Alleanza Atlantica nel documento “Nato 2030. United for a new era” del novembre 2020, in cui si afferma che la Nato deve adattarsi per soddisfare le esigenze di un ambiente strategico più esigente caratterizzato dal ritorno di rivalità sistemica, di una Russia persistentemente aggressiva, dall’ascesa della Cina e il ruolo crescente delle Edt (Emerging and Disruptive Technologies), e allo stesso tempo far fronte a elevati rischi e minacce transnazionali.

L’Alleanza ha già cambiato pelle, dapprima per via dell’acuirsi della tensione con la Russia e, successivamente, per lo scoppio del conflitto in Ucraina, e lo Strategic Concept elaborato al recente vertice di Madrid lo dimostra. Pertanto anche le nostre Forze Armate stanno assumendo una postura (e un ruolo) in qualche modo differente anche e soprattutto grazie alle capacità e agli assetti di alto livello conseguiti: limitandoci alla Marina Militare possiamo citare, come esempi, la decisione di acquistare munizionamento a lunga gittata di precisione (missili da crociera), la partecipazione di nave Garibaldi all’esercitazione Cold Response 2022 in Norvegia in qualità di unità comando della forza anfibia, oppure il passaggio, per la prima volta nella storia, di nave Cavour e del suo gruppo da attacco sotto il comando diretto del Naval Striking and Support Forces Nato.

La Marina Militare del futuro

Tornando alle unità navali, e tralasciando quelle già in servizio o prossime a esserlo, la Marina Militare ha intrapreso un programma di rinnovamento e potenziamento che andrà a coprire le restanti lacune (non tutte come vedremo) che l’hanno caratterizzata principalmente tra il 2000 e il 2013 (anno dell’ingresso in servizio della prima fregata classe Bergamini) determinate da navi in rapido invecchiamento e in dismissione.

Cominciando dalle unità maggiori – escluse le due portaeromobili Cavour e Trieste – sono stati avviati gli studi per una nuova classe di cacciatorpediniere (Dd(x)) che dovrà sostituire i due classe Ammiragli e affiancare i due Orizzonte (per i quali sono stati stanziati fondi per l’ammodernamento di mezza vita). Queste unità, per le quali è stato stabilito un programma di finanziamento sino al 2035 del valore di 2,7 miliardi di euro, vedranno per la prima volta una capacità di difesa antimissili balistici con vettori di intercettazione e sistemi radar di scoperta, tracciamento e ingaggio, quindi andranno a far parte del dispositivo di difesa aerea missilistica integrata già citato in apertura.

Ad esse si affiancheranno due nuove fregate classe Bergamini – previste per il 2025 – in sostituzione di altrettante cedute recentemente all’Egitto, portando così il totale a 10 unità come previsto dai piani di acquisizione.

Entro il 2035 la Marina Militare vedrà l’ingresso in servizio di tre nuove unità per la guerra anfibia: le Lpd(x) andranno a sostituire le tre classe San Giorgio, varate tra il 1987 e il 1993. Questo progetto è stato sino ad ora finanziato solo per gli studi di riduzione del rischio.

Varato anche il programma di acquisizione per altre due unità di supporto logistico (Lss) della classe Vulcano che si affiancheranno alla prima unità entrata in servizio nel 2021. Anche in questo caso l’orizzonte finanziario è stato stabilito nel 2035 ed il fabbisogno stimato ammonta a 823 milioni di euro.

Saranno cinque i nuovi pattugliatori d’altura (Ppa) della classe Thaon di Revel che si aggiungeranno ai due già consegnati alla forza armata quest’anno, per un totale di sette con l’opzione per ulteriori tre.

Finanziati anche 8 nuovi “pattugliatori” (o corvette) Opv (Offhsore Patrol Vessel) per 3,5 miliardi di euro complessivi sino al 2035 in sostituzione della linea composta dalle classi Cassiopea ed Esploratore, ma soprattutto è stato varato un piano di acquisto per 12 nuove unità contromisure mine per un valore totale di 2,8 miliardi di euro da completarsi entro il 2031, andando a porre rimedio alla principale lacuna della nostra Flotta.

La componente subacquea vedrà l’arrivo di quattro nuovi U-212 Nfs che dovranno essere integrati da una nuova unità di recupero (Sdo-Surs) in sostituzione di nave Anteo, di una unità per bonifiche e appoggio operazioni subacquee (Ubos) prevista per il 2033 e finanziata, attualmente, con 35,38 milioni di euro, nonché di una nave per la raccolta di segnali (Sigint) in sostituzione di nave Elettra.

Per quanto riguarda la nuova nave da ricerca idro/oceanografica (Niom) il progetto vale circa 259 milioni di euro. Nave Garibaldi, in questo quadro, vedrà l’assegnazione alle operazioni spaziali come piattaforma di lancio navigante.

La vera nota dolente di questa visione della Flotta 2030 è la capacità Asw (Anti Submarine Warfare). Attualmente, al di là delle classe Bergamini versione antisom (quattro unità), la nostra capacità aerea per la guerra sottomarina è limitata solo all’attività di scoperta e tracciamento: i P-72A che hanno sostituito gli Atlantic dell’Aeronautica Militare sono disarmati e non è pensabile di poter affidarsi solo ed esclusivamente a unità navali. Da tempo si parla dell’acquisizione dei pattugliatori statunitensi Boeing P-8 Poseidon, seguendo la stessa strada della Germania, ma la scelta potrebbe non essere ottimale: esiste una versione armata dei P-72, che produciamo per la Turchia, che potrebbe essere una buona soluzione ad interim nell’attesa di sviluppare un sistema più idoneo dei Poseidon – e meno costoso – per le nostre esigenze.

Altra nota dolente è rappresentata dalla componente aerea ad ala fissa imbarcata: 30 cacciabombardieri F-35B (considerati anche i 15 dell’AM), sono pochi per due unità navali e lo sono comunque anche per una sola in quanto nella possibile prospettiva del passaggio dalla capacità expeditionary sea a quella land in zona di operazioni servono più macchine per garantire la superiorità area della Flotta e delle forze proiettate a terra. L’optimum sarebbe di raddoppiare i velivoli (del resto il Regno Unito per le sue due unità portaerei ne prevede altrettanti, per cominciare) anche in considerazione del fatto che difficilmente tutti e 30 i Lightning II “Bravo” sarebbero in piena efficienza, quindi in condizioni di volare, durante e dopo un intervento operativo prolungato.

Un Mediterraneo Allargato per niente pacifico

Veniamo ora alle considerazioni più prettamente geopolitiche. L’Italia ha da tempo individuato in un settore di globo che va, grossomodo, dal Golfo di Guinea sino a quello di Aden (e oltre arrivando al Golfo Persico), la sua aerea di interesse nazionale.

Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini recentemente, e in considerazione del conflitto in Ucraina che ha spostato nuovamente l’attenzione della Nato e dell’Ue sul “fronte orientale”, ha ribadito che il Mediterraneo Allargato “è di prioritario interesse strategico nazionale” sottolineando che “le tensioni che lo riguardano innescano, infatti, processi che si riverberano sull’Europa, e in particolare sull’Italia”. La questione riguarda non solo l’attività migratoria e la minaccia terroristica portata da Nsa (Non State Actor), ma le fonti di approvvigionamento energetico e le linee di comunicazione marittima: il Mediterraneo, da solo, vede passare il 20% dei traffico marittimo globale.

L’Italia, quindi, ha un ruolo importante in questo contesto, in funzione della sua geografia, dei suoi legami diplomatici e delle sue capacità militari, che possono rappresentare un valore aggiunto nell’ambito delle alleanze a cui aderisce. La nazione ha bisogno di uno strumento navale moderno ed efficace per tutelare i propri interessi, anche considerando il ricorso alla forza militare: basterebbe dare uno sguardo alla mappa dell’attività dell’Eni in Africa, per capire come le nostre fonti di approvvigionamento energetico dirette siano situate in Paesi ad alto rischio per la sicurezza: dalla Nigeria al Congo passando per la Libia la Costa d’Avorio e l’Egitto.

Proprio in alcuni Paesi africani, come la Libia o la stessa Algeria, l’Italia si trova a doversi confrontare con la penetrazione di attori internazionali avversari o potenzialmente ostili come la Russia o la Cina, quest’ultima sempre più presente nel continente sfruttando il meccanismo della Bri (Belt and Road Initiative): recentemente si è evidenziata la volontà di Pechino penetrare in Guinea Equatoriale oltre ai già noti investimenti in infrastrutture portuali (che hanno sempre la possibilità di utilizzo duale civile/militare) in Angola, Nigeria, Senegal, Kenya, Tanzania, Namibia e Seychelles.

Se in prospettiva la Cina si configura come qualcosa di più di un semplice concorrente, vista la volontà di aumentare la propria impronta militare in Africa (non solo in quel di Gibuti), possiamo invece dire che la Russia si configura come un rivale diretto per i nostri interessi nel Mediterraneo Allargato: oltre alle note basi in Siria (Tartus e Hmeimim) Mosca è attiva militarmente in Libia, Repubblica Centraficana, Mali e altrove con le sue Pmc (Private Military Company) mentre continua a mantenere una politica di presenza navale nei mari strategici che circondano il continente africano.

In Africa – come riporta un dossier di Italia Strategic Governance – Mosca procede secondo un collaudato modus operandi composto da incontri militari ad alto livello per rafforzare le relazioni, dalla stipula di accordi in ambito militare/navale ed in connessione con questo impegno, dall’invio di istruttori e di consiglieri militari. Il naviglio russo, militare e non militare, viene usato spesso in visite ufficiali per incrementare le relazioni che spesso portano alla firma di contratti per la fornitura di armamenti e a tavoli tecnici per lo scambio di idee comuni nel campo della sicurezza marittima, della maggiore integrazione e interoperabilità, e della cooperazione nel campo della tecnologia militare e dell’intelligence nonché accordi per creare basi navali permanenti o semi-permanenti in aree strategicamente importanti, come nel caso del Sudan. Mosca è anche attiva in esercitazioni navali bilaterali o multilaterali e ha stabilito accordi sulla possibilità di intervento diretto/indiretto della Marina russa in caso di conflitti locali.

La finalità non è solo quella di garantire la sicurezza delle proprie linee di comunicazione marittima, ma anche quella di innestarsi nelle “faglie” lasciate aperte dagli avversari occidentali per contrastarne l’azione, non solo dal punto di vista della presenza marittima: quanto sta accadendo in Mali, con la Russia che si sta sostituendo alla Francia e al suo dispositivo multinazionale antiterrorismo e di supporto/addestramento alle forze di sicurezza locali, è forse l’esempio più lampante di questa strategia.





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