L’ultima sortita risale a pochi giorni fa. Lo scorso 3 ottobre, il ministero della Difesa di Taiwan ha rilevato 8 aerei militari e 4 navi da guerra nei pressi dell’isola. Stando a quanto riferito dal dicastero su X (ex Twitter), due degli aerei hanno varcato la linea mediana dello Stretto di Taiwan.

Dall’inizio del mese, la Cina ha inviato nei pressi dell’isola più di 380 aerei militari e oltre 137 navi da guerra. Un numero enorme, in continua crescita, e che non accenna a fermarsi. Ma qual è il piano di Pechino? Che cosa spera di ottenere il Dragone adottando una simile strategia?

C’è chi, di fronte ad ogni episodio simile, sottolinea come il presidente cinese Xi Jinping stia semplicemente prendendo le misure per il suo “sogno”: la riunificazione tra Taiwan e la Repubblica popolare cinese. Una riunificazione, hanno peraltro più volte ripetuto le autorità cinesi, da portare a compimento con ogni mezzo.

In realtà, il Dragone potrebbe prendere nota su un altro aspetto, più indiretto rispetto a quello ripetuto, ma ovviamente sempre legato al tema della riconquista dell’isola. Vista da un’altra prospettiva, la Cina starebbe incrementando le attività militari nei pressi di Taiwan per affinare le proprie capacità di impedire all’esercito americano di rispondere a un’eventuale invasione.



Scudo anti Usa

Il Wall Street Journal ha fatto notare un aspetto emblematico. A settembre, la Cina ha inviato alcuni dei suoi più grandi sciami di caccia e navi da guerra intorno a Taiwan. Sono stati accompagnati da un silenzio insolito. Già, perché mentre le precedenti esercitazioni cinesi analoghe erano accompagnate da ondate di propaganda volte ad intimidire l’isola, questa volta Pechino non ha detto quasi nulla sulle recenti manovre.

Ebbene, questo strano silenzio sarebbe un segnale che attività del genere non mirerebbero tanto a trasmettere un messaggio politico a Taipei, quanto ad addestrare l’esercito cinese. Le forze armate del Dragone starebbero insomma cercando di affinare la propria capacità di accerchiare Taiwan, neutralizzare i vantaggi naturali dell’isola e impedire agli Stati Uniti di soccorrerla in caso di offensiva.

Altro particolare da non tralasciare appuntato dagli analisti taiwanesi: le sortite cinesi hanno più volte incluso un numero crescente di aerei da trasporto e rifornimento Y-20, avvistati in volo insieme a caccia a reazione a est di Taiwan. Ciò suggerisce una maggiore attenzione del governo cinese al miglioramento delle capacità di far fronte a “combattimenti a lungo raggio”.

Strategia diversa

Taipei considera da tempo la geografia (come spiegato da InsideOver qui) come uno dei suoi maggiori vantaggi in caso di invasione cinese. Vista la presenza sull’isola di una ripida catena montuosa che forma una barriera naturale per le truppe nemiche che marciano da ovest, per anni la strategia dell’esercito taiwanese è stata quella di mantenere una roccaforte sulla costa orientale, nella speranza, in caso di pericolo, di resistere abbastanza a lungo da consentire agli Stati Uniti di inviare aiuti.

È per questo che l’esercito cinese ha dato priorità al blocco della risposta statunitense, affinando una strategia chiamata “anti-access/area denial” o A2/AD. “Hanno bisogno di fare molte più esercitazioni prima di poter dire che sono davvero nella posizione di minacciare realisticamente la capacità degli Stati Uniti di intervenire nel conflitto nello Stretto di Taiwan”, ha tuttavia spiegato Ben Lewis, un analista militare indipendente con sede a Washington che ha monitorato le attività quotidiane dell’esercito cinese per quasi due anni, riferendosi alle forze armate del Dragone.

Il tempo però stringe, perché le capacità di Pechino di negare l’accesso agli Stati Uniti nell’area limitrofa a Taiwan miglioreranno in modo significativo quando la portaerei di 1.000 piedi, la Fujian, entrerà in servizio nel 2025. E lo faranno ancora, nel corso dei prossimi anni, con la modernizzazione dell’esercito cinese.   

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