La Cina, da tempo, ha stabilito un perimetro di sicurezza nei suoi mari contigui per contrastare l’attivitĂ navale avversaria in caso di conflitto, o nel caso in cui l’unificazione con Taiwan necessiti di un intervento militare.
Questo perimetro difensivo si configura in aree di interdizione aeronavale, in gergo chiamate “bolle” Anti Access/Area Denial (A2/Ad), che si estendono anche oltre i mari che bagnano le coste cinesi per questioni legate alla portata e natura dei sistemi missilistici schierati, per l’impulso dato alla costruzione di nuovo naviglio militare e per lo sviluppo di un’aviazione con possibilitĂ di colpire bersagli a lungo raggio.
In particolare, la postura aggressiva di Pechino nel Mar Cinese Meridionale ha permesso alla Cina di ottenere basi avanzate che la mettono in grado di estendere notevolmente il proprio braccio, con la possibilitĂ di controllare sia i vitali stretti marittimi che mettono in comunicazione l’Oceano Indiano con il Pacifico Occidentale, sia di raggiungere – ipoteticamente – il nord dell’Australia e quindi coprire un braccio di mare piĂą esteso verso sud e verso est.
I sistemi utilizzati per instaurare le zone A2/Ad sono, come accennato, legati alla necessitĂ di contrastare la presenza navale e aerea avversaria: missili da crociera antinave, missili balistici in grado di manovrare per poter colpire bersagli navali di grosse dimensioni oltre a basi terrestri, missili da difesa aerea, e, ovviamente, bombardieri, caccia, e unitĂ navali armati con sistemi adeguati allo scopo.
La Us Navy e i Marines statunitensi hanno a loro volto adeguato dottrine e mezzi per poter contrastare questa capacitĂ cinese: la prima ha in programma di acquisire nuove unitĂ navali, anche unmanned, e di aumentare il numero complessivo delle navi a disposizione della flotta, i secondi hanno abbandonato le forze pesanti per tornare ad avere il ruolo di forza anfibia per eccellenza, dando particolare importanza all’acquisizione di sistemi missilistici altamente mobili e dispiegabili per poter contrastare le bolle A2/Ad cinesi in quella che si definisce capacitĂ di “controbolla”.
Parallelamente anche gli alleati che gli Stati Uniti hanno nell’area (e non solo se pensiamo al Regno Unito e in minor misura alla Francia), stanno rimodulando le proprie forze armate dando particolare attenzione allo strumento aeronavale: il Giappone, ad esempio, ha deciso di dotarsi di missili da crociera a lungo raggio per poter essere in grado di colpire gli assetti e le posizioni avversarie seguendo la dottrina di “second strike”, ovvero di secondo colpo dopo aver subito un’aggressione per tenere fede alla sua costituzione pacifista e quindi non considerando la possibilitĂ di un attacco preventivo.
La natura geografica dell’area in questione, con la Cina – potenza ancora fondamentalmente continentale – circondata da nazioni insulari o peninsulari antagoniste o neutrali, suggerirebbe un approccio prettamente aeronavale per il contrasto alla capacitĂ A2/Ad di Pechino, ma c’è anche una possibilitĂ da considerare basata sull’esperienza della Nato in Europa, ovvero quella di utilizzare le “linee interne” per la disarticolazione delle bolle cinesi di interdizione aeronavale.
L’Alleanza Atlantica ha stabilito nel continente europeo una rete fatta di infrastrutture, comandi, depositi e siti avanzati dapprima per il contrasto alle forze d’invasione del Patto di Varsavia e successivamente per garantire la sicurezza dei suoi confini orientali davanti al ritorno dell’assertivitĂ russa, chiamata a farlo dalla percezione di instabilitĂ di alcuni Paesi dell’est europeo che si trovano piĂą vicini alla Federazione, come la Polonia, la Romania e i Baltici.
Questa rete, adeguatamente supportata da una struttura logistica, è difesa da unitĂ delle forze di terra dell’Alleanza che possono contare su sistemi mobili da difesa aerea, su Mlrs (Multiple Launch Rocket System) anche di lunga portata (come gli Atacms), e presto, con la fine del Trattato Inf sulle forze nucleari intermedie, si prevede l’arrivo di missili balistici a raggio medio/intermedio e da crociera a lunghissima gittata, che saranno affiancati da quelli ipersonici.
Le forze terrestri, in quel teatro, sono prevalenti data la natura geografica, ma lo stesso modello si può importare nell’Indo-Pacifico adeguandolo alle caratteristiche del territorio, che, paradossalmente, favorirebbe un maggiore decentramento e quindi metterebbe in difficoltĂ l’attaccante.
Le forze di terra potrebbero facilmente diventare essenziali per permettere alle risorse navali e aeree di combattere, specialmente se i domini spaziale, aereo, marittimo e cyber sono contestati. Se adeguatamente armate, le forze terrestri possono colpire le navi avversarie, neutralizzare i satelliti, abbattere i missili e condurre attacchi nel dominio cyber hackerando e “jammando” i sistemi nemici. Questi attacchi servirebbero ad ammorbidire il potenziale bellico avversario e ad aprire finestre operative per l’aviazione e la marina in grado di permettere la messa in atto di operazioni di stabilizzazione del fronte come sbarchi, ponti aerei e l’arrivo di convogli.
Si tratta quindi di costruire linee interne, essenzialmente linee di manovra, comunicazioni e logistica, preposizionando le forze di terra e tutto quanto occorre loro per combattere, inclusi pacchetti logistici così come avviene in Europa, dove da tempo è nato il concetto di Sistema di Base Aerea Dispiegabile (Dabs – Deployable Air Base System) per l’Us Air Force, che così è in grado di raggruppare equipaggiamenti come alloggi, sistemi di rifornimento, veicoli, scorte alimentari e d’acqua, parti di ricambio per velivoli e sistemi di sicurezza in un vero e proprio pacchetto base da spedire ove più necessario. Questo concetto operativo prevede anche il preposizionamento di altri sistemi lungo l’Europa che includono sensori meteorologici, reti di comunicazione e cibernetiche.
Questo preposizionamento nell’Indo-Pacifico deve avere una rete logistica adeguata che va sviluppata, e tale esigenza non è piĂą ottenibile attraverso l’esercizio esclusivo della forza, intendendo con questo termine lo sviluppo di relazioni di sicurezza bi/multi laterali che implicano lo svolgimento di esercitazioni militari congiunte e la condivisione di informazioni, ma deve passare necessariamente attraverso il soft power per avere attrattiva nei Paesi del Pacifico Occidentale che non gravitano stabilmente nell’orbita statunitense/occidentale.
Gli Stati Uniti e gli alleati – anche europei – che intendono posizionarsi stabilmente e pragmaticamente in quella immensa regione geografica dove molti Paesi, davanti all’aggressivitĂ cinese, hanno ancora un atteggiamento ambiguo, devono saper offrire non solo un modello di riferimento per lo sviluppo, ma molto piĂą materialmente condividere tecnologia e costruire infrastrutture, che devono essere fatte primariamente per il Paese ospitante e che solo in un secondo momento possono avere valore strategico. Come affermato da Gustavo de Carvalho, ricercatore sudafricano in relazioni internazionali da noi recentemente intervistato, deve valere il principio del partenariato strategico che non abbia come fine esclusivo (o principale) il contrasto a questa o quella potenza globale, ma la crescita del Paese con cui si vuole operare. Da questo punto di vista, l’Italia, visti i suoi recenti progressi in ambito diplomatico col Giappone che sembrano il preludio a una vera e propria alleanza, avrebbe qualcosa da insegnare agli Stati Uniti.