Difesa /

Svezia e Finlandia hanno recentemente consegnato la loro richiesta di adesione ufficiale alla Nato. Con quest’atto, se ci sarà l’unanimità del consenso dei Paesi membri dell’Alleanza, comincerà un processo burocratico piuttosto lungo in sette fasi riguardanti il rispetto dei requisiti dei Paesi applicanti e la redazione di protocolli che devono essere ratificati dalle nazioni della Nato sino alla formalizzazione dell’ingresso dei nuovi aderenti.

Questo processo, per la Svezia e la Finlandia, potrebbe avere tempistiche più abbreviate stante il partenariato di lunga data che le lega all’Alleanza. Entrambe le nazioni, infatti, fanno parte del meccanismo Partnership for Peace (PfP) dell’Alleanza – a cui partecipava anche la Russia – ma soprattutto hanno intessuto una rete di trattati e alleanze multilaterali con Paesi già membri della Nato e hanno delle forze armate moderne che soddisfano gli standard dell’Alleanza, nonché sono nazioni con realtà politiche, economiche e sociali oltremodo stabili, come dimostrabile dalla loro appartenenza all’Unione Europea.

Stoccolma ed Helsinki hanno quindi rinunciato al loro status di “neutralità” che le ha caratterizzate per decenni: per gran parte della Guerra Fredda, le relazioni tra Finlandia, Nato e Unione Sovietica hanno seguito la dottrina Paasikivi-Kekkonen, secondo la quale il Paese non si è unito né al blocco occidentale né a quello orientale e ha limitato le sue attività militari; la Svezia, nello stesso periodo, ha optato per una neutralità armata puntando sulla capacità di deterrenza delle proprie forze di difesa, imperniate sulla capacità produttiva nazionale.

Questa situazione è perdurata, nonostante la partecipazione alla PfP della Nato, sino alla seconda metà degli anni 2000 se escludiamo la partecipazione al conflitto in Afghanistan, che comunque sino al 2014 ha visto anche il sostanziale appoggio logistico della Russia: nel 2006 sia in Svezia sia in Finlandia comincia un serio dibattito politico sull’opportunità di legarsi all’Alleanza per via della percezione della rinnovata minaccia data dalla Russia, diventata politicamente più assertiva anche grazie alla campagna di rifinanziamento e modernizzazione delle sue forze armate culminata con la riforma New Look voluta dall’allora ministro della Difesa Anatoly Serdyukov (2008).

Il breve conflitto in Georgia del 2008 ha confermato i timori delle due nazioni nordiche che nello stesso anno, insieme alla Norvegia, hanno dato vita a una collaborazione nel campo della Difesa (Nordsup) che ha gettato le basi le basi per un approccio più ampio, il Nordefco (Nordic Defense Cooperation): un trattato che aggiunge Islanda e Danimarca alle tre nazioni scandinave avente lo scopo generale di rafforzare la difesa nazionale dei partecipanti, esplorare sinergie comuni e facilitare soluzioni condivise efficienti. La struttura, che fa capo a un consiglio formato dai ministri della Difesa dei Paesi partecipanti, è impostata sulla cooperazione, non è quindi una struttura di comando. Le attività di cooperazione sono agevolate e concordate all’interno della stessa, ma l’effettiva realizzazione e partecipazione alle attività restano decisioni nazionali: una volta che un’attività di cooperazione viene decisa e avviata, passa in gestione alla normale catena di comando nazionale esistente.

Inoltre in quello stesso anno nasce il Nordic Battlegroup, che raccoglie, oltre a Svezia e Finlandia, altre nazioni della Nato. Quindi i due Paesi neutrali, si sono legati, militarmente, ad altri facenti parte dell’Alleanza Atlantica, perdendo di fatto il loro status di neutralità propriamente detta.

Risulta particolarmente interessante guardare anche ai legami bilaterali tra Svezia e Finlandia nel campo della Difesa. Stoccolma gode di uno status speciale nella cooperazione bilaterale col suo vicino di casa, per via di un lungo legame storico, di valori condivisi, e di economie ampiamente integrate anche grazie alla partecipazione all’Unione europea. È evidente, quindi, che entrambi i Paesi valutino i rispettivi ambienti di sicurezza da punti di partenza simili.

La loro collaborazione bilaterale è cominciata dall’inizio degli anni 2000 quando le marine finlandese e svedese hanno iniziato a condividere la “situational awareness” e le rispettive forze armate, nel corso del tempo, hanno cominciato a introdurre pratiche simili anche nella sorveglianza aerea. Inoltre sono in fase di sviluppo comunicazioni crittografate tra i due Paesi ed è in studio la possibilità di avere un’architettura di supporto logistico reciproca dalle basi e dai porti organizzata in modo più flessibile. A partire dal 2015 i due Paesi hanno ulteriormente approfondito la cooperazione bilaterale in materia di difesa concentrandosi sul potenziamento delle capacità militari e dell’interoperabilità. Tale cooperazione mira a rafforzare la sicurezza della regione del Mar Baltico anche grazie a una pianificazione operativa congiunta in tutte le situazioni possibili, ad esempio la protezione dell’integrità territoriale.

I destini di Svezia e Finlandia sembrano quindi legati anche per motivazioni storiche: Stoccolma, al tempo degli imperi nel ‘700, ha combattuto una serie di guerre contro la Russia, la stessa Helsinki, soggetta alla dominazione svedese nel ‘700 e russa nell’800, dopo aver raggiunto l’indipendenza nel 1917 si ritrova a doversi difendere dall’aggressione dell’Unione Sovietica nella cosiddetta “Guerra d’Inverno” del 1939/1940 in cui perde il 10% del suo territorio.

Il vero anno della svolta per quanto riguarda l’avvicinamento dei due Paesi nordici alla Nato è però il 2014: la Russia, con il colpo di mano in Crimea e la destabilizzazione in Donbass, passa da “sorvegliato speciale” a vera e propria minaccia esistenziale. La Svezia, ad esempio, nel 2016 ha stipulato l’accordo di sostegno del Paese ospitante (Hnsa – Host Nation Support Agreement) per la libertà di passaggio delle forze dell’Alleanza e può partecipare alla meccanismo di reazione rapida della Nato (Nrf – Nato Response Force), mentre nel 2018 ha deciso di reintrodurre la coscrizione obbligatoria, se pur non a carattere universale, dopo che era stata sospesa nel 2010.

Sempre nel 2018 Svezia, Finlandia e Stati Uniti siglano un accordo trilaterale che ha come finalità una più stretta cooperazione in materia di difesa ma aggiunge un punto interessante, ovvero la promozione di legami costruttivi con la Nato e l’Ue, visti come organismi fondamentali per implementare la sicurezza del Baltico.

Molto più di recente, Stoccolma, Helsinki e Oslo hanno stretto un accordo trilaterale, il “Trilateral Statement of Intent”. Il 23 settembre del 2020 il patto siglato tra i tre scandinavi ha stabilito una più stretta cooperazione in materia di Difesa col fine di raggiungere capacità e prontezza tali per condurre operazioni militari, sulla base sempre di “decisioni separate”.

Le tensioni accumulate in Ucraina nel corso degli ultimi 13 mesi, sfociate nella guerra cominciata il 24 febbraio scorso, hanno portato definitivamente Svezia e Finlandia sulla sponda atlantica, anche se, come abbiamo visto, si è trattato solo dell’ultimo passo di un cammino intrapreso circa 15 anni fa. Stoccolma ed Helsinki hanno avuto la conferma di quanto paventato, ovvero che il riarmo russo non fosse solo finalizzato alla difesa della Federazione, ma fosse anche funzionale al tentativo di ristabilire una propria sfera di influenza con la forza, dopo che Mosca l’aveva persa con la dissoluzione dell’Unione Sovietica e non è stata capace di ristabilirla attraverso la nascita di un modello economico/commerciale e di sicurezza capace di attirare spontaneamente nella propria orbita i Paesi del suo near aborad occidentale.





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