Goi, Col Moschin, Folgore, Monte Cervino, Rrao, Gis, 17esimo Stormo. Quando si leggono i nomi dei reparti delle Forze Speciali italiane sembra ripetere a memoria una formazione di calcio. I nomi evocano foto o video visti in televisione o sui canali social, evocano ricordi, battaglie, eventi della storia d’Italia che nessuno dovrebbe mai dimenticare. Molto spesso però non si conoscono i ruoli, il lavoro, l’addestramento e soprattutto dove queste unità sono impegnate. In parte perché è difficile seguire continuamente le cronache della Difesa. Ma nella maggior parte dei casi, è semplicemente perché nessuno – a parte i vertici e le persone coinvolte – può sapere in che operazioni è impegnata l’élite delle forze armate italiane. Missioni che a volte rimangono per sempre segrete o che saranno svelate solo alla fine di una campagna o di una lunga operazione di sicurezza e dove questi uomini non possono lasciare la loro firma.

Queste unità, e con loro quelle di supporto inquadrate nelle varie forze armate, vivono in un misto di fascino, ammirazione e oblio. È il frutto complicato del loro mestiere: croce e delizia di un mondo che per molti è un mistero, per altri un sogno. Ma questo presuppone anche che spesso il Paese fatichi a ricordarsi della loro esistenza. Rimanere nell’ombra è un’arte che si acquisisce nel tempo, ma che comporta anche dei rischi: come quello di non vedere riconosciuto mai davvero lo sforzo o di passare in secondo piano rispetto alle esigenze di un comparto. Soprattutto in un momento storico in cui tutto viene identificato come capitolo di spesa e non come elemento di un mosaico più grande.

L’esempio è arrivato nei giorni scorsi con l’approvazione, in commissione Difesa della Camera, di una risoluzione di Forza Italia con cui si è chiesto al governo l’impegno a istituire la figura del Soccorritore Militare per le Forze Speciali. Può sembrare un atto formale e non sostanziale. Eppure questo passaggio va a colmare un vuoto normativo particolarmente grave, che, come hanno spiegato Matteo Perego di Cremnago (primo firmatario) e capogruppo FI in commissione Maria Tripodi, dota il Soccorritore Militare per le Forze Speciali “delle tutele legali e procedurali volte a salvare la vita dei nostri operatori in quei platinum minutes che fanno la differenza fra la vita e la morte”. Gli ha fatto eco Gianluca Rizzo, presidente della commissione in quota M5S, che ha salutato l’approvazione unanime della risoluzione presentata anche dallo stesso pentastellato, e che ha ricordato come le Forze Speciali “rappresentano la punta di diamante della nostra presenza nei teatri operativi della Difesa”. Punte di diamante che adesso, con l’aggiunta del 4° reggimento Ranger e del 185° Rrao nel Comando interforze per le Operazioni delle Forze Speciali, hanno anche il problema dell’uniformità del trattamento economico (come spiegato da Difesa Online).

Quelle che possono apparire questioni di carattere legislativo non devono far sottovalutare il problema del modo in cui un Paese consideri o possa considerare il lavoro svolto dalle Forze Speciali. Si pensi per esempio all’impego operativo nelle missioni internazionali in cui l’Italia è in prima linea. Molto spesso sono proprio queste unità a svolgere i compiti più estremi o mettere a rischio la propria vita, eppure nessuno aveva ancora preso in considerazione la tutela di chi sul campo di battaglia salva un ferito. Molto poco si sa delle missioni all’estero in cui operano i militari italiani, eppure da poco sono state approvate le vecchie e nuove campagne in cui sono coinvolte le forze armate. Pochi sanno che nel Sahel operano proprio molte delle unità citate e che sono entrate a far parte della missione di Task Force Takuba. Tanti dimenticano i militari in Iraq o nei Balcani, fino a quelli che prossimamente saranno coinvolti nello Stretto di Hormuz. Una percezione che, come dicevamo all’inizio, a volte è data proprio dallo stesso lavoro oscuro che vede impegnati gli uomini dei reparti speciali. Ma che tante volte rischia di essere noncuranza. L’assenza di una cerimonia per ricevere i soldati di ritorno dall’Afghanistan e per onorare i caduti di quella guerra è un esempio eloquente di come sia difficile comprendere il confine tra il silenzio e l’oblio.