Un’indagine interna dell’esercito statunitense, divulgata da The Intercept, ha stabilito che le basi militari statunitensi non hanno un adeguato livello di protezione rispetto a possibili attacchi nello spettro delle minacce Cbrn (Chimico Biologico Radiologico e Nucleare).
I risultati dell’indagine sono stati diffusi pochi giorni dopo l’esercitazione dell’aprile 2021, a Fort Eustis (Virginia), e hanno dimostrato che le installazioni militari Usa non sono pronte ad affrontare un’emergenza come quella di una “bomba sporca”, ovvero di un dispositivo esplosivo che utilizza materiale radioattivo per diffondere particelle ionizzanti invece di colpire con gli effetti di una normale esplosione atomica.
Gli investigatori hanno esaminato il livello di prontezza di cinque basi dell’esercito e sebbene non siano stati rivelati i nomi di tutte le installazioni coinvolte, sappiamo che nel rapporto vengono menzionate il Blue Grass Army Depot del Kentucky, dove sono immagazzinate sia le munizioni esplosive sia le armi chimiche, Fort Bliss in Texas, e la base Lewis-McChord nello stato di Washington, che ha una popolazione di circa 110mila soldati in servizio attivo, familiari e dipendenti civili.
In particolare, nell’esito dell’indagine, si legge che l’U.S. Army non ha intrapreso le azioni necessarie per garantire che i primi soccorritori dell’installazione militare avessero l’attrezzatura e l’addestramento necessari per rispondere a un incidente chimico, biologico, radiologico, nucleare ed esplosivo ad alto rendimento nelle cinque installazioni che sono state esaminate. Sembra quindi che tali carenze esistano probabilmente in tutto l’esercito Usa, che dispone di circa 1800 basi, depositi e altri siti in tutto il mondo, inclusi impianti di stoccaggio per le armi chimiche e nucleari e un istituto di ricerca che lavora con agenti patogeni letali. Viene riportato che la motivazione principale di tali carenze è da attribuire a quel ramo del quartier generale del Dipartimento dell’esercito che gestisce le emergenze, reo di non aver fornito “una supervisione sufficiente”. La risposta dell’U.S. Army a questa minaccia simulata è risultata scoordinata, oltre che carente: si afferma che, nonostante diverse agenzie statali siano state coinvolte per rispondere all’emergenza, non è stata fornita la protezione respiratoria richiesta per tutti i soccorritori civili, e, in due basi, si è scoperto che l’addestramento dei civili per affrontare un attacco Cbrn non era stato completato.
Si è scoperto che nelle cinque installazioni coinvolte nell’esercitazione mancavano un totale di 241 apparecchiature necessarie per dare una risposta efficiente e sicura in caso di attentato, inclusi dispositivi portatili progettati per rilevare agenti usati nella guerra chimica (come il nervino Vx o il sarin), maschere antigas e stivali ignifughi. Gli investigatori, inoltre, “non sono stati in grado di determinare l’esistenza di locali di decontaminazione” dimostrando la diffusa impreparazione delle installazioni militari. Inoltre è stata individuata una grave carenza sotto l’aspetto dell’immagazzinamento di dispositivi di sicurezza, in quanto l’89% dei 440 strumenti, per un valore complessivo di circa 1,2 milioni di dollari, non era elencato nei documenti di inventario, lasciando quindi aperta la possibilitĂ di furto, smarrimento, oppure di acquisti non necessari.
Gli investigatori hanno anche scoperto che il personale che dovrebbe gestire il materiale in carico, non aveva ruoli e responsabilitĂ chiari per effettuare la valutazione dei requisiti delle apparecchiature, e che non sono state fornite indicazioni specifiche sulla gestione dell’attrezzatura richiesta. Qualcosa che, secondo il rapporto, avviene molto probabilmente in tutto l’esercito statunitense.
I risultati dell’indagine interna arrivano in un momento in cui la possibilitĂ di incidenti e attacchi nello spettro Cbrn è in aumento. Il dipartimento della Difesa, infatti, ha recentemente annunciato l’intenzione di costruire microreattori nucleari per alimentare basi militari improvvisate e avanzate, con annesso rischio di esplosione, mentre l’anno scorso avvisava che le armi chimiche e biologiche rimangono una minaccia significativa che si sta espandendo a un ritmo esponenzialmente accelerato.
Gli armamenti di questo tipo vengono spesso definiti le “atomiche dei poveri” perché si tratta di armi di distruzione di massa facilmente producibili e con un costo nettamente inferiore rispetto ai dispositivi nucleari. La Corea del Nord, ad esempio, oltre ad avere in essere un programma atomico volto ad avere capacità di deterrenza nucleare, ha a sua disposizione un importante arsenale chimico, rappresentato da diversi aggressivi chimici come adamsite (Dm), cloroacetofenone (Cn), clorobenzilidene malononitrile (Cs), cianuro d’idrogeno (Ac), gas mostarda o iprite (H o Hd), fosgene (Cg e Cx), i nervini sarin (Gg), soman (Gd), tabun (Ga) e agenti V (Vm e Vx). Per motivi tecnici ed operativi l’arsenale nordcoreano sarebbe costituito in maggior parte di iprite, sarin e agenti V. Durante gli anni ’90 è certo che Pyongyang abbia acquisito la capacità di dotarsi di agenti chimici “binari” ovvero costituiti da due componenti innocui che diventano letali solo una volta mescolati, cosa che avverrebbe solo al momento dell’esplosione del proietto, del razzo o poco prima, fattore che contribuisce a rendere molto più sicuro il maneggiamento e ne prolunga la stabilità in fase di deposito soprattutto per gli agenti nervini. La Corea del Nord è capace di produrre e impiegare armi chimiche che possono essere impiegate praticamente da quasi tutti i sistemi d’arma in forza all’esercito: dalla maggior parte dei pezzi di artiglieria e mortai sino alle testate dei missili balistici a corto e medio raggio passando per quelli di teatro (Frog) ed ai sistemi tipo Mlrs (Multilpe Launch Rocket System).
Il pericolo maggiore però arriva dal terrorismo: mettere le mani su agenti chimici, oppure su materiale radioattivo per fabbricare una bomba sporca, non è molto complicato e quindi il rischio di attentati utilizzanti questi ritrovati è abbastanza alto. Per scongiurare questa possibilitĂ ci si affida a un grande lavoro preventivo, effettuato principalmente dagli organi di intelligence, ma bisogna essere preparati a rispondere a un’emergenza che potrebbe interessare non solo le strutture militari ma anche quelle civili.