Entro la fine di questa settimana tutto ciò che resta delle temibili armi chimiche custodite dagli Stati Uniti d’America per anni e anni negli arsenali verrà distrutto. Ogni sostanza letale, ogni singola munizione d’artiglieria o per uso missilistico, ogni serbatoio di stoccaggio per agenti nervini, letali o altamente tossici – dunque “in grado di alterare i processi vitali causando morte, incapacità temporanea o danni permanenti all’uomo o agli animali” secondo la classificazione dell’Opcw – apparteranno ad un tetro e archiviabile passato.
Seppure con decenni di ritardo rispetto al programma inizialmente stabilito, Washington ha portato a temine questo processo tanto pericoloso quanto atteso, privando i suoi eserciti di armi obsolete e proibite da ogni convenzione. Tanto temibili se in mano altrui, da averla condotta alla guerra, in passato, affinché nessun possessore riconosciuto potesse impiegarle su terzi, dato il loro atroce e riconoscibile effetto.
Come riportato dal New York Times in uno degli ultimi reportage, nelle stanze sigillate e sorvegliate a vista da guardie armate con indosso le vecchie tute Nbc – nuclear, biological, chemical – che avremmo visto sulla Cnn ai tempi della guerra del Golfo, le braccia robotiche di cui ci ha dotato la moderna tecnologia portano avanti le ultime battute di un processo necessario alla sicurezza dell’America e del mondo intero: la distruzione delle armi chimiche custodite e stipate nei depositi di basi anonime, spesso all’insaputa degli abitanti che sono nati e cresciuti in quei luoghi. Del resto, il “segreto militare” deve rimanere tale fino a quando è necessario.
“Questo è il suono di un’arma chimica che muore”. Queste le parole del vice assistente segretario alla difesa per la riduzione delle minacce e il controllo degli armamenti, Kingston Reif, mentre l’apparato robotico di colore giallo “perforava, drenava e lavava” una delle ultime munizioni di artiglieria armate con Iprite (anche nota come “gas mostarda”, ndr); prima di cuocere i resti ad una temperatura superiore agli 800 gradi centigradi presso il Pueblo Chemical Depot dell’Us Army in Colorado.
Il rumore si riferiva al tonfo fatto dal metallo inerte mentre cadeva nel mucchio che sarebbe stato poi sigillato. Mentre il gas mostarda veniva estratto dalle macchina, diluito in acqua calda, scomposto dai batteri in un processo “non dissimile da quello utilizzato negli impianti di trattamento delle acque reflue” per essere reso innocuo.
Lo stesso processo, sebbene differente, è stato portato a termine nel deposito Blue Grass. Dove i tubi in fibra di vetro che contenevano il gas Sarin con cui potevano essere armati razzi e missili, sono stati spostati dai bunker di stoccaggio di cemento armato in una serie di edifici per la lavorazione e lo smaltimento definitivo. Da quanto si apprende, nel caso degli agenti nervini (che come altri agenti vengono riportati allo stato gassoso solo durante l’impiego offensivo, ndr) i liquidi sono stati drenati dalle testate, “mescolati con acqua e soda caustica e poi riscaldati e mescolati” per ottenere un liquido idrolizzato da trasportare in un secondo impianto, a Port Arthur, in Texas, per essere incenerito.
Le munizioni chimiche, quale che sia il loro contenuto letale e la tipologia specifica di munizione – artiglieri o testate di un razzo – condivide “essenzialmente lo stesso design”, ricordano i giornalisti americani: “Una testata a parete sottile riempita di agente liquido e una piccola carica esplosiva per aprirla sul campo di battaglia, lasciando uno spruzzo di piccole goccioline, nebbia e vapore – il gas velenoso” tanto temuto dai soldati nelle trincee della Prima guerra mondiale. Quando i soldati di tutti gli eserciti impararono per la prima volta a indossare le maschere antigas.
Secondo quanto riportato, le scorte delle Forze armate americane, sviluppata a partire dalla Grande Guerra e accumulate almeno fino alla metà degli anni ’60, comprendevano bombe a grappolo e mine terrestri piene di agenti nervini, proiettili di artiglieria, serbatoi per essere sganciati come il Napalm dai jet e ovviamente testate per razzi come gli M55.
La guerra alla “guerra batteriologica” del passato
Come tutte le super potenze, gli Stati Uniti hanno perseguito il loro programma per la guerra batteriologica che comprendeva lo sviluppo e l’ottenimento di armi chimiche e biologiche. Gran parte delle stesse, armi di distruzione di massa proibite dalla Convenzioni internazionali e definitivamente bandite in seguito alla ratifica della Convenzione sulle armi chimiche nel 1997, vennero distrutte tra gli anni ’70 e gli anni ’80.
Gli Stati Uniti e l’Unione sovietica avevano già concordato – in linea di principio – di annullare le loro scorte di armi chimiche già nel 1989. Ma il processo di distruzione si è dimostrato complesso, essendo la “combinazione di esplosivi e veleni” estremamente pericolosa da affrontare anche per tecnici altamente specializzati.
Arsenali di armi chimiche sono stati distrutti anche da altre potenze: il Regno Unito ha dichiarato di aver distrutto il suo arsenale nel 2007; l’India nel 2009; la Federazione Russa definitivamente nel 2017, sebbene funzionari del Pentagono sostengono che Mosca abbia mantenuto piccole scorte non dichiarate. Una questione controversa, quella della Russia, che potrebbe trovare un fondo di verità nell’impiego dell’agente nervino Novichok usato per attentare alla vita dell’ex spia doppiogiochista Sergei Skripal proprio lo stesso anno. Gli esecutori facevano parte dei servizi d’intelligence russo.
Ovviamente i trattati e gli sforzi per la distruzione degli arsenali chimici nulla possono contro la detenzione e l’eventuale impiego di armi chimiche da parte di “Stati canaglia” e gruppi terroristici.
Le accuse mosse nei confronti dell’esercito siriano fedele al presidente Bashar al Assad che avrebbe impiegato – sebbene non si abbiano riscontri ufficiali e inconfutabili – durante la guerra civile in Siria tra il 2013 e il 2019; o l’impiego di armi chimiche da parte dell’Isis in Iraq e sempre in Siria tra il 2014 e il 2016, ne sarebbero dimostrazione.
La detenzione di armi chimiche rappresenta una minaccia ancora capace di turbare la comunità internazionale al punto che la sola ipotesi o congettura sul loro eventuale utilizzo riesce a monopolizzare l’attenzione mondiale sulla fazione che si è macchiata o intende macchiarsi di un tale crimine di guerra.
Quando parliamo di armi chimiche, la nostra memoria ci riconduce immediatamente all’impiego del gas nervino e dell’iprite sulla popolazione curda nell’attacco chimico di Halabja durante la guerra combattuta tra Iraq e Iran nel 1988.
Non si può dimenticare, tuttavia, come il “gas mostarda” sia stato impiegato anche nella Prima guerra mondiale dalla Germania, e poi da Francia e Regno Unito, nelle Fiandre, a Ypres, e sul fronte della Somme. Dall’esercito italiano nella Guerra d’Etiopia. E di come l’Esercito degli Stati Uniti abbia fatto impiego dell’agente Bz e di un lontano parente delle armi chimiche, l’Agente arancio, durante la guerra del Vietnam.
Tutti questi prodotti letali sono stati evidente frutto di un momento di “follia umana” che finalmente, e almeno in larga parte, hanno trovano il loro epilogo sparendo dalla faccia terra. Nella speranza che non se ne abbia più notizia. In nessuna guerra, in nessun caso.